di Francesco Erspamer*
Alla fine è molto semplice: il Pd sa fare politica, il M5S solo buone azioni e buone intenzioni. Peccato che le buone intenzioni, se disattese (e se sono troppe o velleitarie succede quasi sempre), fanno perdere credibilità e che anche le buone azioni, quando fini a sé stesse e dunque prive di un’ideologia di sostegno, vengono spesso fraintese dalla gente e comunque presto dimenticate. Non vi ha insegnato niente la Val d’Aosta, dove i cittadini no-TAV votarono in massa per Salvini, favorevole al TAV, per polemica contro il M5S che si era sì opposto al TAV ma senza riuscire a fermarlo? O i tanti Comuni in cui le ambulanze regalate dal Movimento con i soldi dei propri parlamentari hanno portato al potere chi invece le sue risorse le aveva utilizzate per fare propaganda o regali alle sue clientele?
Il Pd sa bluffare, il M5S indignarsi e minacciare a vuoto: si capisce che il primo abbia regolarmente la meglio, benché in netta minoranza in Parlamento. Poi c’è il fatto che il Pd è un partito e dunque presume, giustamente, di poter sopravvivere a momentanee difficoltà e sconfitte; il Movimento si è invece convinto di essere, non so neanche bene cosa, direi “un’occasione”, per cui se il vento cambia si aspetta di scomparire e in fondo lo desidera, in un cupio dissolvi reso demenziale dall’assenza di un Dio a cui abbandonarsi.
Esiste però una via d’uscita ed è abbastanza semplice anch’essa: smetterla con l’autolesionismo e con il dilettantismo. Ci sono ottimi politici fra i dirigenti del M5S ed enorme generosità fra i suoi militanti: si tratta di permettere loro di fare politica invece che alimentare deliri di onnipotenza o masturbazioni moralistiche. E si tratta di far capire ai piddini (con i fatti: purtroppo le parole non funzionano più, a forza di averla vinta forzano le situazioni per default) che se non fanno sùbito qualche significativa concessione l’alleanza e il governo finiscono qui.
Non ha senso chiedere troppo, sarebbe provocatorio e controproducente; bisogna chiedere poco e ottenerlo. Io mi accontenterei di tre cose:
1) un canale Rai;
2) la nazionalizzazione di Autostrade e Alitalia;
3) la conferma di Raggi a Roma (non basta il mero appoggio del Pd; Raggi deve vincere, ossia i piddini devono davvero impegnarsi, con la stessa sporca efficienza con cui l’hanno denigrata per anni e precedentemente fecero le scarpe a Marino).
Ci sono questioni ben più importanti sul tappeto: il dopo-Covid, il prossimo presidente della Repubblica, la riforma elettorale, la riforma fiscale, una legge contro le concentrazioni editoriali, la regolamentazione dell’immigrazione, il rapporto con l’Europa, la fine della deregulation e il ritorno dell’autorità dello Stato. Andranno negoziate con abilità e autorità e non si potrà avere tutto. Ma questo dopo. Prima è indispensabile dimostrare, ai propri simpatizzanti e agli italiani, che il M5S sa anche impuntarsi e averla vinta. E se il Pd preferisse dire di no anche a richieste così modeste oppure (più probabile) temporeggiasse, significherebbe che il suo unico scopo è proprio l’umiliazione del M5S: e allora bisogna essere pronti a rovesciare il tavolo, costi quel che costi.
Occorre insomma rischiare, con giudizio e anche con assoluta determinazione, cioè fino in fondo, con la serenità che deriva dalla consapevolezza che ce la si può fare e che comunque non si può fare altrimenti. Però serviranno sia Di Maio che Di Battista, con ruoli diversi ma coordinati, servirà l’impegno e l’entusiasmo di tutti: per fare una politica che spiazzi e divida gli alleati e gli avversari, non i propri simpatizzanti, e restituisca al Movimento l’iniziativa politica.
*Professore all'Harvard University
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