Davvero emblematica la vicenda del Professor Bellavite, ematologo, dell'Università di Verona. Qualche settimana fa durante una ospitata presso il programma di Floris a La7 espresse dei dubbi sulla farmacovigilanza relativa agli effetti avversi ai vaccini ed espresse alcuni pareri non in linea con quelli dominanti. Ebbe la parola solo un paio di minuti e visto che non si era unito agli altri medici di regime presenti in studio il conduttore pensò bene di non restituirgliela.
Ma lo studioso deve aver detto qualcosa che ha punto nel vivo chi opera nelle segrete stanze, qualcosa che magari orecchie profane come le mie non sono riuscite a cogliere. Fatto sta che l'Università dove insegna l'indomani emanò una nota di dissociazione (e indirettamente di biasimo) da quanto sostenuto dal suo docente. E già questo suona strano, perchè mai un Ente Pubblico (quindi, forse tenuto a rispettare qulla Costituzione dove si parla di scienza libera e insegnamento altrettanto libero) si è sentito in dovere di contraddire ufficialmente e platealmente un suo ricercatore?
Evidentemente ci sono state pressioni non da poco. E ieri, infine, sempre l'Università ha deciso di sollevare dall'insegnamento il docente (che ormai in pensione operava credo con contratti precari o cose del genere). Poteva farlo, ma oggettivamente sono cose che stridono; se un ricercatore non ha il diritto di esprimere liberamente il suo parere tecnico-scientifico vuol dire che siamo oltre la linea sottile che separa lo stato autoritario dalla dittatura (la linea precedente che separa lo stato democratico dallo stato autoritario l'abbiamo superata da un bel pezzo, temo).
Ciò che preoccupa, però è l'elemento pedagogico di questa vicenda. Quale ricercatore esprimerà più il suo libero parere tecnico-scientifico se sa che se questo non è quello ammesso dal Potere potrebbe finire licenziato, o comunque nei guai? Nessuno, ovvio.
Ecco, quando ascoltiamo dei ricercatori, teniamo conto che il loro parere è espresso sotto libertà vigilata.
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