Paolo Mieli e la dittatura antifascista

26 Ottobre 2021 13:06 Antonio Di Siena

La dittatura antifascista.
L’altro giorno Paolo Mieli dalle colonne del Corriere della Sera ha fatto una proposta davvero molto curiosa: sospendere la democrazia.
Da, sul serio? Certo, giudicate voi stessi.
L’idea è esplicitamente questa. Draghi “dovrebbe restare a Palazzo Chigi per il resto dei suoi giorni”, cioè a vita.
Per sempre.
Per ottenere questo mirabile risultato basterebbe fare quello che si è sempre fatto. L'ennesima riforma elettorale (prassi che, per stessa ammissione di Mieli serve esclusivamente a ottenere i “risultati auspicati”) funzionale a introdurre un sistema proporzionale che non consenta a nessun partito di conquistare la maggioranza. E quindi di governare.
Una riforma elettorale che, almeno in astratto, mi vedrebbe pure d’accordo.
Perché per i padri costituenti il sistema proporzionale era estrema garanzia di rappresentanza e quindi baluardo della democrazia. Ma che nelle sapienti mani di quelli come Mieli e dei criptogolpisti che non saltano sulla sedia alle sue parole, diventa strumento diabolico, funzionale a creare una sorta di caos organizzato (e pure parecchio reazionario) che implicherebbe lo stallo perpetuo della democrazia salvandone però la parvenza. Visto che “gli italiani voterebbero per le politiche […] ma l’effetto delle elezioni sarebbe, per così dire, fortemente mitigato”, perché “il voto servirebbe solo a ridefinire le quote ministeriali dei partiti. Per il resto tutto resterebbe com’è stato deciso prima del voto.”
Bella merda vero?
Eppure a Mieli questa prospettiva piace davvero un sacco, tanto da definirla impunemente “un’idea molto interessante”.
Parole pericolosissime e indegne, una sputazza sulla Repubblica italiana e sulla tomba di migliaia di martiri della libertà. Per di più pronunciate con l’autorevolezza del vecchio saggio, la pacatezza del sincero democratico e dalle colonne del principale quotidiano italiano. Una roba oscena e criminale che se l’avesse fatta Salvini l’avrebbero già arrestato. E che dovrebbe giustificare, in questo caso sì, non il suo allontanamento dalla RAI ma proprio un sonoro calcio in culo. Altro che Barbero.
E invece niente. A quasi una settimana da questa neanche troppo criptica invocazione di golpe, sul fronte antifascista tutto tace. Nessuna dichiarazione sdegnata, nessuna interrogazione parlamentare, nessuna manifestazione, nessuna campagna social. Niente di niente, manco un girotondo.
Perché, in fin dei conti e sotto sotto, i paladini di cui sopra condividono l'idea di fondo che Mieli magistralmente esplicita.
Il pericolo non è mica la concreta minaccia all’ordine democratico avanzata esplicitamente da banchieri e lobbisti. Ma manco per sogno. Il vero problema è che “l’idea di non volere più coinvolgere, neanche marginalmente, il corpo elettorale nella scelta di chi ci dovrà guidare [..] potrebbe rivelarsi poco adatta a combattere l’astensionismo e riavvicinare gli elettori alla politica”. Un problema di metodo, quindi, di forma e non certo di sostanza che si può riassumere in una semplice domanda: come salvare la liturgia democratica (continuare a far andare la gente a votare) svuotandone impunemente l’atto nel suo significato? Detta più commestibile. Come instaurare una dittatura senza che il popolo se ne accorga? Ecco il vero dilemma.
La cui soluzione, sempre secondo Mieli, necessita di molta prudenza “prima di avviarci lungo la via del coinvolgimento del corpo elettorale solo per chiedergli di confermare lo stato di cose esistente”. Perché il rischio concreto è assistere a nuove “ondate antisistema”. Quel populismo che tanto terrorizza l’establishment e che, difronte a parole come queste, altro non è che la più diretta e genuina risposta immunitaria della democrazia. Null’altro che un popolo che rivendica di governarsi democraticamente.
Una cosa evidentemente inaccettabile, almeno per questa gente. Ecco, adesso sapete come stanno realmente le cose, perché le hanno dette chiare e tonde. Quindi d’ora in poi fare finta di niente non sarà più una scusa.

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