Contro il toddismo. La rivolta delle matite in Sardegna

di Cristiano Sabino

«Paura» e «preoccupazione» sono i termini che ricorronomaggiormente, direi ossessivamente, nelle dichiarazioni rilasciate a caldo dal presidente del Consiglio regionale della Sardegna Piero Comandini e dalla governatrice Alessandra Todde, all’indomani della grande mobilitazione popolare che ha scortato al Consiglio Regionale le 210.729 firme in sostegno della legge urbanistica di iniziativa popolare “Pratobello 24”. Una legge che – vale la pena di ricordarlo – si oppone alla colonizzazione energetica dell’isola determinata dal Governo Draghi (Decreto 199 del 2021) e dal decreto “aree idonee” del luglio 2024 (Governo Meloni).

A questi due decreti, assolutamente in continuità, emanati da Governi che insieme rappresentano praticamente tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento, le comunità della Sardegna hanno opposto una lunga e crescente mobilitazione popolare che è sfociata nella raccolta firme per la Pratobello 24.

Un numero di adesioni enorme, se si pensa ai numeri del corpo elettorale sardo (appena 1.447.753 elettori) e alla percentuale dei votanti (poco più del 50%) alle ultime elezioni regionali. Un evento unico nel suo genere, non solo nella storia della Sardegna, ma anche dell’intero stato italiano e, forse, d’Europa. Fatte le dovute proporzioni, è come se la legge sulla cittadinanza, proposta a livello italiano, avesse raggiunto non le 500mila firme, ma ne avesse totalizzato otto milioni.

Tutti i media d’Europa parlerebbero a questo punto della “rivoluzione delle matite” in Italia. Ma siccome siamo in Sardegna, cioè una terra che deve per obblighi atlantici rimanere silenziata e pacificata,e siccome la cortina di ferro della propaganda coloniale circonda e protegge da orecchie e sguardi indiscreti le malefatte dell’élite politica dominante, la notizia rimane confinata dentro gli ambienti dell’opinione pubblica sarda e neanche di tutti, visto che uno dei due maggiori quotidiani sardi, il 3 ottobre apriva a tutta pagina con la notizia dell’importantissimo avvenimento dei turisti finiti a lavorare in un ovile[1]. Lasciamo per un momento da parte questo materiale di interesse socio-antropologico per i futuri studiosi della comunicazione manipolatoria e della propaganda elitaria di inizio millennio, e andiamo al cuore della questione.

Quali sono gli scenari politici che si aprono all’indomani della consegna delle 210. 729 firme e della manifestazione di popolo che ha accompagnato gli scatoloni al protocollo degli uffici della Regione Autonoma della Sardegna? Quali sono le strategie da parte dell’élite per smontare e disinnescare la più grande mobilitazione del popolo sardo dai tempi della nascita del movimento combattenti sardista ad oggi? Cosa sarà e cosa diventerà il Movimento Pratobello 24?

La proiezione come tecnica di conservazione del potere

Fin dai tempi di Freud, in psicanalisi è nota una tecnica manipolatoria utilissima per gestire e volgere a proprio beneficio qualunque conflitto: la proiezione. Si tratta di un meccanismo psicologico attraverso il quale una persona attribuisce ad altri i propri pensieri, sentimenti o impulsi, che trova inaccettabili o scomodi.

La proiezione è un meccanismo manipolatorio di difesa e si attiva quando un soggetto ha difficoltà a gestire o accettare alcuni dei propri pensieri, sentimenti, desideri o impulsi, specialmente se li considera inaccettabili, spiacevoli e soprattutto se risultano contrari all'immagine di sé che vuole mantenere in ambito pubblico.

La proiezione inizia con il rifiuto di riconoscere i propri sentimenti, come la rabbia, che viene inconsciamente respinta. Invece di elaborarla, il soggetto attribuisce questi sentimenti agli altri, accusandoli di provare ciò che in realtà prova esso stesso. Questo trasferimento aiuta temporaneamente a evitare il conflitto interno e quindi permette di non andare in crisi, o almeno di rimandare il momento del collasso.

Che il soggetto sia un individuo o un insieme di persone, o addirittura un apparato di potere o – come in questo caso – una èlite politica e intellettuale nel pieno esercizio del potere sistemico, non fa alcuna differenza. I meccanismi manipolatori sono del tutto analoghi e si muovono tra il conscio e l’inconscio.

La proiezione, infatti, implica sempre una distorsione della realtà e questa può essere anche utilizzata consapevolmente come strumento di potere e di dominio, vale a dire come una tecnica politica volta al mantenimento del controllo sul corpo sociale.

Nel dopo 2 ottobre abbiamo avuto vari esempi di cosa significa e cosa implica l’utilizzo della proiezione in ambito politico.

Ci torneremo alla fine del ragionamento, ma nelle dichiarazioni post 2 ottobre dei massimi esponenti della Giunta Regionale, Piero Comandini e Alessandra Todde, possiamo trovare esempi da manuali delle modalità proiettive.

Dalle loro parole si evince una retorica unificata che attribuisce ai sostenitori e ai firmatari della legge di iniziava popolare Pratobello 24 «paura» e «preoccupazione» e non volontà di legiferare e quindi di incidere direttamente sulla realtà politica sarda, sventando il più grave processo di penetrazione coloniale dell’isola dai tempi del disboscamento e dell’estrazione mineraria.

