Cento anni di Partito Comunista Cinese

Dove sta andando la Cina?

Il primo luglio di questo mese ci sono stati i festeggiamenti per i cento anni dalla fondazione del Partito Comunista Cinese, il Zh?ngguó Gòngch?nd?ng. Nel 1921 infatti Li Dazhao e Chen Duxiu si fecero promotori della creazione del nuovo movimento che si ispirava alle teorie avanguardiste di Lenin. Il Partito era concepito come testa della classe operaia con l’onere e l’onore di educare e guidare il popolo nella lotta di classe verso la rivoluzione. Presto emerse Mao che fu il protagonista assoluto della conquista del potere nel 1949 dopo aver sconfitto i nazionalisti di Chiang Kai-shek spalleggiati dall’Occidente e soprattutto dagli Stati Uniti.

Le conquiste di questi cento anni di PCC sono arrivate attraverso sacrifici enormi ed errori vistosi ma c’è l’assoluta necessità di capire cosa fosse la Cina prima e cos’è ora. Dal 1839 il Celeste Impero venne sconvolto da conflitti e laceranti divisioni: prima le guerre dell’oppio poi la rivolta dei boxer ed infine la guerra civile. Il tutto mentre avveniva un drammatico cambiamento istituzionale con la dissoluzione del millenario impero. Ciò accadeva però per una ragione chiara e palese: l’imperialismo occidentale e giapponese. Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Giappone e, in misura molto minore, Italia fecero di tutto per distruggere il tradizionale indipendentismo cinese e aprirsi un mercato enorme. La Cina venne così inondata dall’oppio, le sue ricchezze saccheggiate da potenze straniere e il suo territorio diviso tra signori della guerra. Il tutto perché il gigante asiatico aveva una bilancia commerciale attiva nei confronti delle potenze imperialiste.

Nel 1912 l’imperatore Pu Yi fu deposto gettando la Cina in un caos ancora più profondo mentre nel maggio dell’anno dopo, cioè nel 1913, Lenin, che era in Polonia, scrisse sulla Pravda un illuminante articolo intitolato “L’Europa arretrata e l’Asia avanzata”. Il rivoluzionario russo affermava in questo articolo che il Vecchio Continente aveva una borghesia che difendeva “tutto ciò che è arretrato, agonizzante, medioevale”. La “civile” Europa rimane avanzata solo perché trainata da un proletariato in continua ascesa sia numerica sia culturale. Lenin prosegue scrivendo che “non si saprebbe fornire un esempio più impressionante di questa putrefazione di tutta la borghesia europea che quello del suo appoggio alla reazione in Asia per i cupidi scopi degli affaristi della finanza e dei truffatori capitalisti.” La descrizione della situazione cinese è qua espressa con rara chiarezza. Ma ancora più chiaro è lo spezzone seguente in cui il leader bolscevico afferma che “In Asia si sviluppa, si estende e si rafforza ovunque un potente movimento democratico. Là la borghesia marcia ancora col popolo contro la reazione. Centinaia di milioni di uomini si svegliano alla vita, alla luce, alla libertà.

Quale entusiasmo suscita questo movimento universale nel cuore di tutti gli operai coscienti, i quali sanno che il cammino verso il collettivismo passa per la democrazia! Quale simpatia sentono tutti i democratici onesti verso la giovane Asia! E l’Europa «avanzata»? Essa saccheggia la Cina e aiuta i nemici della democrazia, i nemici della libertà in Cina!” L’Europa e gli USA hanno soggiogato per decenni la Cina e ritengono che si possa fare ancora oggi. Ciò che Lenin non riteneva ancora possibile, perché come vedremo nemmeno Marx lo aveva capito, era che il Celeste Impero diventasse comunista. Per chiudere l’articolo il rivoluzionario russo affermò che “Tutta l’Europa che comanda, tutta la borghesia europea è alleata con tutte le forze della reazione e del Medio Evo in Cina. In compenso la giovane Asia, vale a dire le centinaia di milioni di lavoratori dell’Asia, ha un alleato sicuro nel proletariato di tutti i Paesi civili. Nessuna forza al mondo sarà capace di impedire la sua vittoria, che Libererà sia i popoli d’Europa che i popoli d’Asia.”

Marx, e come lui Lenin, riteneva che in Asia la penetrazione capitalista avrebbe portato alla distruzione della tipica società patriarcale e contadina cinese. Tuttavia la rivoluzione sarebbe arrivata in Cina solo dopo che fosse avvenuta in Europa. Questo perché lo sviluppo del capitalismo sarebbe stato lento e graduale, in parallelo allo sviluppo del proletariato. Per Marx ed Engels, anche in questo caso in accordo con Vladimir Ilic Uljanov, la Cina è oppressa dalle potenze occidentali imperialiste, resa schiava dall’oppio e schiacciata da un imperatore inetto.

La situazione in cui si presentava la Cina era quindi al limite del collasso economico e sociale. Ma come ha fatto tale Nazione, descritta da tre finissimi osservatori come oppressa e virtualmente fallita, a diventare una potenza mondiale? Perché in mezzo c’è stata la fondazione del Partito Comunista Cinese e la sua presa del potere. Molti difetti sono ancora ben presenti ma non si può ignorare che tutti i parametri più importanti per definire il livello di prosperità della Cina siano migliorati in maniera incredibile sotto la guida del partito che fu di Mao. Tasso di alfabetizzazione, PIL e PIL pro capite, tasso di povertà e longevità sono migliorate con costanza impressionante nel corso dei decenni. Il tutto grazie al lavoro del PCC.



Ma è tutto oro quel che luccica? Ovviamente no. La Cina ha attraversato momenti difficili a causa di errori della leadership comunista come ad esempio il “Grande Balzo in avanti” o gli eccessi della rivoluzione culturale. Tuttavia c’è da considerare quello che Domenico Losurdo chiama “stato d’eccezione” cioè la situazione di difficoltà oggettiva in cui il PCC ha dovuto lavorare per gran parte della sua storia. Il Partito ha in un primo momento dovuto riscattare l’indipendenza nazionale e poi costruire una nuova società. In cento anni lo sviluppo è stato veloce ed effettivo ma non sempre confacente agli insegnamenti di Marx. La presenza di miliardari nel sistema cinese è inaccettabile così come alcune storture derivate dal cosiddetto “socialismo di mercato”. Ciò che rende la Cina diversa nel contesto globale è il primato del lavoro sul capitale come testimoniato dallo scontro tra Xi Jinping e i giganti dell’e-commerce. Xi, ad esempio, è riuscito a richiamare all’ordine Jack Ma che aveva tentato di creare un sistema di prestiti bancari indipendente da quello nazionale. Ancora una volta lo Stato ha prevalso nel nome dei cittadini. È difficile dire a che punto sia lo sviluppo del socialismo in Cina ma si può dire, perché i dati lo dimostrano, che sia stato estremamente d’aiuto nel liberare una Nazione oppressa e nello sviluppo delle sue potenzialità. Quindi, ancora una volta, riscatto Nazionale e leadership comunista si sono unite. I difetti sono chiari e da correggere quanto prima per raggiungere l’obiettivo che Xi e il Partito si sono prefissi cioè la costituzione di una società socialista ed equa entro la metà di questo secolo. Il tutto usando, come ha detto il segretario del Partito e presidente della Cina nel corso del suo discorso del primo luglio in piazza Tienanmen, “il marxismo per osservare, comprendere e guidare le tendenze dei nostri tempi” e con l’obiettivo di “continuare a sviluppare il marxismo della Cina contemporanea e nel 21° secolo.”

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