«L’incommensurabile si farà notare in ogni direzione quale corrispettivo della scienza esatta, ridotta finalmente a pura tecnica della misurazione. La vertigine dinanzi all’abisso cosmico è un aspetto del nichilismo.»
Ernst Jünger, Oltre la linea (1950)
L'ultima fatica di Stefano D'Andrea (L'Italia nell'Unione Europea – tra europeismo retorico e dispotismo illuminato, Rubettino 2022) è un'opera che va oltre la linea, oltre le stesse volontà dell'autore. Dico questo perché si è dimostrata una riflessione di urgente attualità se saputa leggere anche in controluce. Nel profluvio di parole che possiamo leggere sui giornali, sul web e sui primi libri istantanei a riguardo della guerra tra l'Ucraina (e ormai la Nato) e la Russia certamente chi riusce ad andare più di tutti gli altri alla radice del problema è D'Andrea che ripercorrendo la genesi e l'evoluzione dell'Unione Europea riesce a darci uno spaccato esaustivo di come è nato questo mostro che ha completamente sovvertito l'ordine internazionale a partire dal commercio e che probabilmente si apprestava a sovvertirne anche l'ordine geopolitico (1).
Come l'Unione Europea – o più correttamente i paesi nord europei guidati dalla Germania - siano potuti diventare un enorme colosso economico tale da considerare il rapporto transatlantico con gli USA come sostanzialmente obsoleto e poco più che una palla al piede ce lo spiega magistralmente D'Andrea illustrandoci prima la genesi e l'introduzione dei Trattati di Roma che istituirono il mercato unico europeo e allargarono le competenze della Corte di Giustizia (prima Corte CECA) fino al punto di dare ai giudici il potere di imporre con degli automatismi il diritto comunitario sovraordinandolo così agli ordinamenti nazionali. Un caso da manuale di Dispotismo illuminato lo definisce D'Andrea. E aggiungo io, si è trattato del sassolino lanciato dalla cima della montagna che rotolando fino a valle trascina altre pietre formando una frana di dimensioni spaventose.
Non sfugge all'autore l'importanza della ratifica dell'Atto Unico Europeo del 1986 che è il secondo passo fondamentale in questo complesso processo di radicale trasformazione dell'ordinamento giuridico italiano, dello stato e conseguente della nazione (se il popolo non è d'accordo si rieduchi!); con questo trattato si inizia il processo di liberalizzazione del mercato dei capitali, ma anche della libera circolazione delle persone e delle merci. In buona sostanza si pongono le premesse per l'istituzione di una cosiddetta AVO (Area Valutaria Omogenea) (2) che è la necessaria e fondamentale premessa per la costituzione di una moneta unica. Peccato che il popolo di tutto questo non sia stato informato né tantomeno delle implicazioni economiche. Ma parafrasando Bertolt Brecht possiamo dire "Il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo potrebbe non essere d'accordo, bisogna evitare di informarlo".
Ma a mio avviso il nucleo centrale dell'opera di D'Andrea è la precisa e puntuale descrizione del cambio di paradigma della politica economica italiana che a partire dagli anni novanta del secolo scorso è passata – uso la terminologia usata dall'autore – da un modello di “repressione della rendita finanziaria” e dunque di gestione delle finanze pubbliche in termini “reali” e non “nominali” ad un sistema opposto di promozione della rendita finanziaria. Peccato che il passaggio ad un sistema del genere non è neutrale, ma foriero di conseguenze enormi. Una amministrazione delle finanze pubbliche improntata sul valore reale della moneta (valore nominale – tasso di inflazione) può lasciare correre nominalmente il debito pubblico tanto in valore reale inteso come capacità di potere d'acquisto sarà “tosato” dall'inflazione debitamente caricata mentre una amministrazione delle finanze pubbliche su base nominale, tende a ridurre a zero l'inflazione per evitare che la moneta sia svalutata nel suo potere d'acquisto. Ora, sia l'uno che l'altro paradigma a mio modo di vedere sono assolutamente legittimi e corretti, il punto di fondo è però che passare dal sistema “realistico” a quello “nominalistico” non è esattamente indolore: il debito (pubblico o privato che sia) fino ad allora accumulato diventa sempre più gravoso a causa delle politiche deflattive che potrebbero addirittura portarlo fino alla insostenibilità.
La Classe dirigente italiana, ci spiega D'Andrea ha per anni lavorato in maniera indefessa per arrivare a questo vero e proprio cambio di paradigma espellendo dal nostro ordinamento tutti quegli istituti che consentivano al governo di avere un controllo quasi pieno sul valore della moneta e quindi anche sul reale valore della moneta dovuta ai creditori. E' così che sono stati cancellati alcuni strumenti fondamentali di politica economica come:
3. la sostanziale cancellazione del servizio di tesoreria della banca d'Italia alla quale il governo poteva in una certa misura attingere sia per le spese correnti sia per quelle in conto capitale evitando così di rivolgersi al mercato.
