L'altroieri l'amico Giorgio Bianchi doveva parlare presso un Istituto Tecnico milanese (che non nomino per carità di patria) dove era stato invitato.
E' accaduto che, prima dell'incontro, 50 docenti dell'istituto abbiano firmato un documento per chiedere che l'incontro stesso non avesse luogo.
Nonostante ciò l'evento programmato si è tenuto egualmente, tuttavia ad esso hanno partecipato soltanto due classi, mentre l'incontro veniva funestato da "incidenti tecnici" (blackout, impossibilità di usare l'amplificazione, - cose che - a detta di un docente - non erano mai avvenute prima).
Durante l'evento i docenti presenti (si suppone inclusi quelli che avevano espresso la propria censura) si sono limitati a criticare nelle retrovie, guardandosi bene dall'intervenire pubblicamente.
Ecco, il quadro che qui emerge è un'immagine abbastanza rappresentativa della società e cultura italiana odierna.
Essa si presenta come caratterizzata da tre fattori dominanti:
1) il più assoluto conformismo: ci si informa su cosa è permesso pensare e cosa no da canali sorvegliati e bollinati dal padrone di turno, politico o economico;
2) l'impreparazione più totale sia in termini di formazione che informazione, che non mette in grado davvero di affrontare mai discussioni nel merito (quando lo si fa ci si limita alla retorica e agli attacchi personali);
3) il desiderio di far tacere ogni voce dissenziente o eccentrica attraverso un fuoco di sbarramento a priori.
A guidare la formazione (docenti) e l'informazione (giornalisti) sono oggi con rimarchevole frequenza personaggi privi di qualunque formazione o informazione che non sia stata accuratamente fltrata e manipolata, e simultaneamente privi di ogni coraggio intellettuale, quel coraggio che anche a fronte della disinformazione consentirebbe di ampliare l'orizzonte e di accedere, magari per gradi, ad una visione critica.
Di fronte ad una potenza di fuoco come quella mediatica odierna - con la sua ulteriore capacità di innalzare a modelli culturali e intellettuali delle figurine di pongo - ogni cittadino può trovarsi in una posizione di sviamento e accecamento.
E' una disgrazia, ma non è ancora una colpa.
La colpa, la tara morale, emerge però nel debordante conformismo censorio, quell'atteggiamento che non solo cerca sempre soltanto di incistarsi - allineati e coperti - sotto l'ombrello del potere di turno, ma che soccombe al terrore, incapace di reggere alcuna verità inattesa, e che perciò si sbraccia e sforza in tutti i modi per censurare gli altri, per denigrare, per impedire ad ogni difformità non prefiltrata di venire alla luce.
L'ignoranza non è una colpa, non necessariamente; la disinformazione non è una colpa, non necessariamente; ma la vigliaccheria che si erge a censura, questa sì che è una colpa, una colpa imperdonabile per chi di mestiere forma le menti altrui.