Sull'elogio dell'omicidio

20 Settembre 2024 15:00 Giulia Bertotto

di Giulia Bertotto - Byoblu*

È incredibile svegliarsi una mattina e trovarsi a dover dispiegare tutto il ventaglio della filosofia occidentale per ricordare al dibattito pubblico un principio morale universale e il fondamento del diritto sempiterno: che il cittadino non può elevare la vendetta personale a giustizia sociale. Ma del resto non possiamo neppure stupirci se anni di sfruttamento dell’immigrazione di massa, povertà organizzata a tavolino, sistema carcerario che abbrutisce e non rieduca, disoccupazione strutturale e cultura individualista, stanno avendo i loro dolosi e premeditati effetti.

Cinzia Dal Pino, 65 anni, titolare del Bagno Milano di Viareggio, è accusata dell’omicidio volontario di Said Malkoun, algerino senza fissa dimora: lo ha investito più volte con l’auto dopo essere stata derubata e minacciata con un coltello. Il giudice ha deciso per ora, di condannarla agli arresti domiciliari. Lei ha dichiarato: “Volevo solo fermare l’uomo che mi aveva scippato”.

Stanno emergendo diverse attenuanti e aggravanti sulla posizione dell’indiziata, in questa sede, però, non ci interessa la cronaca nera, ma la fosca analisi sociale. Ci soffermiamo infatti sul tema perché più di una spaurita manciata di persone sta eroicizzando la signora che ha investito e ucciso il suo scippatore. Vediamo acclamare le gesta dell’imprenditrice di Viareggio, accompagnando il “santino” con la sua foto e agghiaccianti cuoricini colorati.


SCOPI DELLA RIFLESSIONE E PREMESSE

Tre le premesse. Nessuna giustificazione per lo scippatore, nessuno sconto al reo e a ciò che ha commesso. Qualsiasi siano le condizioni economico-sociali, ciascuno di noi è dotato di arbitrio e capacità di discernere cosa è lecito e cosa non lo è. Rubare, non lo è.

In questo contesto, paradossalmente, il giudizio sulla signora non ci riguarda. Non è lei la nostra imputata, ma la reazione di diversi fruitori dei bar e utenti dei social, che porta a santificare l’assassinio, perché di questo si tratta.

Non si cerca qui di demonizzare l’umano senso dell’ingiustizia, il rifiuto del sopruso subito, la rabbia davanti alla prepotenza e al furto in nome di una qualche mania di purezza morale o buonismo astratto. Ma questi impulsi vanno educati. Lo scopo è quindi guardarci allo specchio e riflettere: cosa ci è successo se in un fatto violento tifiamo chi lo è stato di più?

Si fa notare l’elemento razziale. Ma crediamo che anche se il ladro fosse stato italiano le reazioni non sarebbero state granché diverse.


ARGOMENTI CHE RENDONO INACCETTABILE L’ELOGIO DELL’OMICIDIO

Innanzitutto notiamo un gigantesco difetto logico da parte di coloro che osannano la signora Dal Pino: alcuni argomentano infatti con la sovrapposizione indebita tra legittima difesa e vendetta. La legittima difesa si esercita in un momento di emergenza, in cui la propria vita è in pericolo e non dopo, quando la vita è salva e la rabbia tanta. La signora non era più in pericolo di vita sul suo suv, dopo la rapina subita. Quindi non si tratta di legittima difesa ma di omicidio volontario.

La voragine giuridica. I fan(atici) che incensano la signora Cinzia sembrano non cogliere l’aspetto centrale ed esiziale: se si sostituisce la legge della forza con la forza della legge, sdoganiamo la vendetta soggettiva, ignoriamo il patto sociale e torniamo alla giungla e al Far West precedente al patto sociale. Il diritto naturale, quello romano, canonico? Tutto al macero, si torna alla formula Homo homini lupus come scriveva Plauto e poi Hobbes. Inoltre, se la soggettività si sostituisce alla legge e per qualcuno il fatto che gli venga rubata una mela fosse ragion sufficiente per togliere la vita? Chiunque potrebbe affermare di avere una ragione valida per uccidere.

Evidenziamo poi l’incoscienza politica di coloro che celebrano l’omicidio di Viareggio: cadere nella trappola che il rapinatore sia il “nemico” rivela una grave incapacità di interpretare i nostri tempi. Lo ripetiamo, nessun ladro è obbligato a rubare e ciascuno sceglie come vivere, ma non possiamo estrarre chirurgicamente questa vicenda dal contesto neocapitalista in cui si svolge[1].

Si tratta di scegliere anche qui: vogliamo continuare a credere che il nemico sia solo il ladro, o vogliamo finalmente rivolgerci all’intero ingranaggio che deruba tutti?

La rabbia personale deve essere canalizzata in rabbia sociale, che possa fare pressione sulle istituzioni e non una fallimentare rabbia “fine a se stessa”. Anche noi, come l’uomo con il coltello e la donna al volante, dobbiamo scegliere, vogliamo condannare solo una persona o anche un sistema?

Se non fosse abbastanza quanto detto finora, aggiungiamo anche la falla teologica nella difesa dell’omicidio come strumento valido per risarcire un’ingiustizia: l’uomo non può legittimamente uccidere un altro uomo, e questo è un comandamento di ogni religione, fondamento di tutte le società e comune a ogni più alta apertura mistica.

Giustizia consumistica, incapacità di leggere la complessità sociale e quindi odio per l’individuo e non per le cause profonde dell’ingiustizia sociale, superficialità crudele e priva di senso della misura etica: questo tipo di concezione è proprio il frutto marcescente di anni di mala politica da cui è scaturita l’anti-politica, la mancanza di senso della comunità, l’individualismo sfrenato.

Se domani dovesse davvero risultare lecito uccidere ad ogni reato subito, fatemi scendere. Saluto gli amici, lascio la penna, e non vedo ragione per salvarci.

[1] Le ragioni esposte sin qui non implicano una visione “di classe”: se alla guida ci fosse stato un senza fissa dimora e sotto le ruote un imprenditore, i ragionamenti qui esposti sarebbero gli stessi, eccetto quello di ordine “politico”.


*Fonte originale: https://www.byoblu.com/2024/09/18/lomicidio-di-viareggio-se-lassassinio-viene-eroicizzato-ci-hanno-rubato-tutto/

Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autrice

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