Immaginate di andare in pensione a 60 anni, se si è uomini, e a 55 anni, se si è donne.
Sembra un sogno, specialmente per noi italiani che dopo la riforma Fornero abbiamo visto ridotte di molto persino le possibilità di raggiungerla, una pensione; invece nell’attuale Federazione Russa il sistema pensionistico consiste proprio in quanto appena descritto.
Esso risale al 1928 e fu introdotto da Stalin, in quell’Unione Sovietica ammirata e studiata in quanto rappresentava una realtà completamente nuova, con uno sviluppo economico e sociale dirompente, senza precedenti nella storia.
Il sistema pensionistico staliniano non fu mai cambiato, resistette anche alla dissoluzione dell’URSS avvenuta nel 1991, sopravvisse alle draconiane politiche di austerità durante la “terapia shock ” di Eltsin e fino ad oggi sopravvive anche a Putin. Fino ad oggi, appunto.
Le idee bocconiane della Fornero hanno raggiunto anche la Russia, che per conto del premier Medvedev ha annunciato l’innalzamento dell’età pensionistica. Per le donne si passa da 55 a 63 anni, per gli uomini da 60 a 65, un aumento rispettivamente di 8 e 5 anni, il più grande mai registrato in Europa.
L’annuncio è stato molto furbescamente diramato in occasione della partita inaugurale dei Mondiali di calcio, ma una notizia del genere non sarebbe mai potuta passare sottotono e difatti le proteste in poche settimane hanno raggiunto i territori di tutta la Federazione.
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A guidare la protesta c’è il Partito Comunista della Federazione Russa (KPRF) che con il suo candidato alle scorse presidenziali Grudinin e lo storico segretario Zjuganov ha mobilitato centinaia di migliaia di persone in moltissime città della Russia, in difesa di un diritto frutto di quel socialismo che in tanti, a 27 anni dalla caduta dell’URSS, rimpiangono sempre di più.
Putin, vedendo crollare il suo indice di gradimento, ha voluto replicare dando la responsabilità totale della riforma al suo primo ministro Medvedev e al suo governo, ricordandosi forse delle sue dichiarazioni di qualche anno addietro (2005) dove negava nel senso più assoluto ogni innalzamento dell’età pensionistica. Il presidente russo ha infine deciso di intervenire direttamente sulla riforma in modo da calmare gli animi quel tanto che basta. Dal Cremlino è partita la proposta di abbassare per le donne l’età pensionistica da 63 a 60 anni, mantenendo però i 65 anni per gli uomini. La mossa sembra però non essere efficace quanto si vorrebbe e le proteste continuano imperterrite.
Se per alcuni con l’aumentare dell’aspettativa di vita è necessario riformare i sistemi previdenziali – sentiamo già i neoliberisti in coro sentenziare, come già fatto per la Grecia, che i russi vivono al di sopra delle loro possibilità e vanno in pensione addirittura a 50 anni (!) – nel caso russo si rischierebbe di negare a tanti tale diritto, in quanto è ampiamente probabile che si muoia prima di raggiungere l’agognato traguardo e con un bilancio tra anni effettivi di lavoro e di pensionamento totalmente sbilanciato a favore dello Stato.[1]
Difatti la Russia, dalla caduta dell’Unione Sovietica, ha visto precipitare l’aspettativa di vita dei propri cittadini che ad oggi si attesta a 66 anni per gli uomini: troppo poco per giustificare l’incremento previsto nella riforma con cui ai russi, in media, sarebbe garantita una pensione effettiva per un solo anno.
I lavoratori russi si trovano quindi a fronteggiare una riforma che farebbe impallidire l’Istituto Neutralizzazione Parassiti Sociali di fantozziana memoria: chissà se il loro futuro sarà di perdersi nelle grotte di Postumia o di vedersi ancora garantito e intoccato quel poco di socialismo rimasto nella ex terra dei soviet.
Non sappiamo come andrà a finire, sappiamo solo ciò che la storia ci insegna, ovvero che il popolo russo (sovietico) è stato capace di imprese di immane grandezza e questo Putin lo sa bene.
di Nicolò Monti, Segreteria Nazionale FGCI - fgci.info
[1] https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/08/04/russia-linganno-collettivo-delle-pensioni-russia-e-forse-anche-italia/4535858/
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