In realtà, come è facile intuire, si tratta appunto di meccanismi proiettivi, perché mentre i sardi non dimostrano di essere affatto preoccupati ma al contrario stanno esercitando una loro consapevole e lucida capacità politica, la preoccupazione e anzi il terrore serpeggiano tra i banchi della neoeletta Giunta. Una psicosi da assedio si diffonde tra i partiti che compongono la maggioranza e, anche se non sono visibili, iniziano a venire fuori le prime crepe che mettono a dura prova la saldezza dell’alleanza. Per questo motivo Comandini e Todde proiettano la paura sul fronte avverso, cercando nello stesso tempo di spaccare il Movimento, utilizzando tutta una serie di strumenti che in parte abbiamo analizzato nelle precedenti analisi e in parte vedremo qui.

Prima di tornare sull’argomento strategico della «paura», dobbiamo fermarci però su un’altraquestione indispensabile per comprendere il meccanismo di funzionamento della contesa in atto tra Movimento Pratobello 24 da una parte e Giunta regionale e Governo statale dall’altra.

Guerra d’attrito tra alto e basso

Il Movimento Pratobello 24, lo scorso 2 ottobre, ha dimostrato una forza inedita. Non tanto e non solo per la vagonata di firme raccolte con banchetti autorganizzati nel corso dell’estate, senza avere alle spalle alcuna struttura partitica, associativa e sindacale realmente strutturata e dotata di mezzi (partiti, sindacati confederali, reti associative italiane si sono tenute ben alla larga sia dalle manifestazioni che soprattutto dall’organizzazione dei banchetti). Chiariamoci, la manifestazione di forza non sta nemmeno nell’aver portato, in un giorno feriale e senza alcuno sciopero intercategoriale, migliaia di persone davanti al Consiglio Regionale.

Ciò che descrive bene la maturità del movimento è dunque la capacità di scegliere tempi, modi e contenuti in cui proporsi e in cui misurarsi con la controparte. E anche la stessa capacità di individuare con chiarezza la controparte, senza ambiguità e tentennamenti.

Nei manuali di strategia militare e nella teoria dei giochi viene individuata come prioritaria, per vincere scontri decisivi, la capacità di scegliere il terreno di battaglia e di avere sempre chiaro chi è l’avversario. Un esempio classico è la «strategia di attrito», in cui una forza sceglie campo di battagliae modalità di conflitto, volti a logorare l'avversario nel tempo, cercando di danneggiarlo gradualmente fino a fargli perdere la capacità o la volontà di continuare la lotta o competizione.

È fondamentale sottolineare che non contano le singole battaglie o riuscire a sferrare colpi decisivi eccellenti (da cui il detto popolare, “vincere una battaglia e non la guerra”). Quello che vale è la capacità di reggere il conflitto, in un conflitto lungo e costante, provocando anche piccoli danni che si sommano nel tempo.

Traducendo in ambito politico e sociale il metodo dell’attrito, la lotta che si sta consumando in Sardegna tra agenti della colonizzazione energetica e resistenza popolare, è anche un caso da manuale della «guerra d’attrito», che Gramsci, nei Quaderni del carcere, descrive anche come «guerra di posizione».

Gramsci utilizza questa categoria per spiegare il tipo di lotta politica che deve essere condotta nelle società moderne, in cui non è possibile ottenere una trasformazione radicale solo attraverso una rivoluzione immediata (guerra di movimento, le classiche battaglie decisive del passato!), ma è necessario un lungo lavoro di costruzione di consenso ed egemonia.

Nella guerra di posizione, i subalterni devono conquistare palmo a palmo posizioni sempre maggiori all'interno delle istituzioni della società civile, come la scuola, la Chiesa, i media, le organizzazioni culturali e altre sfere dell'influenza ideologica. Ecco spiegata la rabbia e lo scandalo sul fatto che per la prima volta istanze popolari trovano spazio in un media ufficiale come quello del gruppo editoriale sardo di Sergio Zuncheddu (L’Unione Sarda e Videolina) che ha sposato e veicolato le istanze del movimento contro la «speculazione energetica», seguendo passo passo tutti i momenti salienti della mobilitazione. Al contrario l’altro noto quotidiano sardo, La Nuova Sardegna e il TG3Regione hanno sistematicamente ignorato la mobilitazione e anzi hanno condotta una sistematica campagna stampa per spostare l’opinione pubblica su una accettazione incondizionata dell’eolico e del fotovoltaico in quanto tali, così come imposti dai Governi Draghi e Meloni. Su quest’ultima linea tutta l’informazione italiana, con le sole eccezioni – mi sembra - di L’Antidiplomatico, Quaderni della Decrescita, OttolinaTV, La Fionda e Radio Giubbe Rosse.

Eppure, in uno scenario dove la quasi totalità della stampa italiana e una buona fetta di quella sarda si sono dimostrati ben disposti ad assecondare la trasformazione dell’isola in un hub energetico per il nord Italia e il nord Europa, molteplici espressioni del mondo della politica, del sindacalismo, dell’associazionismo e del mondo intellettuale hanno gridato allo scandalo verso l’impegno «anti speculazione energetica» del gruppo Zuncheddu. Come mai?

Utilizzando gli strumenti gramsciani possiamo rispondere che ciò avviene perché risulta scandaloso che – per qualsiasi ragione – i subalterni abbiano la possibilità di prendere parola e di diffondere il loro punto di vista sulle contraddizioni sociali ed economiche. I subalterni devono essere silenziati, non devono mai parlare con la propria voce e magari anche usando mezzi non propri. L’importante è che non parlino e siano sempre rappresentati e mediati da altri. Se i subalterni rilasciano interviste, affiancano dirette o peggio raccolgono firme per proporre leggi, si grida allo scandalo e si perde la bussola della ragionevolezza. Questo perché se i subalterni parlano con voce propria ogni esito è incerto, ogni scenario è plausibile, compreso quello del rovesciamento e del ribaltamento tra élites e popolo che rappresenta la linea rossa di ogni conservazione sistemica.

