di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico
Siamo all'alba di quella che ormai dalla fine della Seconda Guerra Mondiale è vista come una data cruciale per il mondo occidentale: l'elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti d'America.
Ma cosa di concreto potrebbe cambiare nei rapporti tra le due sponde dell'Atlantico a seconda di chi vincerà la contesa elettorale americana? Quali sono le reali differenze tra Harris e Trump?
Credo che per comprendere correttamente le differenze di “politiche europee” tra i due candidati sia necessario scindere il tema dei rapporti transatlantici in due macrotemi fondamentali: le politiche commerciali e le politiche militari.
Però prima di addentrarsi nelle due grandi tematiche delineate è necessaria una fondamentale premessa: i rapporti tra le due sponde dell'Atlantico non sono paritarie ma corrispondono piuttosto a quelle descritte nella Teoria microeconomica “Principale-Agente” dove – naturalmente - il Principale è Washington e l'Agente sono i paesi europei e dove il “contratto” fondamentale è il “Patto Atlantico” firmato a Washington nel 1949. Se per interi lustri (soprattutto dalla caduta del Muro di Berlino) gli americani avevano illuso gli europei facendo credere che ci fosse una sostanziale parità tra le due sponde dell'Atlantico, con lo scoppio della guerra in Ucraina (peraltro ampiamente fomentata da Washington) i rapporti di forza interni alla Nato sono emersi nella loro brutalità: Washington dispone e i paesi europei eseguono anche, e soprattutto, contro i propri interessi politici ed economici. Fatto questo manifestatosi plasticamente con l'imposizione di sanzioni alla Russia che si sono rivelate rovinose per l'Europa e che, di fatto, sono andate a rompere il partenariato commerciale tra l'Europa e Mosca.
Va anche detto che in Europa non tutti i partner sono uguali, ovviamente Francia e Gran Bretagna sono trattati con rispetto (peraltro gli interessi materiali di Parigi e Londra coincidono con quelli di Washington), Olanda, Belgio, paesi nordici e iberici sono trattati con dignità, mentre Germania e Italia sono, di fatto, trattati come derelitti i cui interessi nazionali non hanno alcuna rilevanza. Non appaia quanto detto come una provocatoria esagerazione, siamo di fronte alla cruda realtà; basti pensare all'umiliazione della “potente” Germania in relazione alla vicenda del sabotaggio del gasdotto NorthStream che ha disintegrato la competitività dell'industria tedesca e dove tutti sanno che il mandante di quella operazione è a Washington ma che a Berlino devono far finta di non capire dato il loro stato di minorità rispetto ai paesi vincitori della seconda guerra mondiale. Medesimo discorso vale per l'Italia: chi non ricorda l'umiliazione subita da Roma quando fu costretta a rimangiarsi il trattato di amicizia con la Libia del 2008 per partecipare subito dopo ai bombardamenti Nato del paese africano? Non creda il lettore che oggi, se Roma dovrà fare qualcosa contro i propri interessi non sarà costretta dagli alleati della Nato ad agire senza fiatare...
Solo avendo inquadrato questo contesto generali si possono capire le dinamiche nelle due macroaree fondamentali dei rapporti transatlantici che ora andremo a vedere.
Politiche commerciali
Per comprendere la realtà delle politiche commerciali che caratterizzeranno i rapporti transatlantici bisogna avere come stella polare le grandezze dei conti nazionali degli USA e dei paesi europei, dunque Bilancia Commerciale e Saldo delle Partite Correnti e soprattutto, quella grandezza che è la summa delle altre due, ovvero la posizione finanziaria netta (NIIP). In particolare, al momento, il NIIP statunitense denota una situazione catastrofica con ben 22500 miliardi di dollari di posizione finanziaria netta negativa al 2° Quadrimestre del 2024. Situazione catastrofica in netto e continuo peggioramento nonostante gli sforzi di Washington. E' chiaro che con questa grandezza fondamentale che denota numeri devastanti non può che mettere a repentaglio il predominio del dollaro e dunque menomare la politica monetaria della FED che avrà come unica stella polare la necessità di tamponare l'enorme falla, o “stampando” nuova moneta o implementando politiche monetarie che “attraggano” investitori dall'estero.
Nel caso di vittoria di Trump le cose sono abbastanza chiare visto che è stato lo stesso tycoon newyorkese a chiarirle. Assisteremo ad un brutale conflitto commerciale tra gli USA e il resto del mondo con l'imposizione di dazi molto forti, di circa il 60% sull'import cinese e del 10% su quello dagli altri paesi compresi quelli europei. Non possiamo neanche escludere che Trump decida l'uscita degli USA dal World Trade Organization, cosa peraltro più volte minacciata durante il suo primo mandato.
