Il "pezzo africano" della terza guerra mondiale

18 Ottobre 2024 14:00 Giuseppe Masala

In quel grande mosaico che è la Guerra Mondiale “a pezzi” in corso in questa fase storica certamente gioca un ruolo cruciale il tassello che comprende il Mar Rosso, lo stretto di Bab al-Mandab e il Golfo di Aden. Come tutti sappiamo ad aver acceso i riflettori dei mass media occidentali su quest'area è il blocco al transito alle navi occidentali – tutt'ora in corso – decretato dagli Houthi, ovvero i ribelli filoiraniani yemeniti che controllano sostanzialmente la parte ovest del paese.

Come si può capire questo blocco è uno smacco gravissimo per gli armatori occidentali che si vedono costretti a far percorrere alle loro navi cargo la costosissima rotta di circumnavigazione dell'Africa con il fine di evitare i missili antinave delle milizie yemenite.

Questo enorme problema economico per l'Occidente ci fa però dimenticare che lo stretto di Bab al-Mandab non ha solo la sponda nord-est nella penisola arabica, ma ha anche la sponda sud-ovest nel continente africano e precisamente in quel quadrante comunemente noto come Corno d'Africa.

Anche in questa precisa area africana i rapporti internazionali si stanno muovendo ormai in maniera sempre più evidente verso un potenziale conflitto; sia chiaro, nei rapporti tra stati incidono questioni di natura storica, antropologica, etnica, religiosa peculiari dell'area territoriale, ma spesso si vede anche la mano delle grandi potenze mondiali che tentano di influenzare “il gioco regionale” per trarne vantaggio. Per ottenere questi obbiettivi spesso le grandi potenze fanno leva proprio sulle rivalità e i conflitti storici tra paesi; appoggiando l'alleato fedele che dovrà confrontarsi con il paese rivale - guarda caso - sostenuto dalla potenza mondiale avversaria. Ovviamente questo genere di strategia la si nota maggiormente in quelle aree di importanza strategica vitali per le grandi potenze o per la posizione geografica o perché in quell'area vi è magari abbondanza di materie prime di fondamentale importanza per l'economia. Il caso del Corno d'Africa è proprio quello di essere un'area geografica rivierasca di quel ganglio vitale dell'economia mondiale che è lo Stretto di Bab el-Mandab.

Che qualche cosa si stesse muovendo in questo quadrante del globo lo abbiamo capito appena è arrivato l'annuncio bomba dell'entrata dell'Etiopia nei BRICS+. Innanzitutto bisogna però chiarire che l'entrata nel club dei paesi alternativi all'Occidente di questo grande e popoloso paese di ben 115 milioni di abitanti che è l'Etiopia è, sostanzialmente, attribuibile al fatto che a partire dal 2000 ha avuto una travolgente crescita economica di circa il +9% di PIL all'anno dovuta all'istituzione dei cosiddetti parchi industriali che hanno attratto investimenti, attività produttive e lavoro da molte aree del mondo grazie ai bassi salari e alle leggi “poco costose” sul piano ambientale e sul piano fiscale.

L'enorme opportunità dell'entrata di Addis Abeba nei BRICS+ che potrebbe essere un rilevante volano economico si scontra però con un enorme handicap strategico: l'Etiopia non ha sbocchi diretti al mare. Ed è qui che ovviamente nasce il problema! Infatti immediatamente Addis Abeba si è attivata con un accorto lavorio diplomatico per risolvere l'impasse strategica, riuscendo nel 2023 ad ottenere dal Somaliland la concessione cinquantennale di un'area di 20 Km quadrati attorno al porto di Barbera.

E' facile immaginare che - a questo punto - per la maggior parte dei lettori, sia necessaria una breve digressione storica, legata alla vicenda relativa allo stato del Somaliland. Questo stato è l'ex Somalia britannica che nel il 26 Giugno 1960 ha ottenuto l'indipendenza da Londra riunendosi il 1 Luglio dello stesso anno con la Somalia italiana che – sempre il 1 Luglio – ottenne l'indipendenza da Roma. Con lo scoppio della guerra civile somala del 1990 e il conseguente collasso dello stato del 1991 il Somaliland si ritirò dall'unione con l'entità statale dell'ex Somalia italiana, riguadagnando così l'indipendenza, questo però senza essere riconosciuta né dalla comunità internazionale né, tantomeno, da Mogadiscio.

Dopo tutto questo i già fragili equilibri di questo quadrante del globo sono completamente saltati, infatti il 10 di ottobre, durante un vertice tra Egitto, Eritrea e Somalia, tenutosi ad Asmara è stata annunziata la nascita tra i tre paesi di un patto per la sicurezza che da tutti gli osservatori (a partire dal prestigioso Foreign Policy) è stato definito come un asse contro l'Etiopia così da contenerne le ambizioni. Nella dichiarazione dei presidenti dei tre paesi non è mancata la sottolineatura che la Somalia ha il diritto di difendere la sua integrità territoriale; come si può comprendere si tratta di un chiaro riferimento alla indipendenza di fatto del Somaliland e indirettamente anche all'Etiopia che unico paese al mondo ne ha riconosciuto l'indipendenza ottenendo in cambio il tanto agognato sbocco nel Golfo di Aden.

A leggere le cronache di quei giorni però non siamo di fronte alle semplici dichiarazioni d'intenti ma a qualcosa di più concreto. Infatti sono stati segnalati aerei cargo egiziani che trasportano armi fino in Somalia, aumentando il rischio di una escalation tra Somaliland ed Etiopia da una parte e Somalia. Da notare inoltre che lo stesso Egitto ha in corso una ultradecennale disputa con Addis Abeba in merito alla costruzione della Grande Diga del Rinascimento progettata dall'Etiopia e che dovrebbe sbarrare il Nilo danneggiando così l'Egitto a causa della conseguente diminuzione del più fondamentale dei beni: l'acqua.

Ma c'è un ulteriore punto che desta allarme: la firma di un trattato di difesa comune tra la Somalia e la Turchia che prevede addestramento di truppe, consegna di armi, pattugliamento delle coste somale e dove, non manca il riferimento alla integrità territoriale Somala in relazione all'indipendenza del Somaliland ora riconosciuto da Addis Abeba. Un trattato questo tra la Somalia e il Sultano della Sublime Porta Erdogan che ovviamente fa da contrappeso all'entrata dell'Etiopia nel BRICS+ in considerazione del fatto che Ankara fa parte della Nato.

Non pare dunque azzardato sostenere la tesi che lungo tutto il bacino del Nilo (e parallelamente nel Mar Rosso se si considera lo Yemen) rischia di incendiarsi un altro enorme conflitto (mai dimenticare che in Sudan si combatte già una guerra civile con sullo sfondo diversi interessi stranieri...) che sarebbe l'ennesima sanguinosa puntata della Guerra Mondiale “a pezzi”.

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