Vi sono cento porte per entrare in India, e nemmeno una per uscirne.
Ferdinand de Lanoye
di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico
Certamente uno dei miei articoli che ha avuto più lettori tra quelli pubblicati da l'AntiDiplomatico è quello intitolato “Con la sola economia non si può capire cosa c'è dietro il MES: l'Italia e il grande gioco globale” (1) e scritto ormai oltre tre anni fa. In questo pezzo delineavo un quadro generale della situazione italiana al di là dunque del piccolo cabotaggio economicista. Il punto forse più importante che ho sottolineato è quello che individua nella centralità mediterranea del nostro paese e nella sua strategicità per aprire le rotte verso l'India che è stata individuata in occidente già da allora come il nuovo El Dorado per le aziende occidentali ormai costrette ad abbandonare la Cina (o quantomeno a diminuire gli investimenti verso l'Impero di Mezzo) a causa della strategia americana di contenimento di Pechino e nota come “Pivot to Asia”.
Alla luce di quanto illustrato dai leader mondiali nell'ultimo G20 svoltosi in India, non mi pare azzardato dire che questo articolo non sia invecchiato male e che anzi si sia dimostrato abbastanza corretto nella sua visione complessiva. Dico questo perché a margine di questo vertice gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita, l’Unione Europea e gli Emirati Arabi Uniti hanno lanciato una iniziativa per collegare ferrovie, porti, reti elettriche e di dati e pipeline dell’idrogeno di fatto, facendo così da contraltare (almeno nelle intenzioni) alla Belt and Road Initiative cinese e anzi nelle intenzioni provando a creare un asse euroatlantico con l'India che controbilanci – e magari ridimensioni – l'egemonia che Pechino sta pazientemente costruendo in Africa e in Eurasia.
In buona sostanza con questa iniziativa l'Occidente vorrebbe attrarre verso di se l'India ormai sempre più paese leader del BRICS+ composto da undici paesi, ma anche mantenere la presa su Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti che stanno sempre di più stringendo rapporti con la Cina e abbandonando anche dal punto di vista finanziario e monetario l'Occidente.
Una iniziativa questa che non pare azzardato definire da ultima spiaggia per l'Occidente ed in particolare per l'Europa per il tipo di eventi geopolitici che si sono verificati – in Europa in particolare – negli ultimi tre anni.
A est è deflagrata violentemente la crisi ucraina che è diventata di fatto guerra aperta tra Ucraina-Nato e Russia, e conseguentemente ha portato anche alla rottura sostanziale dei rapporti commerciali tra Europa e Russia che era uno degli ingredienti fondamentali della competitività europea: la Russia dava all'Unione Europea energia a basso costo e la EU esportava in Russia quantità enormi di prodotti finiti e investiva anche in stabilimenti produttivi in loco. Un modello formidabile questo, che ha dato slancio alla Vecchia Europa per venti anni ma che ormai è impossibile far sopravvivere, cosa questa che mina alle fondamenta la competitività europea nei mercati mondiali spingendola verso un sottoutilizzo dei suoi fattori produttivi.
Dall'altro lato, a Ovest, l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea ha levato profondità strategica all'Unione Europea verso tutti i paesi del Commonwealth a partire dal Canada e dall'Australia. Per non dimenticare poi il fatto che Londra con l'esplodere del conflitto ucraino si è potuta permettere una postura particolarmente aggressiva anche dal punto di vista militare, danneggiando così platealmente l'Europa che di tutto aveva bisogno tranne che di qualcuno che buttasse benzina sul fuoco. Ma anche volgendo lo sguardo verso sud per l'Europa non vanno bene. La Francafrique ormai non esiste più dopo l'aperta ribellione dei paesi del Sahel che da sempre erano legati alla Francia (vecchio paese colonialista) grazie alle politiche di governi autoritari e corrotti. Ora dopo una serie di colpi di stato (sostanzialmente sostenuti da Russia e Cina) che hanno scardinato i rapporti di forza interni in Niger, Mali e Burkina Faso tutta l'Africa subsahariana è in chiara ed aperta ribellione contro il gioco europeo e francese in particolare.
E' chiaro che in un contesto come questo – che definire devastante è un eufemismo – l'Europa vede nella possibile rotta a sud est verso l'India l'ultima ciambella di salvataggio prima del naufragio completo. Infatti sin dal suo annuncio la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si è lanciata in una serie di dichiarazioni roboanti dove il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa è definito “molto più di una semplice ferrovia o un cavo. È un ponte verde e digitale tra continenti e civiltà".
Non mi pare azzardato dire però che il fronte occidentale non ha gli stessi obbiettivi di fondo. Se per l'Europa la rotta verso l'India appare come l'ultima spiaggia per riguadagnare la competitività perduta per i paesi anglosassoni l'India rappresenta soprattutto il perno fondamentale per controbilanciare la potenza straripante della Cina in Asia. E anzi, non sembra per nulla esagerato dire, che per gli anglosassoni è altrettanto importante che contrastare la Cina il fatto che l'Europa non si avvantaggi troppo da questo accordo. Del resto, lo si può ben capire che sarebbe abbastanza stupido per Londra e per Washington ridare competitività ai paesi europei dopo che dal 2014 hanno fatto di tutto per fargliela perdere facendo esplodere la crisi ucraina così da spezzare l'asse commerciale esistente tra Russia e Unione Europea (e Germania in particolare).
Ma anche l'India ha dal suo punto di vista obbiettivi che non sempre sono compatibili né con quelli europei né con quelli anglosassoni. Infatti è abbastanza evidente come l'India voglia da un lato lucrare il massimo possibile dall'appartenenza ai BRICS+ così come allo stesso tempo vuole lucrare quanto più si può da questo accordo annunciato - tutto da costruire nella pratica – con i paesi occidentali. Infatti, basta pensare che l'India si è guardata bene dall'imporre sanzioni alla Russia e anzi è diventata una delle maggiori acquirenti del petrolio e del gas siberiano particolarmente a buon mercato.
Insomma in questo nuovo accordo – ripeto – annunciato ma tutto da realizzare nella pratica, ogni attore ammanta di ipocrisia le proprie dichiarazioni pubbliche non chiarendo quelli che sono gli obbiettivi finali di questo progetto.
Un ultima considerazione. Nel mio articolo di tre anni fa esprimevo l'opinione che in una logica che vede il Mediterraneo al centro l'Italia teoricamente assume un ruolo molto importante ma che ciò non è necessariamente gradito a chi da venti anni in Europa pone e dispone e che in questa logica il ruolo del MES è quello di togliere autonomia all'Italia relegandola a piastra logistica del Nord Europa. Non stupisce per nulla che in questo frangente le pressioni all'Italia per l'approvazione della riforma del MES siano diventate molto forti magari anche usando lo strumento dell'immigrazione selvaggia dalla Tunisia. Infatti la UE si è guardata bene dal dare le risorse finanziarie alla Tunisia necessarie per arginare l'ondata migratorie. Tutto questo a mio avviso non è casuale per nulla.
(1) L'AntiDiplomatico, Con la sola economia non si può capire cosa c'è dietro il MES: l'Italia e il grande gioco globale, 12 Maggio 2020 Link: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-con_la_sola_economia_non_si_pu_capire_cosa_c_dietro_il_mes_litalia_e_il_grande_gioco_globale/29296_34890/?fbclid=IwAR2D8h2loGLSkDtsNHpCP3ZCAinSVLTiAt5T7fnoTskEtruYc3fZuhA8bbE
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