Tutti strumenti che oltre a garantire un enorme margine d'azione al governo in tema di politica economica rendevano l'Esecutivo anche co-autore della politica monetaria perché - alla bisogna – poteva “gestire” il tasso di inflazione sgravando così lo Stato del suo debito in termini reali.
L'imposizione del cambio di paradigma in senso nominalistico (o volendo possiamo dire “alla tedesca”) voluto dalle nostre classi dirigenti della fine del secolo scorso ci è costato tantissimo rendendo il nostro debito gravosissimo per lo Stato in termini reali e ormai - dopo trenta anni da questa svolta - ormai arrivato al limite della sostenibilità.
Eppure di questa scelta suicida non si parla preferendo continuare a mandare avanti la vulgata dell'irresponsabilità ed incompetenza degli uomini della Prima Repubblica che “ci hanno lasciato un enorme debito pubblico” senza aggiungere però che questi lo bruciavano in termini reali grazie al tasso di inflazione opportunamente manovrato .
Sottolineo sotto questo aspetto, che questa strategia che D'Andrea chiama “Repressione della Rendita” è ben conosciuta a tutti gli economisti con un altro nome: mi riferisco all' “L'Eutanasia dei Rentiers” di keynesiana memoria (3). Eppure tutti tacciono, forse perché bisognerebbe discutere determinate figure che sono considerate “padri della patria”...o meglio “padri della Seconda Repubblica” (disgraziatissima).
Questa enorme manovra che non solo ha cambiato il volto della politica economica ma anche della Costituzione economica nel suo complesso e conseguentemente della nostra società ha avuto comunque un enorme risultato...per i paesi del nord Europa a partire dalla Germania. Ha imbrigliato un formidabile concorrente come l'Italia evirandola del proprio settore economico pubblico (a partire dall'IRI) svenduto per pagare un debito pubblico impagabile, ha inibito gli investimenti pubblici perché ha obbligato lo stato in continue manovre di austerità al fine di rispettare i parametri di Maastricht e del Patto di Stabilità e alla fine ha anche spiazzato gli investimenti privati con i capitalisti che hanno trovato molto più comodo accumulare ricchezze nel paradiso fiscale olandese piuttosto che rischiare in Italia.
Ma come dicevo all'inizio di questa riflessione nell'opera di D'Andrea si possono vedere anche le ragioni profonde della guerra che angustia l'Europa. La nascita dell'Euro sotto queste regole di deflazione, imposta come l'olio di ricino, e di austerità, usata come un manganello, hanno non solo impoverito i paesi del sud Europa ma hanno anche “affogato” la forza del Marco tedesco nella debolezza della Dracma, della Lira e della Peseta evitando rivalutazioni della moneta del nord Europa e facendo così guadagnare competitività sui mercati mondiali ai nord europei fino al punto di mandare in crisi gli stessi Stati Uniti. Basta guardare - sotto questo aspetto - il NIIP (Net International Investment Position) degli USA ormai sprofondato a oltre 17200 miliardi di dollari di passivo mentre la Germania ha accumulato ben 3000 miliardi di NIIP positivo, l'Olanda 1000 miliardi e altre centinaia di miliardi Belgio, Olanda, Danimarca, Austria, Lussemburgo e Svezia. Ricchezze inusitate e sfrontate che hanno generato l'ira di Washington che dopo molteplici avvertimenti (richiesta aumento commercio transtlantico (4), dieselgate, sanzioni Airbus) è passato alle vie di fatto incendiando l'Ucraina e obbligando la ricca e sleale Europa a imporre sanzioni suicide contro la Russia.
L'Euro e l'Europa non sono manco state il prezzo da pagare per la pace perpetua kantiana ma la premessa per una guerra che potrebbe travolgerci.
NOTE
(1) Basti pensare ai corridoi asiatici che l'UE si stava impegnando ad aprire nel Caucaso con il chiaro intento di creare un passaggio sicuro verso la Cina bypassando sia la Russia che il Mediterraneo. Si legga a tale proposito anche Fuad Shahbazov “New Caspian–Black Sea Transit Corridor Boosts Geostrategic Importance of South Caucasus” reperibile al seguente indirizzo: https://jamestown.org/program/new-caspian-black-sea-transit-corridor-boosts-geostrategic-importance-of-south-caucasus/
Oppure si guardi l'enorme interscambio commerciale tra la Germania e la Cina che nel 2021 ha raggiunto i 246,1 miliardi di euro oppure ancora si guardi il numero di imprese tedesche (tra le quali anche un colosso come Volkswagen) che ha superato le 5000 unità. Tutti segni di una postura tedesca (e dunque europea) al limite dell'alleanza con Pechino.
(2) Ad introdurre il concetto di AVO, Area Valutaria Omogenea, è il premio noble per l'economia Robert Mundell che ha sempre sostenuto che per costituire una unione monetaria funzionante è necessaria che nell'area dove deve agire la nuova moneta vi sia la completa libertà di circolazione dei capitali, delle persone e delle merci.
(3) John M. Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, capitolo XXIV (1936)
(4) Gli americani provarono a far sottoscrivere all'EU Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) ma alla fine la EU sdegnosamente si rifiutò accampando scuse di vario tipo.
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