La notizia che oggi campeggia sui media del mondo è l’ipotesi di uno spostamento delle elezioni Usa, che Trump starebbe meditando. Una boutade, null’altro, che pure fa notizia per dei media ormai incapaci di distinguere tra una notizia e un flatus vocis.
Ciò mentre sale il numero di morti da coronavirus, che gli antagonisti di Trump hanno buon gioco ad attribuire alla sua leggerezza. In particolare, spicca un calcolo delle vittime delle guerra Usa paragonate a quelle del coronavirus (vedi foto), che ha certa presa in una politica militarizzata come quella americana (se a novembre le vittime del virus supereranno quelle della Seconda guerra mondiale, Trump è out).
Ma la notizia vera di oggi è che nel secondo trimestre 2020 l’economia Usa è crollata del 32,9 per cento. Trump aveva fatto del volano economico il trampolino di lancio per la rielezione. Non l’avrà, da qui a novembre non c’è tempo per una vera ripresa economica.
Ciò è accaduto a causa dei suoi sciocchi supporter, ai quali dà voce il Segretario di Stato Mike Pompeo, che lo hanno costretto a contrastare alzo zero la Cina, impedendogli un coordinamento con Pechino (e Mosca) per sconfiggere il coronavirus, che avrebbe risparmiato tanta sofferenza al popolo americano e al mondo. Nonché di adire a un accordo commerciale di alto livello con la stessa, che avrebbe limitato i costi economici della pandemia agli Usa come altrove (il Pil cinese è risalito a + 3.2 per cento).
Servi schiocchi che stanno precipitando il mondo nel caos, inseguendo un ritorno dell’egemonia Usa sull’Occidente, e sul pianeta, attraverso il rilancio del contrasto globale al comunismo (stavolta cinese).
Un particolare su tutti rende l’idea delle difficoltà in cui versa Trump, la sua polemica con Foxnews (The Hill), non più la macchina da guerra che ne favorì il trionfo nel 2016, ma una Tv spesso ostile alla sua linea. Se anche la Fox gli volta le spalle… Ma vedremo, Trump è l’uomo delle sorprese. Lo ha fatto una volta, può ripetersi, anche se stavolta i suoi avversari saranno meno supponenti.
Un cenno, però, merita anche quanto sta accadendo nell’altra parte della barricata, dove il partito democratico si sta spostando a sinistra, come denota l’ondata di radicali che si stanno affermando nelle primarie del partito (e quindi correranno per essere eletti al Congresso, che si rinnoverà quasi completamente con un voto parallelo alle presidenziali).
Simbolica in tal senso la vittoria di Jamaal Bowman, ex preside di una scuola, sul superfalco dem Eliot Engel a New York. Un’ondata provocata certo dalla spinta di Sanders e del variegato ambito fiorito attorno a lui, ma anche da una rinnovata vitalità di Obama, ormai libero dalle pastoie nelle quali era rimasto ingabbiato da presidente.
Uno spostamento a sinistra evidenziato anche dalla bozza del programma del partito elaborata in questi giorni e ora al vaglio per la stesura definitiva, che vede l’immissione di elementi propri dell’agenda di Sanders.
Non solo nella politica interna, che non interessa gli equilibri del mondo, ma anche in politica estera. Nel documento si chiede la “fine delle guerre infinite”, il ripristino dell’accordo sul nucleare iraniano, la fine della spinta ai “regime change,” (con riferimento esplicito all’Iran), il rifiuto della militarizzazione del confronto con la Cina e, in parallelo, la fine della militarizzazione della politica estera americana (The Intercept).
Forse un semplice libro dei sogni per avere il supporto di Sanders, che Biden, se eletto, potrebbe stracciare facilmente. Ma, se confermata nelle elezioni vere e proprie, la forte presenza dei radicali al Congresso potrebbe renderlo meno aleatorio.
Non solo, tale libro dei sogni è stato scritto a quattro mani, dato che Biden punta su Sanders per smarcarsi dall’establishement liberal del suo partito e dalle pressioni neocon per fare quanto al suo presidente, Barack Obama, è stato impedito di fare.
Ma è ancora presto. Tre mesi alle elezioni, può ancora succedere di tutto.
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