I subalterni in questo, nel nostro caso, sono le comunità della Sardegna che si stanno sollevando contro la colonizzazione energetica veicolata dalle élites. Queste sanno creare consenso intorno a una nuova visione del mondo, capace di sfidare l'egemonia dell’élite dominante, facendo emergere in primo piano non le esigenze di una modernizzazione calata e imposta dall’alto, ma i bisogni e le aspirazioni di una nuova politica urbanistica ed energeticamodellata sugli interessi del basso e sotto il controllo democratico delle stesse comunità.

I toni esasperati di questi mesi, gli strali contro «le manovre della destra» e la retorica messa in piedi da tanti intellettuali e dirigenti politici, ma perfino da sigle di comitati tendenzialmente collaborazionisti e filo governativi, sulla «disinformazione» e sulle «manipolazioni» di un gruppo editoriale (a fronte di decine di altri gruppi editoriali silenti o complici davanti alla colonizzazione), mostrano bene che il movimento Pratobello 24 ha capacità sempre crescenti di condurre una proficua «guerra d’attrito» capace di logorare la controparte. In altri termini, il Movimento ha avuto la capacità di usare in un primo tempo la contrapposizione fisica (i blocchi al porto di Oristano), come trampolino di lancio per una strategia di tutt’altro tipo che, di fatto, ha sorpreso la controparte. Dalla contrapposizione fisica si è infatti ben presto ascesi alla lotta per il potere, per tramite di una proposta di legge di iniziativa popolare che ha contrapposto funzione legislativa elitaria e funzione legislativa popolare.

Parlo di funzione legislativa elitaria perché in Sardegna vige una legge elettorale truffa, profondamente antidemocratica, a suo tempo voluta dal “centro destra” e dal “centro sinistra” per sbarrare il passo all’ascesa del Movimento 5 Stelle e mantenere fuori dalle leve del potere qualunque ipotesi alternativa al duopolio. Una volta integrato il M5S nell’olimpo delle élites, questa legge viene utilizzata (dal M5S stesso) per tenere lontane dal Palazzo, tutte le istanze alternative.

Da questo punto di vista la mobilitazione in sostegno alla legge di iniziativa popolare Pratobello 24 non è da leggersi come una mera risposta tematica ad un’emergenza collettiva delle comunità dei sardi di tipo urbanistico ed energetico, ma si tratta di una vera e propria alternativa al sistema politico che da decenni si rimbalza la gestione esclusiva del potere come in una partita di pingpong, dando da una parte all’elettore l’illusione dell’alternanza democratica e dall’altra la certezza del mantenimento dei medesimi e inamovibili interessi elitari.

Cos’altro sono stati i banchetti di raccolta delle firme se non una straordinaria occasione di costruire e insieme organizzare una volontà collettiva insieme civica e popolare, legale e rivoluzionaria, in alternativa e in rottura con il consueto sistema di gestione delle istituzioni autonomistiche sarde? In questo tipo di lotta, l'elemento centrale non è la violenza o l'uso diretto della forza (come nella guerra di movimento), ma la costruzione di consenso (appunto la «guerra d’attrito» o «guerra di posizione»). Di fatto un salto di qualità mai visto nella storia dei movimenti di emancipazione e in tutte le vertenze sociali, politiche e sindacali della recente storia della Sardegna.

Ed è proprio a causa di questa capacità di porre la questione del potere e dell’egemonia del movimento Pratobello 24 che la controparte, ad un certo punto, sfodera una nuova arma: la «teoria dell’unità per assimilazione» e la necessità di convergere sulla posizione – ovviamente scelta dalle élites – delle «aree idonee», vale a dire il «toddismo».

Si potrebbe chiamare questo cambio di passo in tanti modi, utilizzando i diversi volti che di volta in volta hanno impersonato la costruzione della narrazione dell’«unità per un fine comune», cercando di costruire nell’immaginario archetipico della società sarda la fascinazione dell’«unità dei sardi contro gli speculatori». La stessa categoria di «speculazione energetica» risulta funzionale a questa costruzione archetipica, perché lascia intendere che ad un certo punto arrivano questi fantomatici «speculatori» che si approfittano degli spazi lasciati vuoti dalle istituzioni per ricavarne profitti smodati. Ma le cose stanno in maniera ben diversa, perché gli «speculatori» non sono altro che portatori di interessi privati a cui l’Unione Europea e lo Stato italiano hanno coscientemente spalancato le porte costruendo una architettura giuridica e legale che non solo permette la «speculazione», ma che garantisce e finanzia con risorse pubbliche il saccheggio indiscriminato di alcune zone di sacrificio (come la Sardegna) su cui viene scaricato l’adeguamento alla direttiva europea RED22018/2001 la quale dispone che gli Stati membri provvedono collettivamente a far sì che, nel 2030, la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia dell'Unione sia almeno pari al 32%.(

Vediamo ora in cosa consiste questa narrazione della penetrazione coloniale e come le élites dominanti hanno presto rimodulato la propria voce narrante, anche incamerando e inglobando non solo alcune delle argomentazioni del movimento contro la «speculazione energetica», ma hanno anche assimilato «molecolarmente» alcune sue articolazioni dirigenti.

Dalla fase della delegittimazione alla «teoria dell’unità per assimilazione» o «toddismo»

Gramsci ci ricorda con una immagine di altissimo significo simbolico che l’«assedio è sempre reciproco». Se con il decreto Draghi lo Stato, con a seguito i suoi portatori di interesse, ha assediato la Sardegna, dando mano libera alla più grande penetrazione coloniale della storia recente, le comunità sarde hanno reagito – come abbiamo visto sopra – elaborando le strategie di un contro assedio, a partire dalla creazione di un immaginario collettivo e archetipico di liberazione. A questo inaspettato contro assedio le élites stanno rispondendo in questa fase con un contro-contr’assedio che presenta elementi di novità sofisticati e articolati.

