Nel discorso di oggi alla Camera Conte ha invocato una nuova alleanza di governo ispirata a «due discriminanti fondamentali»: la Costituzione e l’europeismo.
Peccato che la Costituzione italiana e l’informale costituzione economico-giuridica incardinata nei trattati europei siano del tutto incompatibili.
La Costituzione italiana incarna un preciso modello di economia e di società fondato sulla programmazione economica, la piena occupazione, la partecipazione diretta delle masse alla vita economica e politica del paese ecc.
Volgendo ora lo sguardo ai trattati europei, è facile constatare come essi presuppongano un’idea di società ben diversa da quella che avevano i nostri padri costituenti. Tanto per fare qualche esempio, la Costituzione «tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni» e «aiuta la piccola e media proprietà» (artt. 35 e 44), mentre l’Unione europea impone la deflazione salariale e la deregolamentazione dei mercati del lavoro, e promuove le liberalizzazioni a vantaggio del grande capitale; la Costituzione «favorisce l’accesso del risparmio popolare [...] al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese» (art. 47), mentre l’Unione europea impedisce all’Italia ogni vincolo di destinazione del risparmio degli italiani, sancendo l’assoluta libertà di circolazione dei capitali; la Costituzione «disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito» (art. 47), mentre l’Unione europea, per mezzo di una serie di direttive comunitarie, ha privato gli Stati della possibilità di fissare le regole cui subordinare l’attività creditizia entro i propri confini; la Costituzione ammette, in presenza di determinate condizioni, monopoli pubblici o collettivi, sia originari, sia derivanti da espropriazioni con indennizzo (art. 43), mentre l’Unione europea proibisce i monopoli e promuove la concorrenza in ogni campo dell’attività economica; la Costituzione prevede che la «legge determin[i] i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali» (art. 41), mentre l’Unione europea priva gli Stati di qualunque strumento politico-economico (monetario, fiscale, industriale, ecc.) atto a raggiungere quello scopo, affidando il sistema economico alla pura concorrenza tra privati e ai gestori dei grandi capitali internazionali.
Insomma, la distanza tra la nostra Costituzione e i trattati europei è fin troppo lampante. Fu proprio Guido Carli, il ministro delle Finanze che appose la firma dell’Italia sul trattato di Maastricht, a riconoscere che l’Unione europea presupponeva, oltre che «un mutamento profondo nella costituzione “materiale” del paese», cioè nei rapporti di forza tra le classi, anche lo stravolgimento della stessa Costituzione formale: «La vastità dell’innovazione giuridica contenuta nel trattato di Maastricht comporta un cambiamento di natura costituzionale». In peggio, ovviamente.
Il punto è chiaro: Costituzione ed Unione europea sono del tutto incompatibili. Bisogna scegliere da che parte stare: o dalla parte della Costituzione o dalla parte della UE. Chi parla di europeismo, come fa Conte, ha già scelto, consapevolmente o meno, di tradire la Costituzione.
Noi invece siamo contro la UE proprio perché abbiamo scelto di stare dalla parte della Repubblica, della Costituzione del 1948, della democrazia. E sappiamo che per difenderle e ridare ad esse la centralità che meritano la prima cosa da fare è recedere dai trattati europei.
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