Discriminazione politica in uno dei licei più blasonati di Milano


di Alessandro Pascale

Questo settembre è iniziato il mio terzo anno da docente di ruolo in uno dei più blasonati licei classici di Milano, dove insegno storia e filosofia. Purtroppo la bella atmosfera di ritorno alle attività è stata rovinata da un fatto per me incomprensibile: al termine del primo collegio docenti il dirigente scolastico ha assegnato le lettere di incarico per le classi. Il primo anno, quello di prova, avevo avuto una terza, una quarta e una quinta, in cui curavo sia storia che filosofia. Superata la prova, il secondo anno mi sono visto togliere la parte di filosofia dalla quinta, mantenendo le due materie sulla quarta e vedendomi assegnate due terze (una completa, una solo storia). Quest'anno l'amara sorpresa di essermi visto togliere tutte le mie classi e di essere stato riassegnato a tre classi terze.

Cosa vuol dire ciò? Occorre fare una premessa: in terza il programma prevede che si svolga la filosofia antica e medievale e il periodo che va dall'alto medioevo fino al 1600 circa. In quarta si tratta l'epoca moderna (grosso modo 17°-19° secolo in storia; dal Rinascimento a Kant-Hegel in filosofia) e in quinta quella contemporanea, teoricamente fino ai giorni nostri.

Assegnarmi quindi solo classi terze con siffatta modalità significa quindi impedirmi di trattare i periodi dell'età moderna e contemporanea.

Cercando di comprendere se la scelta fosse una prassi normale, mi sono rivolto ad alcuni colleghi, sia di dipartimento (di storia e filosofia) che di altre materie. Vedendo le loro facce sbigottite e stupite per la scelta incomprensibile, sono andato immediatamente a chiedere chiarimenti al dirigente scolastico, il quale con un sorriso beffardo mi ha risposto: “pensavo di farle un piacere, così ha meno da lavorare”. Gli ho replicato ricordandogli una mail (da lui sollecitata a tutti i docenti) mandata due mesi prima, in cui gli chiedevo con la massima cortesia possibile di mantenere la continuità didattica almeno per le due classi che avevo seguito in orario pieno nell'ultimo anno (di una delle due ero stato anche coordinatore per entrambi gli anni precedenti). Il suo silenzio di risposta mi ha portato a pensare che tale scelta sia dipesa dalla volontà di confinarmi nel settore in cui potessi fare, dal suo punto di vista, meno danni possibili, essendo pubblica e nota la mia militanza politica come dirigente del Partito Comunista, che ho rappresentanto come candidato sindaco a Milano alle ultime elezioni amministrative (2021).

Gli ho spiegato quindi il mio disappunto e ho contestato quella che ai miei occhi appariva una discriminazione politica palese, fatta peraltro in maniera poco intelligente nel mezzo di una campagna elettorale in cui sono candidato in una lista “antisistema” (Italia Sovrana e Popolare). Dopo aver paventato quindi una possibile “denuncia politica” dell'accaduto, il dirigente ha replicato che io lo stessi minacciando, annunciando che mi avrebbe querelato in questura, prendendo poi il microfono in un collegio docenti ormai terminato per denunciare la mia prepotenza e le minacce che avrei fatto nei suoi confronti sfruttando protezioni politiche dall'alto, e reiterando la volontà di recarsi in questura il giorno stesso per denunciarmi.
A fronte di tale spropositata e violenta reazione verbale, condita di falsità, ho già avviato contatti con sindacati e avvocati per tutelare la mia posizione lavorativa e valuteremo tutte le mosse possibili che si possano mettere in campo. Ciononostante questo non può impedirmi di denunciare politicamente l'accaduto, e cioè che il tentativo di normalizzazione e controllo dell'istruzione pubblica, partito dagli anni '90 del secolo scorso, sta giungendo a picchi inediti di repressione per disciplinare il corpo docente (come tutto il resto della classe lavoratrice del resto).
Che fine ha fatto l'articolo 33 della Costituzione (“l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”)?
Cosa è rimasto degli articoli 1 e 2 del dlgs n. 297/1994, che recitano così:

“Nel rispetto delle norme costituzionali e degli ordinamenti della scuola stabiliti dal presente testo unico, ai docenti è garantita la libertà di insegnamento intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente. 2. L’esercizio di tale libertà è diretto a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni. 3. È garantita l’autonomia professionale nello svolgimento dell’attività didattica, scientifica e di ricerca.
Art. 2 – Tutela della libertà di coscienza degli alunni e diritto allo studio 1. L’azione di promozione di cui all’articolo 1 è attuata nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni. 2. A favore degli alunni sono attuate iniziative dirette a garantire il diritto allo studio.”

Tutto ciò è già carta straccia a quanto pare, come peraltro anche molti altri articoli costituzionali, grazie a riforme devastanti che hanno trasformato le scuole in aziende poco virtuose e i loro dirigenti scolastici in piccoli dittatori arroganti nominati dall'alto che si comportano come novelli kapò permettendosi di insultare, minacciare e ingannare quotidianamente docenti, studenti e relative famiglie nella passività generale.

Questo accade in uno dei più blasonati licei classici di Milano, e purtroppo cose del genere accadono ogni giorno nelle scuole di ogni grado e località in tutto il paese, nella mestizia e rassegnazione generale.

Così muore la scuola pubblica in Italia.

Così muore la libertà d'insegnamento, e con essa anche uno degli ultimi bastioni della libertà di pensiero e di formazione di uno spirito critico nelle nuove generazioni.
A noi il compito di resistere e rivoluzionare questo sistema marcio fino al midollo, rivendicando una scuola realmente libera e democratica da ogni asfissiante controllo politico.

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