La splendida penna del giornalista Vito Biolchini che già in passato ha dimostrato una certa inimicizia verso la mobilitazione contro la colonizzazione, prende di mira uno dei volti simbolo della raccolta firme, il sindaco di Orgosolo Pasquale Mereu, per non aver presenziato all’incontro voluto dall’antropologo Bachisio Bandinu. Incontro che, come ho già avuto modo di spiegare, assolveva alla funzione di disinnescare la dialettica aperta dal Movimento Pratobello 24 e riassorbirne il grosso delle forze:

«La settimana scorsa il sindaco di Orgosolo Pasquale Mereu non si è presentato a Oristano al dibattito organizzato da Bachisio Bandinu perché doveva vendemmiare. E in effetti la vendemmia è stata portentosa, visto che il successivo 2 ottobre la proposta di legge di iniziativa popolare Pratobello24 arriverà in consiglio regionale sospinta da quasi 150 mila firme. Quindi sì, quando si raccolgono così tanti consensi si sta in una posizione di forza tale che si può anche ritenere di poter fare a meno di sedersi ad un tavolo per provare a discutere di ciò che sta avvenendo in Sardegna sul fronte della transizione energetica»[2].

Biolchini, forte in giornalismo, dimostra minore talento in tattica militare e teoria dei giochi, dimenticando la massima di Sun Tzu «conosci il nemico e conosci te stesso; in cento battaglie, non sarai mai in pericolo». Altrimenti avrebbe fatto economia delle metafore sulla «vendemmia» e sul «vino» del sindaco di Orgosolo Pasquale Mereu e sulla diserzione di tutto lo stato maggiore del Movimento Pratobello 24 all’ «incontro per l’unità», che di fatto ha spuntato quella mossa e vanificato la funzione liquidatrice di quell’appello.

Nel mio «Contro Bandinu» pubblicato sull’Antidiplomatico[3] ho analizzato tutte le ragioni che hanno portato l’intellettuale di Bitti a svolgere una «funzione dell’unità per assimilazione», finalizzata a riassorbire la contraddizione – insanabile con mezzi normali – aperta dalla proposta di legge Pratobello 24 e non mi sembra il caso di tornare sul già detto.

Però è interessante un passaggio del ragionamento di Biolchini, cioè quello in cui si chiede «chi si farà carico di trasformare la volontà di 150 mila sardi (secondo le proiezioni di allora) in azione politica». Ovviamente per Biolchini si tratta di una domanda retorica e non di una questione da discutere in maniera aperta:

«Centocinquantamila firme sono un risultato straordinario, frutto di una mobilitazione dalle mille sfaccettature. Ma chi sarà l’enologo che trasformerà quest’uva in vino? Vino buono, s’intende. Il sindaco di Orgosolo Pasquale Mereu? L’avvocato Michele Zuddas? Luigi Pisci del comitato del Sarcidano? Forza Italia? I gruppi indipendentisti? Sergio Zuncheddu e Mauro Pili? Oppure quello che resterà del raccolto verrà banalmente conferito alla cantina dell’opposizione di centrodestra?».

Biolchini ricorda il personaggio della spia inglese impersonata da Marlon Brando nel bellissimo film Queimada di Gillo Pontecorvo, dove una volta sostenuta la ribellione degli schiavi impiegati nella raccolta della canna da zucchero in funzione anti portoghese, il protagonista William Walker cerca di convincere il capo degli indigeni ribelli, José Dolores, che il nuovo corso deve essere guidato dagli inglesi e non dai ribelli, i quali non possiedono le tecniche e le competenze basilari per la gestione di uno stato moderno. Il popolo può certamente agitarsi, può nutrire pulsioni, può e deve partecipare marginalmente al rito liberale della modernità (a seconda delle fasi sommosse, rivoluzioni, votazioni truccate dall’organizzazione elitaria del consenso), ma non può e non deve in nessuna misura permettersi di governare in maniera diretta, non può e non deve aspirare a diventare volontà collettiva.

Insomma, non ti ribellare o se ti ribelli fallo sotto tutela, perché altrimenti vai a sbattere, o – per usare l’immagine enologica finale di Biolchini – ti prendi una colossale sbronza.

Ne ho parlato abbondantemente altrove e non è il caso di rifocalizzare il discorso, ma è doveroso ricordare che alla base di questa visione – o per meglio dire di questo stigma – c’è la teoria delle élites di Pareto e il progetto crociano di lavorare ad una «rivoluzione passiva», cioè – nell’accezione di Gramsci – ad una «rivoluzione senza rivoluzione», una modernizzazione calata dall’alto che assorbe alcuni elementi delle istanze popolari tagliandone fuori in parte o del tutto le istanze progressive, la capacità di autogoverno, la capacità di essere «volontà collettiva integrale», nel caso sardo di diventare soggetto legislatore popolare e nazionale[4].

La domanda di Biolchini, tradotta in prosa, suona così: a chi andrà questo tesoretto politico delle 210. 729 firme? Mica saranno in grado di intestarsela i portavoce degli schiavi in rivolta (i vari capipopolo Zuddas, Pisci, ec..). Forse ne approfitterà la novella società politico-mediatica del gatto e della volpe di Pili e Zuncheddu. O, più prosaicamente, guideranno le famigerate destre che fondamentalmente hanno orchestrato tutto fin dall’inizio per rovesciare il primo governo progressista, femminista ed ecologista della storia isolana.

