Abbiamo vinto l’europeo, siamo tutti felici. Io ho tifato e sono contentissimo. Finiamola però con questa retorica della rinascita del paese. L’Italia non si riprenderà per una partita di pallone, pensarlo è stupido, è anzi un modo per nascondere i problemi, per non dire la verità. La nostra ripresa non dipende da bravi giocatori come Chiellini, Chiesa o Insigne, ma dalla capacità di liberarci di un enorme apparato ideologico di cui il calcio rischia di essere uno strumento retorico. Ci libereremo delle nostre debolezze nazionali, quando finalmente si riprenderà un po’ di coscienza di classe, quando torneremo a essere un’Italia di popolo e abbandoneremo le velleità di facile ricchezza o le idiozie individualistiche da startup e anti stato (dilaganti anche a sinistra).
Quando insomma cominceremo a essere meno provinciali, meno subalterni alle idiozie di Maastricht, meno creduloni verso le magnifiche sorti progressive del capitale, meno schiavi dei miti dell’imprenditore e del l’individualismo anarcoide. Il nazionalismo italico che i media costruiscono ogni volta intorno alle vicende degli Azzurri è invece penoso, fa scendere il latte alle ginocchia, è una falsificazione sia del calcio, sia del nostro paese, descritto come creativo, resiliente, dinamico. È tutto falso. L’Italia è un paese dominato dalla mediocrità, da una classe politica indecente, da un’élite economico-industriale che meriterebbe calci nel culo, da un’intellettualità idiota e meschina. Col calcio ci possiamo consolare, divertire, piangere lacrime di gioia o di amarezza, ma non risolvere i nostri problemi.
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