Un altro anno di guerra per le repubbliche popolari del Donbass

09 Gennaio 2021 17:23 Enrico Vigna

Il 2020 è passato, ma per il Donbass, l’anno è stato conforme agli altri.

Dopo le pubbliche promesse fatte dal nuovo presidente ucraino, le dichiarazioni dei "garanti" e padrini europei di Kiev, la firma di innumerevoli documenti, la cui sostanza doveva essere, al di là degli “orpelli,“ l'instaurazione di un processo di pace concreto e la cessazione dei bombardamenti, certamente la popolazione e i Governi delle due Repubbliche popolari, si aspettavano e si auguravano segnali di un graduale ritorno a una vita normale e senza più i sibili di bombe e missili dei Battaglioni ATO ucraini. Ma non è andata così

Il 13 dicembre si è svolta l’ultima riunione del Gruppo di contatto trilaterale del 2020, per l’ennesima volta conclusasi senza risultati concreti. Il coordinatore, l’ambasciatore Y.H. Cevik, capo della Missione speciale di Monitoraggio dell’OSCE in Ucraina, nel suo rapporto finale del 2020, ha sostanzialmente stabilito che non c’è stato alcun progresso nel processo negoziale e la fine del conflitto militare nel Donbass non ha fatto alcun passo avanti.

Nel 2019, Kiev aveva improvvisamente accettato di portare a termine il processo di disimpegno delle forze e delle attrezzature militari presso il sito pilota di "Bogdanovka - Petrovskoe", ma poi tutto si è rivelato un mero ritiro dimostrativo sotto la supervisione di osservatori internazionali, poi le posizioni militari ucraine sono state ripristinate completamente, in quelle che erano in precedenza, e il giudizio attuale è che il processo negoziale e di pacificazione, sia nuovamente fallito e che al Donbass non ha portato nulla di nuovo in positivo.

L'anno passato aveva suscitato ottimismo e speranze tra la gente comune, seppure molti esponenti politici locali nutrivano non poco scetticismo, sulla reale disponibilità di Kiev a sottoscrivere una serie di impegni scritti e misure addizionali per stabilire un cessate il fuoco risolutivo, ricordando che l'Ucraina ha sempre, sulla carta, accettato anche i primi accordi di Minsk.

Nei primi mesi del 2020, alcuni segnali positivi, sembravano smentire le interpretazioni di più diffidenti o pessimisti, infatti in quel periodo il numero dei bombardamenti diminuì e una calma tranquillizzante regnava lungo la linea di contatto. Di tanto in tanto, c’erano stati singoli colpi, che il comando politico-militare ucraino attribuì a una normale impossibilità di prendere integralmente da subito, il controllo dell'intera linea del fronte.

Ma la doppiezza di Kiev è andata delineandosi rapidamente. Col passare del tempo, gli spari iniziarono a essere posizionati non come singole violazioni delle misure di cessate il fuoco, ma giustificati come reazione delle Forze di sicurezza ucraine, a presunte violazioni del cessate il fuoco da parte di Lugansk e Donetsk. Poi, mediante una pianificata campagna mediatica, sono cominciate a circolare notizie di supposti bombardamenti da parte delle Repubbliche popolari e addirittura notizie sulla morte di civili nel territorio controllato dall'Ucraina. Ora è accertato che in questo modo Kiev stava preparando attivamente il terreno per l'escalation militare, avvenuta poi alla fine dell'anno 2020. Riaprendo così l’aggressione lungo l'intera linea di contatto, riutilizzando l'intera varietà di armi disponibili e causando nuovamente vittime, distruzioni e sofferenze, alla popolazione del Donbass.

Infatti i bombardamenti nella seconda metà di dicembre contro le Repubbliche del Donbass si sono fatti via via più intensi, utilizzando anche armamenti proibiti dagli accordi di Minsk. Soprattutto a sud della RPD nell’area di Mariupol, in una sola settimana, ci sono stati bombardamenti con mortai da 120 mm, causando la morte di due miliziani e il ferimento di alcuni civili.

Il portavoce della Polizia popolare della RPD, Oleg Nikitin ha riportato che: “…Secondo la nostra intelligence, i militari della 35a brigata delle Forze militari ucraine, ignorando la Convenzione di Ottawa, minano le vicinanze alle loro posizioni con mine antiuomo PMN-2, la cui installazione avviene non solo su campi agricoli e cinture forestali, ma anche nelle immediate vicinanze degli edifici residenziali di Zhelezny e vicino al checkpoint di Mayorsk. È importante notare che l'installazione delle mine viene eseguita senza una loro indicazione sul terreno. Per evitare danni, esortiamo i residenti delle aree in prima linea, ad essere estremamente attenti…”.