Ma se in Biolchini rimane un briciolo di possibilità che non tutto lo «straordinario risultato» possa essere «unicamente addebitato alla poderosa campagna di “disinformazione militante” che l’editore Sergio Zuncheddu e l’ex presidente della Regione Mauro Pili», Paolo Maninchedda tuona, dalle colonne di uno dei think thank più efficaci di cui dispongono le élites sarde, che «l’Unione Sarda ha dimostrato di essere ancora capace di produrre movimenti efficienti ed estesi a tutto il territorio regionale. Può non riuscire a farsi leggere, ma riesce col suo gruppo editoriale a fare movimento. Il suo potere e il suo valore commerciale sono aumentati»[5].

Ma, ed arriviamo al punto, tempus fugit, la storia è corsa velocemente e la fase è cambiata rispetto a questo vecchio armamentario elitario utile forse a delegittimare un movimento antagonista che non è ancora riuscito a passare alla fase dell’insorgenza popolare, come può essere per esempio il movimento contro l’occupazione militare della Sardegna. Applicate al Movimento Pratobello 24 quelle di Biolchini e Maninchedda sono letture di ciechi capaci di scrivere con una certa e sofisticata tecnica, ma con gli occhi bendati verso l’alba. Biolchini e Maninchedda sono vittime del cosiddetto «wishful thinking», letteralmente "pensiero desiderante”. Si tratta di un «bias cognitivo» che distorce la realtà o porta a ignorare le informazioni contrarie alle speranze o desideri di una persona o di un gruppo sociale. Si crede che qualcosa accada semplicemente perché lo si desidera, anche quando non ci sono basi razionali o fatti che sostengano questa convinzione.

Il discorso di Maninchedda sta tutto nella narrazione standard delle élites che hanno bollato il movimento contro la colonizzazione come etero diretto dal gruppo Zuncheddu e dalla destra. Nel normale ordine della delegittimazione tipica delle élites anche la sua definizione del carattere «terzomondista, cheguevarista, insurrezionalista, e addirittura, da un po’ di tempo, anche razzista» dello stato maggiore della mobilitazione popolare. Di contro alle terribili orde «insurrezionali» frenate dall’irrompere nel palazzo solo dalla paura della forza pubblica, Maninchedda propone il suo «indipendentismo democratico», come se raccogliere oltre 210.000 firme non fosse una prova di democrazia. Ricorrente anche il tema della «paura» che anima la folla, solo che nella narrazione di Maninchedda questa volta la «paura» dei carabinieri sovrasta la «paura» delle pale eoliche. In ogni caso, per Maninchedda come per Todde e Comandini, il popolino in rivolta non sa schiodarsi da queste passioni semplici e dalle pulsioni elementari e fondamentalmente irrazionali:

«l’humus di ieri era chiaramente antistituzionale e fortemente tentato dal gesto rivoluzionario. Il deterrente è stata la consapevolezza che i Carabinieri in Sardegna sono bene organizzati. I partiti tradizionali sono stati salvati dalla paura».

Il finale dell’articolo di Maninchedda coincide con le conclusioni di quello di Biolchini: e adesso che fate? Alla base c’è ovviamente lo stigma etnografico del patrizio verso il plebeo, c’è lo scherno dell’intellettuale olimpico e istituzionale che guarda dall’alto al basso il popolino che si agita animato dalla parte irrazionale e passionale dell’anima e che non arriva alle alte vette della raffinatezza intellettuale delle élites arroccate ai vertici della piramide e forti del loro mandato di origine divina. Una toccatina però Maninchedda la rivolge anche alla governatrice Alessandra Todde e al suo “Movimento”, da poco accolti nel club elitario ma ancora considerati di rango non proprio paritario, perché animati da pulsioni ancora troppo similari a quelle nutrite dal popolino e dai suoi tribuni che inneggiano alla ribellione: «la regina e il suo entourage sono soli e circondati: il risentimento che li guida, li sta avvelenando».

Fino a qui siamo ancora alla fase uno della risposta al movimento contrario alla colonizzazione, la fase del disprezzo, della «reductio ad libidinem» delle istanze politiche e sociali provenienti dal basso.

Quello che tardano a capire Biolchini e Maninchedda è che le élites, attualmente alle leve del comando, sono ancora più raffinate di quanto essi possano credere.

L’appello del prof. Bandinu all’unità per un’«embrionale Assemblea Costituente» dove si ritiene «del tutto necessaria la presenza della Giunta regionale»[6] (rappresenta una fase nuova della strategia delle élites per disinnescare- per dirla con Gramsci – la «crisi di egemonia», insieme culturale e politica, rappresentata dal Movimento Pratobello 24. Non è un caso che questo appello sia stato immediatamente colto e rilanciato da Renato Soru, esperto protagonista di rivoluzioni passive o, se si preferisce utilizzare il suo linguaggio, di «rivoluzioni gentili». E, come si è visto, l’appello è stato calorosamente colto anche dalla stessa Giunta che ne ha approfittato per lanciare il suo progetto di legge che di fatto ha l’obiettivo di disinnescare e liquidare non la «speculazione energetica» che all’articolo 3 viene di fatto garantita perfino nelle aree dichiarate «non idonee», bensì proprio la legge Pratobello 24 e soprattutto il grande movimento popolare che sta alle sue spalle.

Biolchini e Maninchidda sono intellettuali rimasti alla fase primitiva della delegittimazione del movimento. La parte delle élites più capace di elaborare analisi (o per cultura personale, o per cultura di apparato) è già approdata ad una nuova fase che per comodità chiameremo «toddismo», anche se ovviamente non è Alessandra Todde la sua ideologa, ma altre figure ben più attrezzate culturalmente che in questo momento stanno supportando il suo esercizio politico nella gestione di questa difficile – sempre per dirla con Gramsci - «crisi organica di egemonia», cioè della frattura tra la funzione direttiva politica e culturale delle élites al potere e il popolo passato dalla fase della protesta «economico-corporativa» e settoriale alla fase della «volontà collettiva integrale».

