"Fare come l'Austria". L'assurdità di questa posizione spiegata facile

Si moltiplicano le sollecitazioni da parte dei poteri costituiti (con Confindustria in prima fila) a «fare come in Austria»: ossia forme di lockdown specifici per i non vaccinati (che, secondo Brunetta, andrebbero «discriminati» ed «esclusi dalla vita sociale») e magari anche introduzione dell’obbligo vaccinale.

Cerchiamo allora di mettere in fila qualche punto per capire l’assurdità di tale posizione.

Come si può vedere nella seguente immagine, in Italia ad oggi è “completamente vaccinato” l’85 del per cento della popolazione al di sopra dei 12 anni. Nelle fasce a rischio (over-60) questa percentuale supera il 90 per cento e a breve arriverà al 100 per cento, ma in realtà anche nelle altre fasce (sorprendente il dato della fascia 20-29) si registrano tassi di vaccinazione altissimi.

Fonte: https://www.statista.com/statistics/1264088/share-of-population-vaccinated-against-covid-19-in-italy-by-age-group/

In questo contesto, quale sarebbe il senso dell’accanimento contro i non vaccinati? Che la vaccinazione di massa non serva a contenere la diffusione del virus è ormai evidente: come evidenziato da un recente studio dell’European Journal of Epidemiology, e come riportato dal Sole 24 Ore, tra cui è tratta la seguente immagine, infatti, i dati dimostrano che non vi è alcuna correlazione tra tasso di vaccinazione e aumento dei casi di Covid-19.

Fonte: https://www.infodata.ilsole24ore.com/2021/11/19/paesi-piu-vaccinati-non-landamento-nuovi-casi-migliore-perche/

Questo conferma quanto affermato ormai da innumerevoli studi (vedi, a titolo di esempio, qui e qui), ovverosia che l’efficacia dei vaccini nel bloccare l’infezione (e dunque il contagio) è incompleta e transitoria (qualche mese), e che dunque – come ribadito da un recente articolo su The Lancet, una delle più prestigiose riviste mediche al mondo – «i vaccinati hanno un ruolo rilevante nella trasmissione [e] sono parte rilevante della pandemia».

Paradigmatico il caso dell’Irlanda, che nonostante un tasso di vaccinazione del 93 per cento registra il più alto tasso di incidenza nell’Europa occidentale. Questo smentisce categoricamente – come ribadito più volte anche dallo stesso Crisanti – l’idea che il green pass rappresenti una misura di sanità pubblica o sia utile a ridurre la diffusione del virus. Non è così: anzi, nota sempre Crisanti, è probabile che abbia l’effetto opposto, inducendo nei vaccinati un falso senso di sicurezza.

Quello che sappiamo è che il vaccino è efficace nell’evitare l’insorgere di malattie gravi in chi contrae il Covid-19. E infatti oggi, nei paesi con un alto tasso di vaccinazione, a fronte di un aumento dei contagi registriamo tassi di ospedalizzazione e/o di decesso relativamente bassi (anche se vi sono casi che fanno eccezione, come la Germania). Ma ormai da noi la stragrande maggioranza dei non vaccinati rientra in quelle fasce di età che statisticamente hanno una probabilità bassa o nulla di ospedalizzazione e/o di morte per Covid-19, quindi il rischio che i non vaccinati possano saturare il sistema sanitario e dunque mettere a rischio la salute della collettività – l’unica vera argomentazione di “saluta pubblica” che regga – è praticamente nullo.

Il fatto che la maggior parte dei ricoverati, in proporzione alla popolazione vaccinata/non vaccinata, siano non vaccinati non è di per sé un fatto sufficiente a giustificare la “caccia ai non vaccinati”: stiamo parlando di persone che mettono a rischio se stesse, non gli altri. Tacciamo per carità di patria sull’argomentazione secondo cui imporre a queste persone l’obbligo (e de facto è già così) sarebbe giustificato da motivazioni di ordine contabile-finanziario, perché ovviamente la stessa logica si potrebbe applicare a chiunque finisce ricoverato perché fuma, beve, conduce uno stile di vita poco sano ecc.: come ha scritto il prof. Massimo D’Antoni, «l’idea che l’accesso alle cure possa essere basato su un’idea di responsabilità individuale rispetto alla propria salute è l’inizio della fine dell’idea di servizio sanitario pubblico».