Gli accordi di Minsk per risolvere la situazione nell'Ucraina orientale, prevedono il cessate il fuoco, il ritiro delle armi pesanti dalla linea di contatto, nonché una riforma costituzionale, i cui elementi chiave dovrebbero essere il decentramento e l'adozione di una legge sullo status speciale delle regioni di Donetsk e Lugansk. Finora i vari politici ucraini hanno sistematicamente ritardato l'attuazione di questo piano di obblighi, oltre a proporre costantemente proposte contrarie agli accordi.

Boris Gryzlov, il plenipotenziario russo nel gruppo di contatto a Minsk, ritiene che “…tale comportamento di Kiev possa essere visto solo come un passo verso un completo rifiuto degli accordi di Minsk”. Mentre il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, nel suo discorso ai partecipanti al Consiglio dei ministri degli esteri dell'OSCE, ha nuovamente “invitato le autorità ucraine a smettere di sabotare l'attuazione degli accordi di Minsk e a non rifuggire dal dialogo diretto con Donetsk e Lugansk”.
In un comunicato del Ministero degli Esteri della RP di Donetsk si dichiara: "…Rimane ovvio per no,i che la parte ucraina ignora deliberatamente i suoi obblighi e non vuole attuare il documento che abbiamo proposto, che contiene parametri dettagliati del meccanismo di coordinamento e interazione diretta nell'attuale composizione del Gruppo di contatto, per verificare e prevenire violazioni…Così come è da biasimare la posizione dei coordinatori OSCE, che perseguono una politica di non interferenza, consentendo così a Kiev di violare tutto ciò che può essere violato… In queste circostanze, un dialogo costruttivo è fuori discussione. Se le nostre controparti insistono su questa logica, le Repubbliche popolari hanno tutto il diritto di compiere passi simmetrici: invitiamo la parte ucraina a disarmarsi, allontanarsi dalla linea di contatto, ritirare tutte le truppe e i mercenari stranieri e poi, forse, cominceremo a discutere come vogliamo convivere con Kiev. Tuttavia, se ciò contribuirà alla risoluzione del conflitto è una domanda retorica. Sfortunatamente, è con questo problema che finisce l'anno di negoziazione, invece dell'attuazione del pacchetto di misure e dell'attuazione dei risultati del vertice dei leader dei paesi del Formato Normandia a Parigi… ".

Quindi le prospettive per il 2021 per il popolo del Donbass, fanno intravedere nuovi scenari di guerra, di afflizioni, di lutti e angoscia…sicuramente correlati da solenni promesse, roboanti dichiarazioni e sinceri impegni per la pace…mediatici, ovviamente sponsorizzati e sostenuti dall’Europa “democratica”.

Una ulteriore prova di quali sono i piani “di pace” ucraini, la fornisce un’altra inquietante notizia ufficiale, dove si apprende che il presidente dell'Ucraina Volodymyr Zelenskyy, ha dato mandato di sviluppare e poi sottoporre come progetti di legge alla Verkhovna Rada, un piano per fornire alle Unità di difesa territoriale, funzioni speciali per combattere il separatismo. Lo ha affermato durante una conferenza stampa il primo vice segretario del Consiglio per la sicurezza e la difesa nazionale dell'Ucraina, il colonnello generale Mikhail Koval. Questo piano è stato stabilito già alla fine del 2019, quando il presidente ucraino aveva incaricato di preparare questi progetti di legge che regolano il lavoro delle Unità di difesa territoriale e ne ampliano le funzioni. Denis Podanchuk, consigliere del comandante delle forze per le operazioni speciali delle forze armate ucraine, ha parlato in modo più dettagliato del contenuto dei progetti di legge. Ha sottolineato che le Unità di difesa territoriale si occuperanno, tra l'altro, del problema del separatismo. Se qualsiasi altra regione, dopo la Crimea e il Donbass, decidesse di separarsi dall'Ucraina: “…Abbiamo aggiunto ai compiti della difesa territoriale la conduzione della guerra informatica contro le minacce informatiche e l'esecuzione di compiti nel territorio temporaneamente non controllato. Questo è un argomento molto serio. Se, Dio non voglia, altre aree del nostro territorio non rimaneassero controllate dal governo e fossero occupate, la risposta militare sarebbe adeguata e immediata. E nel nostro Paese ci sono strutture che si occupano di questo…", ha dichiarato Podanchuk. Ricordo che i distaccamenti di difesa territoriale sono quei Battaglioni delle Forze armate ucraine, che furono creati nel 2014, come parte delle forze armate dell'Ucraina, ma separati, non ritenendo i militari dell’esercito ucraino del tutto affidabili nella lotta contro le Repubbliche popolari, i famigerati Battaglioni ATO.

I quali sono formati da volontari con una ideologia radicale e nazifascista e sono sotto il comando operativo del Ministero della Difesa dell'Ucraina.

Come si può dedurre, da Kiev non arrivano certo segnali di pace o rasserenanti, e il 2021 rappresenta una rinnovata incognita per i cittadini del Donbass.


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