di Danilo Della Valle - Blog di Beppe Grillo
Più del 99% dei voti scrutinati, un vantaggio risicato di 74.000 voti, poco più del 50%, eppure ad oggi non si può ancora ufficializzare l’elezione del nuovo Presidente del Perù: gli sconfitti denunciano brogli e chiedono la revisione di diverse migliaia di voti, alzando la tensione sociale in un Paese diviso.
Intanto per le strade peruviane si può leggere un po’ ovunque “Perù Libre”, Perù Libero, sulle bandiere biancorosse, con la raffigurazione di una matita al centro, portate a spalla da contadini e operai che mostrano orgogliosi i loro caschetti da lavoro mentre sfilano per festeggiare la vittoria del nuovo Presidente.
È una giornata storica, e in pochi ci avrebbero scommesso viste le forze in campo e i sondaggi.
Quasi al termine di uno scrutinio infinito e di uno scontro all’ultimo voto, a sorpresa, Pedro Castillo, l’uomo dalle umili origini che parla in pubblico indossando sempre il suo cappello di paglia, leader del “piccolo” partito di sinistra Perù Libero, è a un passo dal diventare Presidente del Perù superando al secondo turno Keiko Fujimori, leader del partito liberista e di destra Forza Popolare, rampolla di famiglia dell’ex presidente autoritario Alberto Fujimori, con MBA negli Usa e idee politiche neoliberiste.
Ma chi è più precisamente José Pedro Castillo Terrones?
51 anni, insegnante di scuola primaria figlio di contadini analfabeti e cittadino di Puña, nel distretto di Tacabamba, villaggio situato in una delle regioni più povere del Paese, Castillo ha partecipato sin da giovane alle lotte dal basso della popolazione rurale della periferia peruviana. Dapprima facendo parte di un gruppo autorganizzato di “ronde campesine”, per difendere i contadini dai soprusi e dagli attacchi di bande criminali, e dopo balzando agli onori della cronaca politica quando, da sindacalista, guidò nel 2017 uno sciopero degli insegnanti durato 75 giorni che chiedeva salari più alti e maggiori investimenti nell’istruzione pubblica del Paese.
Di formazione marxista, socialista con venature populiste, classico latinoamericano, Castillo e il partito Perù Libre sono appoggiati dalle aree rurali del Paese, dagli ultimi e dagli emarginati, ed è proprio a loro che il neo Presidente peruviano si rivolge sempre durante i suoi discorsi, come quando appena saputi i risultati del primo turno ha esordito in piazza:
“Vorrei salutare i popoli più dimenticati del mio Paese, salutare gli uomini e le donne che si trovano nell’ultimo angolo del paese… Oggi il popolo peruviano si è appena fatto rimuovere le benda…”
E a loro sono destinate la maggior parte delle proposte di Castillo, dalla nazionalizzazione delle imprese energetiche di gas e petrolio all’aumento della spesa statale per l’istruzione nel Paese, dall’aumento della spesa pubblica per il settore agricolo al rafforzamento del sistema pensionistico, al cambio della Costituzione del 1993, redatta da Alberto Fujimori, che segnò la svolta autoritaria e dittatoriale nel Paese.
Ma la proposta più interessante è inerente al cambio del sistema economico e l’implementazione del modello di “economia popolare con i mercati”. Castillo propone la creazione di una nuova Costituzione Politica attraverso una assemblea costituente che dia allo Stato un ruolo attivo come regolatore del mercato.
E in politica estera? Ecco, la proposta di Perù libre e di Pedro Castillo è chiara: riformulare i trattati internazionali per “smettere di essere “schiavi” degli Usa”, cosa di cui è stata “accusata” Keiko Fujimori. Ed è proprio questo un dato importante: l’ascesa al potere di Biden segnerà probabilmente un ritorno della politica estera Usa, come già stiamo assistendo, in Eurasia, cosa che potrebbe favorire il riposizionamento in America Latina di movimenti più progressisti e socialisti, andati in crisi durante gli anni della Presidenza Trump molto più interessata a far sì che il vicino Continente tornasse ad essere il “giardino di casa”.
Proprio in quest’ottica Castillo potrebbe osare di più, come da dichiarazioni, in politica estera. Se ci riuscirà non è dato saperlo, ma Pedro Castillo ad oggi è riuscito in un’impresa: mandare in pensione il fujimorismo, contro tutte le previsioni, visto che il fujimorismo e la sua dottrina politica sono diventati negli anni parte integrante del Perù.
Non sarà semplice vista la polarizzazione del Paese diviso praticamente a metà e le polemiche continue (ad oggi un’altra polemica è montata ai danni di Keiko Fujimori per essersi servita di lavoratori per la sua campagna elettorale senza poi pagarli).
Ai posteri l’ardua sentenza, non resta che aspettare e sperare per il Perù!
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