In caso di vittoria di Kamala Harris solo apparentemente le politiche commerciali sembreranno diverse ma il risultato di fondo non potrà cambiare. Indipendentemente da chi arriverà alla Casa Bianca il problema dei conti nazionali USA fuori controllo, a partire dal NIIP, dovrà essere risolto. Conseguentemente possiamo attenderci una politica altrettanto violenta rispetto a quella di Trump e dove l'unica differenza sarà il tentativo di salvare la facciata degli apparenti buoni rapporti soprattutto con i paesi europei. Personalmente mi attendo un rafforzamento dell'Agenda Green di Biden ed in particolare del colossale piano Inflaction Reduction Act che dietro il paravento di riconvertire il settore produttivo USA in senso green ha il reale obbiettivo di attrarre imprese, soprattutto europee, verso gli Stati Uniti. Insomma con Kamala è lecito attendersi una politica che non punta a vendere più merci USA in Europa ma direttamente a far trasferire le imprese europee in USA ottenendo di fatto gli stessi benefici anche sul piano dei conti nazionali statunitensi. Inoltre è lecito attendersi ulteriori forti pressioni verso l'Europa per imporre altre sanzioni alla Russia soprattutto nel settore dell'energia così da recidere completamente il cordone ombelicale tra Russia e paesi europei e distruggerne definitivamente la competitività e, conseguentemente, spingere le imprese europee a delocalizzare.
Politica Militare
L'altro architrave delle politiche atlantiche è senz'altro quello delle politiche militari che sono – almeno fino ad ora – strettamente decise in ambito Nato, dove l'azionista di maggioranza è chiaramente Washington con due junior partner che sono Londra e Parigi e tutto il resto del gruppone sostanzialmente ridotto alla stregua di truppe coloniali facilmente sacrificabili.
Con le prossime elezioni presidenziali USA, però, molto potrebbe cambiare, soprattutto in caso di vittoria di Donald Trump che non ha mai nascosto la sua ostilità alla struttura della Nato considerata una idrovora mangiasoldi del contribuente americano. La vittoria del tycoon comporterebbe sicuramente un aumento delle spese militari per tutti i paesi componenti dell'alleanza, molto probabilmente a cifre non inferiori al 3% del rapporto Deficit/Pil ma non possiamo escludere manco una possibile disintegrazione dell'alleanza visto che Trump ha sempre dichiarato di preferire le trattative bilaterali con ogni singolo “alleato” (sarebbe più giusto dire “colonia”). Inoltre non va dimenticato che Trump in più di una circostanza ha dichiarato di considerare il teatro europeo di secondaria importanza rispetto a quelli primari dell'Estremo Oriente e del Medio Oriente e conseguentemente questo potrebbe maggiormente orientare più verso una rottura dell'alleanza per stipulare accordi bilaterali tra Washington e le controparti europee.
Con la vittoria della Harris non cambia il quadro generale, anche l'ala Dem di Washington considera ormai il teatro europeo come secondario rispetto a quello del Medio Oriente e dell'Estremo Oriente anche se, va detto, nulla lascia pensare che la Harris rottamerà l'Alleanza Atlantica. Anche con la Harris però assisteremo a pressioni verso i paesi europei per aumentare la spesa militare: l'apparato militare-industriale americano ha sempre bisogno di nuovi clienti e architrave immutabile della politica di Washington è quello di procacciarglieli a qualunque costo. Ritengo anche che con la Harris potrebbe esserci una netta spinta USA per la creazione del fantomatico “Esercito Unico Europeo”, tanto vaneggiato dai nostri europeisti. Ma non sarà certamente un esercito che aumenterà il grado di indipendenza dell'Europa dagli USA, al contrario è facile ipotizzare che sarà un dispositivo militare di ascari al servizio degli USA nel secondario teatro europeo e, magari, anche in quello Mediterraneo. Dico questo perchè solo degli inguaribili sognatori potrebbero pensare che l'Esercito Europeo possa essere qualcosa di più di un serbatorio di “truppe cammellate” degli USA; l'Europa non ha profondità strategica, e ha un gap in materia militare - dal nucleare, all'aerospaziale - talmente enorme rispetto a Washington, Pechino e Mosca che ben difficilmente potrà essere colmato autonomamente anche in decenni.
In definitiva con la vittoria dell'uno o dell'altra per l'Europa non ci sarà molto da ridere, cambieranno solo i modi e gli strumenti utilizzati per ottenere l'assoggettamento totale della UE a Washington.
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