Schedature di massa e "mondo nuovo"

03 Gennaio 2021 20:00 Antonio Di Siena

Prosegue nel silenzio totale il progetto del governo Conte di mettere in rete le informazioni sanitarie di tutti i cittadini italiani, pronte per essere trasformate d’imperio in fascicoli elettronici.
Aperta parentesi. Oggetto del presente post non è mettere in discussione l’utilità di uno strumento come il fascicolo sanitario elettronico, quanto piuttosto le ricadute che il suo utilizzo ha sulla privacy e sulla formazione del consenso su questioni così delicate. Chiusa parentesi.
Con il decreto “Rilancio” a norma dell’art.11 è stata disposta la modifica della normativa di riferimento in materia di “fascicolo sanitario elettronico” (FSE). Modifiche che abrogano il principio secondo cui, per inserire dati nel FSE, era previsto l’espresso consenso del paziente, unico soggetto legittimato a decidere se e quali informazioni sanitarie inserire nel fascicolo elettronico (art. 12 comma 3bis DL 18 ottobre 2012 - n. 179). Pertanto informazioni delicatissime come patologie, diagnosi, farmaci assunti, terapie, ricoveri, cartelle cliniche, vaccinazioni...stanno finendo tutte online. Automaticamente e senza consenso.
Un atto gravissimo e fortemente lesivo dei diritti costituzionali dei cittadini - per giunta perpetrato con tecniche da truffa contrattuale - sulle cui tempistica e assenza di informazioni ci sarebbe moltissimo da riflettere.
Perché tutto questo avviene proprio adesso? Perché nel pieno di una pandemia - e mentre si discute di obbligatorietà vaccinale - viene prevista la schedatura sanitaria dell’intera popolazione italiana? A voler pensar male sembra l’anticamera dell’istituzione del passaporto vaccinale.
Ma il punto non è nemmeno e solamente questo.
Perché la cosa più grave e pericolosa di tutta questa storia è che con la scusa del risparmio e l’efficientamento della sanità pubblica (falcidiata da decenni di tagli) stanno consegnando i dati più sensibili e preziosi - quelli relativi alla salute - alla mercé del libero mercato.
Rassicurazioni del caso a parte, infatti, la gestione dei server e dei cloud sui quali queste informazioni vengono conservate è spesso in appalto a società esterne. Ciò significa che le cartelle cliniche sono gestite da aziende private (anche straniere) e custodite in condizioni di dubbissima sicurezza. Un contesto che - di fatto - non esclude che le informazioni stesse possano finire nelle mani di altre società come assicurazioni, banche, cliniche private, o chiunque altro voglia lucrare sullo stato di salute dei cittadini.
E allora uno legittimamente si domanda: ma dove è finito lo Stato di diritto? O, se ce lo si chiede, si passa necessariamente per complottisti?
E che nessuno provi a minimizzare.
Perché chi controlla le informazioni sullo stato di salute di una persona controlla la sua vita. Punto. E questo non vale soltanto per malati cronici, sieropositivi, disabili e soggetti a rischio. Vale per tutti.
Il che rende l’intera faccenda non esclusivamente circoscritta alla “salute”. Perché nel totale silenzio del governo e degli organi di informazione viene portato un attacco frontale (e forse decisivo) alla privacy dei cittadini. Ponendo nel basi per un futuro dai tratti sempre più inquietanti e distopici.
E così mentre al Senato dello Stato di New York depositano proposte di legge per l’istituzione di speciali centri di detenzione per soggetti pericolosi per la “public health”, l’opinione pubblica italiana sdogana a cuor leggero misure come la revoca del diritto di voto ai non vaccinati o la soppressione del modello di sanità universalistica.
Finendo per avvalorare la tesi che la pandemia sia - per più di qualcuno - l’occasione d’oro per trasformare la tutela della salute pubblica in un sofisticato meccanismo di sorveglianza di massa che assomiglia sempre più al Mondo Nuovo di Huxley.
Un mondo in cui provvedimenti sempre più pervasivi e impattanti nella vita quotidiana finiscono per trasformare il presente in una cupa modernità in cui lo stato di salute e diritti politici si intersecano pericolosamente, fino a sovrapporsi. Al punto che la democrazia diventa qualcosa che non può più definirsi tale.

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