Il «toddismo» come strategia del contro-contr’assedio

Alla domanda del giornalista Nicola Scano nel corso del programma Radar su che impressione «umana» avesse ricavato dall’incontro con la delegazione della Rete Pratobello 24, il presidente del Consiglio Regionale Piero Comandini risponde così:

«ho incontrato persone che credono molto nel lavoro che hanno portato avanti in questi mesi, ma soprattutto c’è stata la condivisione che la preoccupazione di quelle oltre 200.000 firme, di quelle oltre 200.000 persone che hanno voluto sottoscrivere, non hanno sottoscritto solo la proposta di legge di iniziativa popolare, ma hanno condiviso la stessa preoccupazione che c’è all’interno del Consiglio Regionale fra i 60 consiglieri regionali. Perché quella idea di difesa di una Sardegna è la stessa idea che abbiamo già discusso all’interno del Consiglio Regionale con l’approvazione della legge 5 che abbiamo già messo in campo nel momento in cui dobbiamo gestire una delle trasformazioni più importanti che sta vivendo, non soltanto la Sardegna ma il paese e l’Europa, che è la transizione energetica. Quindi la preoccupazione di molti sottoscrittori è la nostra preoccupazione ed è per questo lavoro che stiamo portando dal primo momento in cui si è aperta questa legislatura di governare la transizione energetica, perché il problema non è altro che dettare le regole in modo che siano i sardi rappresentati anche all’interno del Consiglio Regionale a decidere dove e come gestire e impegnarsi su questa transizione energetica»[7].

Gli oltre duecentodieci mila firmatari della Pratobello 24 per Comandini non rappresentano una volontà collettiva che si è posta su un terreno direttamente politico (nel senso stretto del termine, vale a dire in senso legislativo) per sbarrare la strada alla penetrazione coloniale dell’isola, sancendo in via definitiva che in Sardegna non ci sono aree idonee alla speculazione delle grandi banche d’affari e delle multinazionali e che l’unica transizione energetica che i sardi desiderano è quella gestita direttamente dalle comunità e dalle istituzioni sarde (comunità energetiche, FER sulle superfici già impermeabilizzate e FER lineari). No, i sardi che hanno sottoscritto la Pratobello 24 stanno nell’ordine delle passioni primarie come la «preoccupazione» e la «paura» e sono del tutto incapaci di elevarsi al rango dell’elaborazione razionale e politica, cioè di innalzarsi sul piano della pianificazione e della decisione politica, cioè sono incapaci e comunque non legittimati a diventare volontà e legislatore collettivo. Questa opzione non è nemmeno da prendersi in considerazione e da questo punto di vista Comandini si muove sullo stesso piano intellettuale e politico dei Biolchini e dei Maninchedda, che è l’ideologia delle élites di Pareto[8]. Fino a qui il tono di Comandini verso il popolo è quello dell’adulto verso il bambino e dunque siamo ancora nella “fase uno” della delegittimazione, se pur nascosta dai toni morbidi di un paternalismo di velluto.

La novità sta in quello spirito di identificazione che Comandini avanza quando identifica l’elemento comune della pulsione «preoccupazione» fuori e dentro il palazzo: «hanno condiviso la stessa preoccupazione che c’è all’interno del Consiglio Regionale fra i 60 consiglieri regionali».

Ovviamente è pura e raffinatissima retorica sofistica, perché immediatamente dopo si aggiunge:

«quella idea di difesa di una Sardegna è la stessa idea che abbiamo già discusso all’interno del Consiglio Regionale con l’approvazione della legge 5 che abbiamo già messo in campo nel momento in cui dobbiamo gestire una delle trasformazioni più importanti che sta vivendo non soltanto la Sardegna ma il paese e l’Europa che è la transizione energetica».

Quello che Comandini ovviamente non può dire è che i sardi fuori dal palazzo non hanno raccolto firme in sostegno della legge 5 (la moratoria) e nemmeno per la legge sulle «aree idonee», ma questo è un dettaglio, perché i sardi fuori dal palazzo non volevano realmente diventare legislatori, quindi farsi soggetto politico. No, i firmatari della legge di iniziativa popolare volevano solo esprimere una pulsione e uno spirito di protezione istintivo verso la Sardegna che – assicura Comandini – è condiviso dalle élites dentro il palazzo che sono anche loro sardi, ma dotati oltre che di pulsioni basilari anche di capacità razionali e quindi di possibilità legislative.

La vera novità nel discorso di Comandini a Radar sta nel creare l’illusione dell’unità fra «alto» e «basso», fra «dentro» e «fuori», cioè fra «dirigenti» e «diretti». Non importa che si tratti di un’unità fittizia e del tutto retorica. L’importante è ricucire lo scollamento che si è venuto a creare e iniziare a riaggregare attorno alle élites importanti elementi di consenso. Siamo alla fase due, cioè al contr’assedio, in una parola ad una nuova strategia egemonica che punta a ricollocare l’elemento popolare riottoso e ribelle al suo posto.

Comandini, dopo aver fatto un passaggio sulla necessità di accettare la «transizione energetica» così come questa viene imposta dall’alto, seppure con dei correttivi rispetto al Far West dovuti dal Decreto Draghi del 2021 (emanato dal Governo che le forze attualmente al potere in Sardegna hanno sostenuto a livello statale), rende esplicita la nuova strategia per fronteggiare la crisi organica aperta dalla Pratobello 24. Comandini, auspicando un «atto di fiducia» verso il centro politico da parte del gregge popolare smarrito rivela la liason tra la centrale del potere e la proposta di Bandinu all’«unità». Vediamo in parallelo la narrazione di Comandini e quella di Bandinu.

