Perlomeno hanno scritto «nuova generazione» e non «new generation», come avrebbe certamente fatto il Ministero del Turismo, quello open to meraviglia; parlo dei «100 classici di nuova generazione» promossi dalle Librerie Feltrinelli con la seguente motivazione: «100 titoli contemporanei che un giorno saranno classici, alcuni anche in lingua inglese».
Ma perché annunciare, quasi fosse un merito o una garanzia, che in questa centuria di presunti capolavori ce ne sono alcuni disponibili in lingua originale (purché sia l'inglese)?
Immagino per mostrarsi cosmopoliti, difetto attribuito già un secolo fa da Gramsci agli intellettuali italiani, cortigiani felici di mettersi al servizio dei ricchi e dei potenti, ancor meglio se stranieri; che è la ragione per cui, se scorrerete la lista dei cento titoli (se non sono troppo lunghi preferisco scrivere i numeri in lettere invece che in cifre come da un po’ usa pe’ fa’ l’americani), vi troverete ben pochi autori italiani; del resto delle sette sezioni in cui i libri vengono divisi, ce n’è una interamente dedicata al «Grande Romanzo Americano» (tutte le parole con la maiuscola, ancora un omaggio all’inglese che così scrive i titoli) e una alle «Storie che vengono da lontano»: nessuna al grande romanzo italiano o alle storie che vengono da vicino – del resto anche i calciatori occorre importarli, non importa se brocchi, basta che siano esotici, e non si tratta di provincialismo, si tratta di vocazione alla subalternità.
Quanto alla convinzione che sia possibile dire oggi cosa diventerà classico un giorno, purtroppo è molto peggio che una bieca trovata pubblicitaria; è una resa incondizionata, proprio nella sua disattenta superficialità, al presentismo neoliberista, che chiama futuro (e lo usa per cancellare tutti i passati) l’amplificazione delle tendenze culturali dominanti in questo momento. Viene detto apertamente: per la Feltrinelli la priorità è «scoprire e approfondire le passioni che sempre di più interessano ed emozionano i lettori»; in sostanza, cavalcare il mercato. Lo si fa ormai da decenni, in ogni settore: come è giusto che sia in un mondo compiaciuto del proprio individualismo e consumismo.
Perché allora non lasciare in pace i classici? Perché non permettere a noi che non viviamo di sola attualità di chiamare con un suo nome specifico e un po’ antiquato ciò che ci piace proprio per la sua durata e la sua diversità (l’unica possibile nel totalitarismo liberista: la diacronia, la transgenerazionalità, la tradizione, forme di resistenza al culto del nuovo fine a se stesso)? Nelle librerie le sezioni dedicate ai classici sono minuscole e nascoste; perché riempirle di libri di moda? Dei cento titoli proposti dalla Feltrinelli credo che fra un secolo (se fra un secolo ancora ci saranno lettori e uomini) ne verranno ricordati quattro o cinque al massimo; o forse mi sbaglio ma non ha importanza in quanto non sta a noi decidere cosa i posteri vorranno ricordare, e chi dice di saperlo sta intenzionalmente sostituendo ai classici dei banali «bestseller» all'americana.
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