Verso la sesta estinzione (suicidio) di massa?



di Paolo Ercolani* - Fatto Quotidiano


È inutile e dannoso girarci intorno. Mentre il governo italiano si impegna su questioni al limite del demenziale (sostituzioni etniche, proibizione delle parole straniere, difesa dell’identità nazionale, cavilli rispetto all’antifascismo etc.), la nostra umanità si trova di fronte al più grande rischio per la sua incolumità da quando essa esiste. La quinta estinzione di massa, cioè l’ultima fino ad oggi, risale a oltre cinquanta milioni di anni fa, quando, sembra a causa della collisione con un asteroide, il nostro pianeta visse un’era glaciale che condusse alla sparizione dei dinosauri, in quel momento la specie dominante.

Il nostro presente è quello in cui siamo di fronte a una possibile sesta estinzione di massa, come la chiamava un paio di decenni fa il biologo statunitense Edward Wilson. Sì, l’homo sapiens – la specie più evoluta comparsa su questo pianeta – rischia di estinguersi. Ma non per una disgrazia esterna, bensì per suicidio. La specie più evoluta e ottusa al tempo stesso.

Non è solo una questione ambientale – un’umanità la cui produzione massiva e sfrenata sta creando le condizioni per la distruzione dell’ecosistema in cui è possibile la vita umana – su cui gli scienziati ci dicono esserci tutti i segnali per temere il disastro. Ma è anche, e forse soprattutto, una questione di intelligenza. Quella facoltà che distingue l’uomo da tutte le altre specie e che, già dai tempi di Platone, era considerato lo strumento principale con cui l’uomo stesso poteva costruire un futuro di sviluppo e benessere. Tutto questo a patto che l’essere umano seguisse una sola regola fondamentale: la misura. Andare oltre questa misura significava abbandonarsi alla tracotanza, delitto capace di aprire le porte al peggio.

Oggi siamo a quella tracotanza, a quell’eccesso di superbia che può condurre l’umanità all’autodistruzione. Essa ha un nome specifico: intelligenza artificiale. Si badi bene: non una specie di mostro comparso da una scena fantascientifica o comunque extra-umana, come a volte sembrano descriverla alcuni intellettuali (per esempio Harari), o anche i nostri media quando – è il caso di questi giorni – danno la notizia che Geoffrey Hinton (padre della tecnologia da cui è nata l’IA autogenerativa) si è dimesso da Google per denunciare i pericoli insiti in un’intelligenza in grado di soppiantare quella umana.

Occorre essere molto chiari su tre questioni nodali, infatti. La prima: questa tecnologia è un prodotto dell’uomo, che però sta sviluppando in maniera direttamente proporzionale alla diminuzione e all’impoverimento dell’intelligenza umana (si vedano i dati sconfortanti sull’aumento dell’analfabetismo funzionale e sulla degradazione del quoziente intellettivo medio della popolazione). La seconda: se è vero che questa tecnologia può distruggere l’umano, asservendo e poi incorporando l’intelletto dell’uomo, sostituendosi agli umani in moltissime attività lavorative e, perfino, superando le capacità umane nella produzione di contenuti creativi, culturali e artistici, è anche vero che dobbiamo all’Intelligenza artificiale per esempio la velocità con cui si sono elaborati dei vaccini di nuova generazione contro il Covid, così come grazie alla stessa stanno per essere prodotti dei vaccini contro alcune delle forme tumorali più gravi.

Terza questione: ad oggi questa tecnologia è in mano o a soggetti esclusivamente privati (e quindi votati esclusivamente al profitto) nel mondo occidentale, oppure a stati autoritari come nel caso della Cina. Le prime tre società al mondo che lavorano sull’Intelligenza artificiale sono cinesi, si occupano di riconoscimento facciale e in genere di monitorazione dell’umano e vendono i loro prodotti a governi autoritari (compreso quello cinese), che li usano per tenere sotto controllo le rispettive popolazioni e limitare al massimo le libertà individuali.

Non c’è dubbio che siamo di fronte a un cambiamento epocale. Non è più soltanto dal sistema di produzione economico che possiamo comprendere il nostro tempo, ma oggi è la tecnologia a dirci che direzioni stiamo prendendo. A noi uomini, se vogliamo sopravvivere, spetta il compito di governare e limitare gli sviluppi tecnologici affinché siano funzionali all’umano e non distruttivi. L’alternativa è che a governarli e orientarli siano soggetti votati esclusivamente al profitto o al potere politico, quindi incuranti del bene generale.

I più intelligenti e competenti dovrebbero essere coloro che ci governano, ma considerando i notevoli problemi che manifestano anche loro con l’intelligenza biologica non c’è molto di che sperare rispetto alla loro capacità di governare quella artificiale.

* Filosofo, Università di Urbino "Carlo Bo"

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