Comandini:

«Io credo che in questo momento, con tutte queste grandi trasformazioni, anche il rapporto di fiducia nei confronti delle istituzioni deve essere rafforzato perché non ci possiamo più permettere divisioni fra sardi e fra istituzioni»

Scriveva Bandinu nella chiosa del suo appello:

«La battaglia giuridica e politica con Roma non è affatto facile, anzi incontrerà difficoltà enormi, perché nel contenzioso tra Stato e Regione, la Consulta da quasi sempre ragione allo Stato. Un motivo in più per essere uniti. Se c’è un consenso diffuso, l’incontro-dibattito si può mettere in atto, se si ritiene superfluo e inutile, valga almeno il proposito di conciliazione: disarmati tra di noi, armati contro il comune nemico».

In entrambi i casi dietro l’appello all’«unità dei sardi» verso l’esterno (nel caso di Comandini verso il Governo Meloni e non verso lo Stato italiano e la sua funzione coloniale in quanto tale) lavora invece il raffinato tentativodi ricucire lo strappo che esiste tra popolo ed élites sarde, pienamente responsabili della colonizzazione energetica in corso.

Resta da capire quale sia la cerniera tra le due elaborazioni e il ruolo che gioca in tutto questo la «rivoluzione gentile» di Soru con i suoi articolati dentro il movimento. Su questo credo sarà necessario tornare in seguito, per ricostruire nei dettagli la strategia della «teoria dell’unità per assimilazione», la quale ho buone ragioni per credere che sia ampiamente utilizzata non solo nel contesto sardo, ma anche in molti altri contesti dove si aprono conflitti e contraddizioni «organiche» (pacifismo e opposizione alla guerra, movimento di solidarietà per la Palestina, femminismo, ecc...).

Veniamo ora alla governatrice Alessandra Todde la quale, ai microfoni dell’Unione Sarda, ha dichiarato quanto segue:

«Noi abbiamo raccolto, io personalmente ho raccolto, la paura e la preoccupazione delle tante persone che hanno firmato questa iniziativa di legge popolare. La questione è distinguere quello che è il ruolo delle istituzioni. Chi propone una legge di iniziativa popolare mostra chiaramente delle paure e mostra ovviamente la preoccupazione di voler difendere in questo caso il proprio territorio. Le istituzioni devono fare le istituzioni. Noi siamo una Giunta e un Consiglio che sono stati legittimamente eletti e quindi devono fare il compito che gli è stato assegnato dai cittadini durante le lezioni e quindi è importante differenziare questo. noi ascolteremo ovviamente le preoccupazioni, le raccoglieremo all’interno della legge che stiamo proponendo ma è giusto che i legislatori facciano i legislatorie interpretino la volontà considerando che sono stati legittimamente eletti»[9].

I lemmi «paura» e «preoccupazione» ricorrono ossessivamente in pochi secondi di intervista e il nocciolo del discorso è il medesimo di Comandini, anche se la forma è più ingessata e meno abile nella costruzione dell’illusione di quella che Gramsci chiama «connessione sentimentale tra dirigenti e diretti»: Chi ha sostenuto e sottoscritto la Pratobello 24 voleva comunicarci «paure» e «preoccupazioni» che ora noi «accogliamo» nel modo in cui riteniamo opportuno, ovviamente disinnescando la volontà popolare e riassorbendone le istanze di rottura. Il significato del discorso di Todde è il medesimo di quello di Comandini, anche se a naso direi che Comandini maneggia meglio Gramsci (almeno per cultura di apparato) rispetto alla governatrice, ma questi sono dettagli. Il punto è che Todde ha abbandonato il vecchio armamentario narratologico di una manipolazione della volontà collettiva dei sardi da parte di terzi e si è ricollocata su una strategia pseudo unitaria che esprime vicinanza e ascolto, anche se solo in funzione strumentale e fittizia. Anche Todde si è giocoforza adeguata alla necessità di una nuova fase nella guerra d’attrito contro il Movimento Pratobello 24. Inutile usare solo la forza, serve anche l’egemonia!

Siamo dunque alla seconda fase della strategia anti popolare delle élites e il «toddismo» rappresenta l’armamentario politico e culturale con il quale da oggi in poi dobbiamo misurarci. A corredo del «toddismo», ovviamente stanno pezzettini del movimento e quelli che Gramsci chiamava «traditori di classe» che intravedono in questo cambio di passo una possibilità di inserirsi a pettine nelle maglie delle elites. Ma anche su questo rimando al mio La «transizione energetica», Gramsci e la rivoluzione passiva per L’Antidiplomatico.

Pratobello 24 cambia tutto Scrive giustamente Omar Onnis su Sardegna Mondo che per il potere «la mobilitazione popolare» è il «nemico pubblico numero uno»[10] e su S’Indipendente avanza un elenco di contraddizioni coloniali legate alla questione energetica su cui si è aggregato un vasto dissenso, trasformatosi presto in un movimento capace di formulare proposte e di costruire intorno a queste una mobilitazione inedita. Scrive ancora Onnis: «la Sardegna non rifiuta le fonti rinnovabili, ma la speculazione e l’aggressione coloniale tramite cui le si sta imponendo sull’isola, contro l’interesse delle nostre comunità e a detrimento di beni e necessità comuni»[11].

Al «toddismo» è necessario contrapporre una prospettiva politica che lavori per trasformare la «crisi organica» in «costruzione egemonica». Siamo a buon punto. Il Movimento Pratobello 24 possiede una direzione «intellettuale e morale» che non è nata oggi, ma che in gran parte proviene da vertenze sull’occupazione militare, dalla difesa della sanità pubblica, dal mondo sindacale di base e soprattutto dal settore scuola, dal mondo della cultura e dalle lotte per il bilinguismo.

