Qualunque sia la parola ultima sulla crisi di Cipro, in
Hot Money Blues Paul Krugman sostiene come una certezza si ha già: nei prossimi anni l'isola, noto paradiso fiscale nel decennio passato, sarà costretta ad imporre una
serie di controlli stringenti sui movimenti di capitale estero. Saranno approvati con il benestare del Fondo Monetario Internazionale, che ha già sostenuto un'azione similare presa recentemente dall'Islanda.
Si tratta di un successo non solo per Cipro, che ha protetto migliaia di investitori internazionali che hanno così evitato le regolamentazioni fiscali interne, ma segna anche la possibile fine di un'idea consolidatesi recentemente: la desiderabilità del flusso di capitali senza controllo nel mondo.
Nei primi decenni dopo la seconda guerra mondiale, limitare i capitali interni ed esteri era considerata una politica economica positiva da perseguire: la Gran Bretagna, per esempio, ha limitato i suoi investimenti oltremare per i suoi cittadini fino al 1979, gli Stati Uniti fino agli anni '60 ed alcuni paesi occidentali industriali addirittura fino agli anni '80. Tali controlli hanno dei costi e secondo la teoria economia maggioritaria - che riflette l'ideologia pura del libero mercato - hanno un impatto negativo sulla crescita.
Un dato su tutti spiega l'errore di fondo di questa visione e dimostra come il flusso di capitale illimitato sia una politica fallimentare. Per tre decenni dopo la guerra mondiale, il periodo in cui erano in vigore tali limitazioni, le crisi finanziarie sono state una rarità. Da allora, la consuetudine: Messico, Brasile, Argentina e Cile nel 1982; Svezia e Finlandia nel 1991; Messico nel 1995; Tailandia, Malesia, Indonesia e Corea del Sud nel 1998; Argentina nel 2002; e per finire con i disastri recenti in atto nei paesi europei: Islanda, Grecia, Irlanda, Portogallo, Cipro, Spagna ed Italia.
Cosa hanno in comune questi paesi? La letteratura predominante punta il dito sugli eccessivi debiti interni, ma nell'intera lista di paesi citati questo fattore può spiegare una sola crisi, quella della Grecia. Un altro fattore spesso evidenziato, il collasso degli istituti bancari, spiega solo tre crisi: Cile, Svezia a Cipro. Il miglior indicatore, secondo Krugman, è proprio un eccessivo arrivo di capitali esteri, presente in tutti i paesi presi in esame. L'ipotesi non è nuova, ma avanzata magistralmente dal professore di Harvard Dani Rodrik ed ampiamente condivisa dalla letteratura soprattutto negli anni'90, ma solo per quel che riguardava le crisi in atto nei paesi più poveri, mentre i più ricchi erano considerati immune dagli investitori globali. Al contrario, gli Stati Uniti stanno attraversando la peggior crisi dagli anni '30 per una bolla speculativa immobiliare prodotta dall'afflusso ingente di capitali esteri.
Ed ora cosa accadrà? Il capitalismo globale, conclude Krugman, diventerà probabilmente meno globale. E si tratta di una buona notizia rispetto all'afflusso di capitali senza regole.