“Gli Stati Uniti sembrano essere entrati in una nuova guerra fredda sia con la Cina che con la Russia. E la definizione che ne danno i leader statunitensi di un confronto tra democrazia e autoritarismo non supera la prova dell’olfatto [cioè puzza, ndr], soprattutto ora che gli stessi leader stanno attivamente corteggiando un Paese che ha sistematicamente violato i diritti umani, cioè l’Arabia Saudita. Tale ipocrisia suggerisce che, almeno in parte, è l’egemonia globale, non i valori, a essere realmente in gioco”. Così il premo Nobel per l’economia Jospeh Stiglitz su Scheerpost. Osservazioni che sorprendono non poco, data la fonte.
Stiglitz spiega che la nuova Guerra Fredda è iniziata ben prima della guerra ucraina e vede protagonista non tanto la Russia, la cui economia attualmente è assimilabile a quella spagnola, ma la Cina. “Naturalmente, l’America non vuole essere detronizzata – scrive Stiglitz – Ma è semplicemente inevitabile che la Cina superi economicamente gli Stati Uniti, indipendentemente dall’indicatore ufficiale utilizzato. Non solo la sua popolazione è quattro volte più grande di quella americana, anche la sua economia è cresciuta tre volte più velocemente per molti anni (ha superato gli Stati Uniti fin dal 2015 in termini di parità di potere d’acquisto)”.
“Sebbene la Cina non abbia fatto nulla per dichiararsi una minaccia strategica” per gli Stati Uniti, così è vista dall’altra sponda dell’Oceano Pacifico, con una convergenza bipartisan. E questa guerra non si vincerà con le armi (1), secondo il Nobel, ma attirando il consenso dei Paesi terzi.
Ma “nel ricercare il favore del mondo – continua Stiglitz – gli Stati Uniti dovranno recuperare molto terreno perduto. La sfruttamento duraturo di altri paesi non aiuta”; come anche altro, ad esempio il più recente ‘”apartheid vaccinale” globale, in forza del quale i Paesi ricchi si sono accaparrati tutti i vaccini, abbandonando al loro destino i Paesi poveri. Al contrario, i suoi antagonisti “hanno reso i loro vaccini prontamente disponibili agli altri a un costo inferiore o uguale, aiutando anche i paesi poveri a sviluppare proprie strutture per la produzione di vaccini”.
Quindi, dopo una meno convincente digressione sull’emergenza climatica, con gli Usa egoisti verso la criticità climatiche dei paesi poveri – ai quali, in realtà, del clima importa davvero poco, dal momento che non hanno il pane… – Stiglitz spiega che “le banche statunitensi contribuiscono all’incombente crisi del debito in diversi paesi, rivelando spesso una depravata indifferenza per la sofferenza che ne deriva” [sono gli stessi ambiti che si commuovono per il destino del popolo ucraino… sic].
“L’Europa e l’America eccellono nell’insegnare agli altri ciò che è moralmente giusto ed economicamente ragionevole. Ma il messaggio che normalmente arriva […] è ‘fai quello che dico, non quello che faccio’. Soprattutto dopo gli anni di Trump [Stiglitz è un vate dei democratici, ndr], l’America non può più avere alcuna pretesa circa la sua statura morale, né ha la credibilità per dispensare consigli. Il neoliberismo e l’economia ‘a cascata’ non sono mai stati ampiamente abbracciati nel Sud del mondo e ora stanno passando di moda ovunque“.
“Allo stesso tempo, la Cina ha eccelso non nel tenere conferenze, ma nel fornire ai paesi poveri infrastrutture critiche. Sì, questi paesi sono spesso profondamente indebitati; ma, dato il comportamento delle banche occidentali come creditori nei confronti dei paesi in via di sviluppo, gli Stati Uniti e altri paesi non sono nella posizione di puntare il dito accusatore”.
Per vincere questa Guerra Fredda, continua il Nobel, gli Stati Uniti dovranno nuovamente “rendere il loro sistema economico, sociale e politico l’invidia del mondo”; quindi enuncia alcuni passaggi chiave in tal senso, che sinceramente lasciano basiti per la loro vacuità (Nobel?), dal momento che il primo e fondamentale passo dovrebbe essere la riduzione della scandalosa disuguaglianza economica, diventata ormai anche sociale e politica, avendo reso il potere appannaggio esclusivo di pochi potenti oligarchi, al confronto dei quali quelli russi contano nulla.
Ma al di là della svista di Stiglitz – forse dovuta al fatto che egli stesso appartiene ai tanti corifei di questa deriva oligarchica -, resta interessante la conclusione dell’articolo: “Finché non avremo dimostrato di essere degni di guidare, non possiamo aspettarci che gli altri marcino al ritmo del nostro tamburo”.
(1) Sul fatto che le armi siano secondarie in questa nuova Guerra Fredda è convincente, ma anche no. In particolare, non si può eludere il fatto che è ormai diventata dottrina indubitabile negli Usa che il recupero dell’egemonia perduta passi anzitutto attraverso le guerre infinite (il conflitto ucraino è solo uno dei tanti fronti, tra quelli aperti e da aprire).
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