Sarà impossibile e perfino controproducente ricavarne un partito vecchio stile, omogeneo e strutturato in maniera statica. Ma sarà anche impossibile restare ad un livello fluido e monotematico. Ci sono questioni legate a doppio filo alla colonizzazione energetica. Ne dico due tanto per aprire le danze della dialettica che ci attende: il no al DL 1660 che di fatto completa la trasformazione dello Stato di diritto in una post-democrazia dove manifestare o anche solo dissentire diventa sempre più rischioso, e l’opposizione alla folle corsa verso l’escalation bellica con il conseguente utilizzo della Sardegna come hub militare strategico. A quest’ultima questione l’energia è legata a filo doppio, visto che il ruolo della Sardegna all’interno del Patto atlantico sarà sempre di più funzionale alle nuove esigenze belliche, sia direttamente (con la fitta presenza di basi e poligoni militari), sia indirettamente (con la produzione di energia a buon mercato per le fabbriche energivore che dovranno sfornare in gran quantità munizioni e carri armati.

E allora riprendiamo la fine dell’articolo di Maninchedda e le sue tre opzioni elitarie di sbocco politico del Movimento Pratobello 24 dopo le 210 mila firme:

opzione 1: il Consiglio rigetta la legge e cosa farà il «Popolo delle firme»? «Griderà al golpe? Scenderà in piazza? E con quali obiettivi? Occuperà il Consiglio?»

opzione 2: «Il Consiglio regionale fa il furbacchione e approva intonsa la legge che, un attimo dopo verrà impugnata dal Governo. Che farà il popolo delle firme? Assedierà le prefetture? Occuperà le caserme?Bloccherà i porti?»

Opzione 3. «Il Consiglio approva e il Governo non impugna. La strada sarebbe spianata a migliaia di leggi di iniziativa popolare che dichiarerebbero inutili i parlamenti. La strada al premierato senza assemblee legislative sarebbe spianata (e forse Giorgia ringrazierebbe) e magari vi sarebbe chi raccoglierebbe le firme per impedire la ricostruzione dell’Ospedale Marino sulla spiaggia del Poetto perché a favore della sua demolizione»

Mi permetto di suggerire anche una quarta opzione all’olimpica e superiore anima di Maninchedda. Il «Popolo delle firme», cioè i 210. 729 sardi che hanno sottoscritto la Pratobello 24 e le altre decine di migliaia che avrebbero voluto firmare ma che per un motivo o per l’altro non hanno potuto, finalmente prendono consapevolezza e attorno al Movimento Pratatobello 24 e alla sua fitta rete territoriale, si organizzano per costruire un’alternativa democratica e popolare ad una èlite politica che ancora una volta si abbassa le mutande davanti agli «spogliatori di cadaveri» e ostenta spocchia (manincheddismo) o cerca di blandire pateticamente il dissenso (toddismo e comandinismo) per portare a casa la pelle (politica).

Sarebbe anche ora che il popolo sardo avesse il suo primo reale movimento di liberazione popolare e nazionale. Liberazione, in primo luogo, da questa misera e parassitaria élite, incapace di costruire alcun legame organico con il popolo che pure si candida sistematicamente a rappresentare, tradendone però puntualmente le istanze e le aspirazioni fondamentali.

NOTE:

[1] https://www.lanuovasardegna.it/nuoro/cronaca/2024/10/02/news/turisti-al-lavoro-nelle-campagne-di-oliena-in-cambio-di-ospitalita-nel-vecchio-ovile-senza-frontiere-1.100593019.

[2] https://www.vitobiolchini.it/2024/09/28/pratobello24-la-vendemmia-e-stata-abbondante-ma-adesso-il-vino-chi-lo-fa/?fbclid=IwY2xjawFrpvBleHRuA2FlbQIxMQABHS_Qhhy8WHK6pSxHeLsm6r7Fb5e6m9S5Wj3AHOYD0TtWnT7_Oae3efukIg_aem_UhjCVHu1TOrpDbfJyenO7g&sfnsn=scwspwa#google_vignette.

[3] https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-contro_bachisio_bandinu_transizione_energetica_neocolonialismo_e_schiavi_che_finalmente_sanno_dire_no/39130_56590/.

[4] https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_transizione_energetica_gramsci_e_la_rivoluzione_passiva/39602_56318/.

[5] https://www.sardegnaeliberta.it/manifestazione-riuscita-e-adesso/?fbclid=IwY2xjawFrp0BleHRuA2FlbQIxMQABHUlu0N-ZX_djmN4nnUaBpX5y9D8ISPFhAvPpvWreLSh2wB09qDv5z2fE8w_aem_tT3kUc_RULVYU3dkGn8k7w&sfnsn=scwspwa.

[6] https://www.progettosardegna.it/proposta-di-un-incontro-dibattito/.

[7] https://www.videolina.it/articolo/video/attualita/2024/10/03/radar-oltre-l-attualita-2024-4-ottobre-80-1205394.html.

[8] https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-contro_bachisio_bandinu_transizione_energetica_neocolonialismo_e_schiavi_che_finalmente_sanno_dire_no/39130_56590/.

[9] https://www.unionesarda.it/politica/legge-pratobello-todde-niente-scorciatoie-i-legislatori-siamo-noi-ni9l63p1.

[10] https://sardegnamondo.eu/2024/09/01/la-mobilitazione-popolare-nemico-pubblico-numero-uno-per-il-potere/.

[11] https://www.sindipendente.com/blog/pratobello24-linizio-di-una-nuova-fase/

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