In virtù di quanto detto, risulta ancora meno giustificata – e anzi rasenta la follia – la proposta di allargare la vaccinazione anche ai bambini dai 5 anni in su, che hanno praticamente una immunizzazione naturale contro il Covid-19. Soprattutto sapendo che le reazioni avverse si concentrano soprattutto nelle fasce di età più basse, alla luce delle quali è molto probabile che «i rischi di un vaccino Covid-19 possano superare i benefici per alcune popolazioni a basso rischio, come i bambini, i giovani adulti e le persone che sono guarite dal Covid-19», come scrivono Joseph A. Ladapo, professore associato di medicina alla David Geffen School of Medicine della UCLA, e Harvey A. Risch, professore di epidemiologia alla Yale School of Public Health. Proprio per questo motivo la Società francese di pediatra – a differenza di quella italiana, duole constatare – ha recentemente sconsigliato la vaccinazione nei bambini dai 5 agli 11 anni finché non si avranno maggiori dati di farmacovigilanza.

Sempre per carità di patria, tacciamo sull’argomentazione per cui tali rischi sarebbero giustificati in nome della protezione della “comunità”, ovverosia principalmente degli anziani o degli individui ad alto rischio. Non solo questo è fattualmente falso, per la suddetta ragione che i vaccinati contribuiscono alla diffusione del virus, ma anche se fosse vero sarebbe immorale. Come leggiamo in un appello sottoscritto da diversi scienziati e medici italiani riuniti nella neonata associazione CoScienze Critiche: «Come è possibile sostenere che la società dovrebbe vaccinare i bambini, sottoponendoli a qualsiasi rischio, non allo scopo di conferire loro un beneficio diretto, ma per proteggere gli adulti? Noi crediamo che l’onere di proteggere sia a carico degli adulti verso i bambini e non viceversa». Che un concetto così ovvio vada ribadito dà il senso del baratro valoriale – oltre che culturale e politico – in cui siamo sprofondati.

Per concludere, alla luce di tutto ciò, risulta assolutamente ingiustificato l’accanimento contro i giovani e bambini non vaccinati, così come il richiamo per nuovi dosi (quante?) rivolto a soggetti sani (under-60 senza patologie gravi pregresse) in cui l’incidenza e la gravità della malattia Covid-19 sono molto basse. Come afferma il succitato articolo di The Lancet, «è del tutto ingiustificato stigmatizzare i non vaccinati».

Una strategia sensata di riduzione del danno dovrebbe puntare, nei paesi occidentali che già registrano un alto tasso di vaccinazione, alla protezione dei soggetti più fragili, tramite sottiministrazioni vaccinali mirate unite all’impegno terapeutico precoce (a tutt’oggi vergognosamente trascurato), e nel frattempo a fare di tutto per accelerare la consegna dei vaccini ai paesi in via di sviluppo, in molti dei quali la stragrande maggioranza degli adulti, compresi quelli ad alto rischio, non sono stati vaccinati.

Che insistere a vaccinare adulti sani e bambini in questo contesto sia non sbagliato ma vergognoso l’ha dichiarato di recente persino il direttore dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus. Testuali parole:

“Non ha senso somministrare richiami agli adulti sani o vaccinare i bambini, quando operatori sanitari, anziani e altri gruppi ad alto rischio in tutto il mondo stanno ancora aspettando la loro prima dose. L’eccezione, come abbiamo detto, sono gli individui immunocompromessi. I paesi con la più alta copertura vaccinale continuano ad accumulare più vaccini, mentre i paesi a basso reddito continuano ad aspettare. Ogni giorno vengono somministrati a livello globale sei volte più booster rispetto alle dosi primarie nei paesi a basso reddito. Questo è uno scandalo che deve finire adesso.”

La conclusione che si può trarre è una sola: chi insiste – come fanno il governo e i media italiani, nonché una buona parte dei comuni cittadini – a voler vaccinare adulti sani e bambini o è un idiota e/o un ignorante in buona fede (ce ne sono tanti), che pensa di difendere “la scienza” pur adottando una posizione opposta a quella della principale istituzione sanitaria mondiale (che tra l’altro si è anche espressa contro l’obbligo vaccinale), o lo fa per ragioni che niente hanno a che fare con motivazioni sanitarie. Qualunque sia la motivazione, è un imperativo politico e morale opporsi a questa follia.

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