di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico
La situazione sul campo di battaglia in Ucraina si fa sempre più drammatica a causa dell'avanzata delle truppe russe nel Donbass. In particolare a preoccupare il regime filo occidentale di Kiev guidato da Zelensky è lo sfondamento delle linee eseguito, da parte dell'esercito russo, nei pressi della città strategica di Pokrosk, ovvero del centro fondamentale per la logistica militare ucraina nella regione. A peggiorare ulteriormente la situazione di Zelensky è la rotta nel territorio russo di Kursk invaso dalle truppe di Kiev circa un mese fa: ormai questa manovra si sta sempre più dimostrando una mossa suicida anche grazie allo sfondamento delle truppe russe che stanno avanzando nei distretti di Korenevo e di Sudzha liberando peraltro diversi insediamenti.
Insomma, siamo di fronte ad una vera e propria rotta delle truppe di Kiev che ovviamente non sarà priva di conseguenze. Già questi due anni e mezzo di guerra infatti ci hanno insegnato, che a seguito di una debacle ucraina l'occidente non tende di certo a fare un passo indietro, ma, al contrario, né prepara uno in avanti; ovvero blocca qualsiasi ipotesi di trattativa, come per esempio quella “stoppata” dall'allora Premier britannico Boris Johnson due anni fa a Istanbul e prepara una nuova escalation del conflitto militare.
Anche questa volta non sembra andare diversamente: più è diventata evidente la rotta ucraina nel Donbass e a Kursk e più dai giornali occidentali e dai politici si sono alzate le voci che chiedono un maggior impegno occidentale sia con la fornitura a Kiev di armi ancora più letali e sia con il cambiamento delle norme di utilizzo di queste.
Subito l'attenzione si è focalizzata sulla fornitura di missili da crociera che colpiscano in profondità il territorio russo internazionalmente riconosciuto. Nello specifico, ad essere stati individuati come armi “eleggibili” per la nuova escalation sono i missili da crociera franco-britannici Storm Shadow e soprattutto i letali missili da crociera americani JASSM. Questi ultimi sono dei missili aviolanciati con una gittata di circa 400 km (nella versione base) e dunque in grado di colpire fino a Mosca. Non solo, questi ordigni hanno ulteriori due caratteristiche; quello di essere in grado di operare anche in caso di forte disturbo elettronico causato per esempio da strumenti JAMMER nemici e quello di essere stati prodotti in quantità ben più alte degli “equivalenti” europei Storm Shadow e SCALP e dunque in grado di essere lanciati in numero sufficiente da “bucare” per saturazione i sistemi antimissile russo.
A riguardo dell'utilizzo di questi sistemi d'armi sono arrivati proprio ieri a Kiev il segretario di Stato americano Antony Blinken e il Ministro degli Esteri britannico David Lammy ma fino ad ora non vi è stata alcuna comunicazione ufficiale in merito alle risultanze del vertice tenutosi con le autorità ucraine. La cosa però ha immediatamente generato l'allarme generale a Mosca tanto è vero che a stretto giro hanno replicato sia il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov che, addirittura, Vladimir Putin in persona. Entrambi hanno detto che il coinvolgimento della NATO è sempre più palese e Putin in particolare ha chiarito che qualora la NATO dia il permesso di usare questi missili su bersagli in territorio russo Mosca considererà questo fatto come una sostanziale dichiarazione di guerra. Da notare che nella prassi del Cremlino, la parola pubblica di Putin è da sempre l'ultimo estremo avviso prima dell'azione: generalmente prima per comunicare con l'Occidente fanno parlare il vice ministro degli esteri Sergey Ryabkov, poi fanno parlare il Ministro Sergey Lavrov e infine – come extrema ratio – fanno parlare il Presidente. La gravità delle parole di Putin non sono infatti cadute nel vuoto, infatti, a qualche ora di distanza, il Dipartimento di Stato di Washington ha dichiarato testualmente che «Gli Stati Uniti non sono ancora pronti ad annunciare la revoca delle restrizioni sugli attacchi a lungo raggio da parte delle forze armate ucraine all'interno della Federazione Russa». Dunque pericolo scampato? Sembrerebbe di no, infatti il New York Times di oggi ha dato notizia che Biden annuncerà il permesso concesso all'Ucraina di usare su bersagli in territorio russo degli... Storm Shadow britannici.
A rendere la situazione ancora più complessa è anche un elemento di guerra cognitiva introdotto da Kiev.
Si tratta del progetto di sviluppo dell'industria bellica ucraina per produrre, tra l'altro, anche droni con raggio d'azione di ben 1800 km ma anche di missili a lungo raggio. Nessun analista serio crede che un progetto del genere possa realmente vedere la luce, viste le condizioni tragiche dell'Ucraina, ormai inabile anche a prodursi l'energia elettrica. Al massimo Kiev riuscirà ad assemblare missili, droni e altre armi prodotte in paesi terzi, così da avere l'opportunità di mettere la propria bandierina sulle armi sgravando furbescamente i paesi sostenitori dalle ire dei russi (almeno nelle intenzioni). A tale proposito è da rilevare proprio ieri che si è avuto notizia di un attacco di droni “ucraini” sulla regione di Murmansk.
L'attacco è stato sventato dalla contraerea russa a Olenegorsk, ad appena 7 chilometri dall'aeroporto strategico di Olenya che ospita i bombardieri nucleari strategici russi. Dunque si è trattato di un probabile attacco con la finalità di disattivare parte del deterrente nucleare russo. Un gesto questo che secondo la dottrina russa può essere passibile di risposta con armi atomiche proprio perchè tendente a distruggere le capacità russe in ambito di rappresaglia nucleare. Il punto è che secondo molti analisti è davvero difficile credere che dei droni partiti dall'Ucraina possano volare indisturbati fino a 1800 Km di distanza arrivando fino alla penisola di Kola; infatti molti sostengono che in realtà il punto di partenza per l'attacco fosse situato in Finlandia e dunque in territorio NATO.
Da notare che, non a caso, solo pochi giorni fa l'Ucraina ha annunciato che i suoi droni possono arrivare a colpire fino a 1800 km di distanza, provando così a rendere credibile che l'attacco di ieri alla penisola di Kola sia partito dal proprio territorio. Tentativi di guerra cognitiva che possono essere allargati anche a qualche attacco con missili da crociera nella Russia profonda, facendo credere che i missili usati siano prodotti internamente.
Una situazione che si sta facendo giorno per giorno sempre più pericolosa, se in Occidente ci fossero politici saggi si preoccuperebbero delle parole di Putin espresse ieri.
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