Alle ore 6.30 di stamane Il sussidiario pubblicava il consueto editoriale di Giulio Sapelli. Ma come al solito questo analista svia.
Innanzitutto, la caduta del saggio di profitto è avvenuta non 30 anni fa, ma alla fine degli anni sessanta. La successiva “guerra al salario”, di cui parla Sapelli, con spostamento da salari a profitti e rendite, partì nel 1973 con la Trilaterale.
In Italia solo alcuni settori di Potere Operaio – non Negri -, l’Autonomia Operaia e pochi altri, cui fu riservata la non benevola attenzione dell’autorità giudiziaria, colsero il dato storico, mentre il Pci si votava all’austerità.
La stessa caduta del saggio di profitto – ma questo Sapelli non lo dice – dà la possibilità di avviare controtendenze, e sono 5, elencate da Marx nel Capitale e specificate dettagliatamente da Grossmann.
L’unica scelta concreta tra le 5 controtendenze è stata però il capitale produttivo di interesse, vale a dire la finanziarizzazione, resa possibile dalle banche centrali.
Il fantasma della Cina, che Sapelli evoca anche in questo scritto, al limite ormai del paranoico, ha offerto in questi decenni un sentiero opposto: politiche monetarie restrittive e politiche fiscali espansive.
Nel 2008, come ho evidenziato nel mio libro, quel paese ha deciso (e soprattutto praticato) il passaggio al plusvalore relativo, conseguente aumento della produttività totale dei fattori produttivi e reflazione salariale (ossia aumenti,continui e progressivi).
Visto l’enorme tasso di risparmio, le autorità cinesi avviarono la strategia del “salario sociale globale di classe“, di cui parlo nel libro, proprio come ha chiesto l’ex Ministro del Tesoro Usa Lawrence Summers a novembre scorso.
Se Sapelli ritiene che Draghi operi in questo senso, non si capisce la ragione di questa compagine governativa, tutta votata da decenni alla deflazione salariale (diminuzione continua e progressiva).
Infine, la necessità della “centralizzazione capitalistica”, di cui sarebbe portatore Draghi, come controtendenza alla caduta del saggio di profitto, volta a passare alla testa della catena del valore industriale, cozza con la vecchia idea di Sapelli della Lega come “espressione della borghesia nazionale”, visto che essa è semmai espressione dei subfornitori e contoterzisti (in primo luogo verso la Germania),
Ossia coloro, che impediscono il salto tecnologico che il nostro Paese già era stato in grado di realizzare fino a 30 anni fa, con i colossi pubblici.
L’attuale compagine parlamentare e delle classi dirigenti italiche cozzano con la speranza di Sapelli di arrivare alla testa della catena del valore, resa possibile dalla centralizzazione capitalistica. Quella centralizzazione, infatti, richiede grande capacità di fuoco e una domanda interna fortissima, fuori dal paradigma export oriented.
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