"Considero la scelta dei tecnici al governo un male e non un bene. È uno degli innumerevoli sintomi della crisi profonda che vivono le istituzioni democratiche", così si espresso, in merito alle aspettative su un esecutivo guidato da Mario Draghi, Emiliano Brancaccio, professore di Politica economica presso l’Università del Sannio, in un'intervista concessa a Radio Popolare.
Brancaccio, tra l'altro, precisa un punto: "l'arrivo dei cosiddetti tecnocrati non è che è mai servito a far fuori governi rivoluzionari", ricordando le manovre lacrime e sangue del Governo Berlusconi con Tremonti Ministro dell'Economia prima che subentrasse Mario Monti. Lo stesso Governo Conte, secondo il docente, "aveva mantenuto rapporti niente affatto negativi con i cosiddetti interessi dominanti", provate dagli apprezzamenti del leader di Confindustria Bonomi nei confronti del Ministro dell'Economia uscente Gualtieri. I tecnici, quindi, per Brancaccio "hanno solo lo scopo di accelerare delle tendenze in atto, come l'esigenza di depotenziare le istituzioni parlamentari, per concentrare il potere sempre di più nelle mani dell'esecutivo, allo scopo di gestire meglio le pochissime risorse disponibili per fronteggiare la crisi."
Proprio sulle risorse che dovrebbero spese, il Recovery Plan, il docente ricorda che "chi ha un minimo di competenza lo dovrebbe sapere, che non saranno 209 miliardi, saranno grossomodo una cinquantina. Per le risorse a fondo perduto ci ritroveremo con 4 o 5 miliardi all'anno senza nemmeno considerare il fatto che l'Italia, nel bilancio complessivo dell'Unione Europea, al netto del Recovery Plan, è contributore netto per 4 miliardi negativi. Quindi ci ritroveremo con 4,5 6 miliardi all'anno, un risparmio sugli interessi di 3 miliardi all'anno."
"Ben poca cosa - spiega - rispetto all'enormità di una crisi che ha creato una massa immane di "imprese zombie" insolventi, come ricordato proprio da Draghi."
L'economista sottolinea che questa crisi arriva "alla vigilia dello sblocco dei licenziamenti ricordato da Mattarella, diventa allora urgente affidare al 'tecnico' una politica economica fortemente 'competitiva e selettiva'.
Quindi "inizia così una nuova, durissima fase della ristrutturazione capitalistica europea, con la sola prevedibile opposizione reazionaria dei piccoli proprietari, mentre le organizzazioni del lavoro appaiono ancora impreparate alla lotta."
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