di Francesco Erspamer - controanalisi.wordpress.com
C’è un’enorme differenza fra la festa della Liberazione che per alcuni decenni gli italiani hanno celebrato il 25 aprile e la festa della libertà nella quale i liberisti la stanno trasformando o forse già l’hanno trasformata, quest’anno con l’autorevole avallo del presidente della Repubblica. La liberazione è un atto collettivo, in cui un popolo riscopre e afferma la propria identità e diversità rifiutando le imposizioni esterne e il dominio straniero sul proprio territorio e sulla propria cultura. L’obiettivo di una lotta di liberazione è l’autodeterminazione, ossia la possibilità di un popolo di essere quello che gli pare e di decidere il proprio futuro, quale che sia, senza tutele da parte di poteri esterni, inclusi quelli che si arrogano il monopolio della correttezza morale e politica e dunque il diritto di parlare in nome, se non di Dio, di altrettanto assoluti princìpi universali o umani (guarda caso, i loro) o di presunte necessità storiche o economiche (i destini manifesti che li avvantaggiano).
La libertà invocata dai liberisti e da Mattarella, invece, è un diritto individuale e individualistico, impostosi nelle rivoluzioni borghesi di fine settecento e diventato, dopo la vittoria globale del neocapitalismo, il valore unico del pensiero unico. Mattarella è esplicito: “c’è bisogno di donne e uomini liberi”, sostiene; mentre i popoli, aggiunge, non possono “barattare la propria libertà in cambio di promesse di ordine”. La libertà insomma va bene finché è personale e privata, e per imporla o difenderla sarebbe legittimo, secondo il presidente, cancellare la libertà collettiva, di un intero popolo, di stabilire autonomamente le proprie strategie di sopravvivenza e di scegliere le proprie priorità.
Lo capisco, Mattarella, figlio di papà e da sempre parte dell’élite; come capisco che i ricchi, i privilegiati e i vincenti diano la precedenza all’affermazione di sé stessi, al di sopra dei fastidi e delle miserie dell’esistenza ordinaria, anonima; del resto la distinzione è ciò che usano per giustificare la loro supremazia e la distinzione richiede libertà. Ma perché mai gli altri, i lavoratori, la classe media affossata dalla globalizzazione, non dovrebbero innanzi tutto esigere sicurezza, economica ma anche morale, sociale, culturale? Perché non dovrebbe essere loro consentito di chiedere e ottenere (democraticamente) ordine e stabilità, in cambio per esempio di drastiche limitazioni alla libertà dei pochi di appropriarsi dei beni comuni o di dissolvere le tradizioni e i costumi che per secoli hanno dato senso e radici alla vita di tanti?
Una lotta di liberazione serve a portare libertà, sì, ma prima e soprattutto eguaglianza, solidarietà, dignità, identità. Per questo ci fu la Resistenza, non per affermare i miti liberal e liberisti del libero mercato, della libera iniziativa, della libera concorrenza, del libero consumismo. Temo che ne servirà un’altra e che sarà molto più dura e difficile di quella vittoriosa settantaquattro anni fa.
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