L'Italia è il paese dell'intrattenimento, del chiacchiericcio, della farsa. Non si spiega altrimenti il fatto che la memoria di Giovanni Falcone sia stata affidata a Saviano e a Pif, due mediocri personaggi televisivi su cui l'industria culturale ha investito cucendogli addosso l'abito di guide morali, di saggi scanzonati, di pensatori alternativi ai vecchi professoroni della scuola e dell'università. Tutto questo accade dopo numerosi altri fatti simili, ad esempio la recente iniziativa di Liliana Segre che per promuovere la memoria della Shoah si è affidata niente-poco-di-meno che a Fedez e Ferragni. E poi il recente Eurovision di Torino, il festival di nobilitazione del trash che ha premiato un penoso gruppo musicale ucraino (a dire il vero nemmeno il peggiore di tutti) per contribuire alla resistenza contro l'invasione russa.
Tutto è intrattenimento, chiacchiera, cazzeggio. Questioni serie, che richiedono coscienza, rispetto e un briciolo di serietà, sono trasformate in spettacolo, in momento di godimento consumistico, in catarsi disimpegnata, poco compromettente, consolatoria e persino divertente. Non è un caso che Pif parli del trentennale della morte di Falcone come di un "capodanno della coscienza" per celebrare un magistrato "punk". C'è poi chi giustifica tutto questo con l'idea che occorra popolarizzare i temi più complessi e difficili. Ma qui non si popolarizza un bel nulla, si trasforma tutto in barzelletta, in oggetto di consumo transitorio che abbatte quel principio di senso critico che la scuola, faticosamente, cerca di costruire.
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