Il dibattito sulla manovra di bilancio per il 2025 presenta alcuni aspetti paradossali. Essendo impostato su una strategia del Governo consistente nel rappresentare una realtà che non esiste, la discussione oscilla fra il surreale e la confusione (voluta) nel trattare aspetti tecnici complessi.
Proviamo a sfatare almeno qualche elemento principale di mistificazione.
1) Prima bugia: dice il Governo che la manovra condurrà a una maggiore crescita. Ma affinché una manovra stimoli l’economia, è necessario che sia espansiva. L’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche in realtà viene ridotto dal 3,8% del PIL nel 2024 al 3,3% nel 2025, dunque la politica di bilancio non è espansiva, bensì recessiva, ovvero avrà l’effetto di deprimere la crescita. Per di più, il 2025 è solo il primo anno di un percorso quinquennale, già individuato nel Piano strutturale di bilancio (PSB), che attraverso tagli successivi porterà l’indebitamento netto all’1,8% del PIL nel 2029, per rispettare le nuove regole europee. Lo stesso PSB lamenta il rischio che l’applicazione di politiche di riduzione del deficit in diversi paesi europei possa rendere l’impostazione delle politiche di bilancio dell’UE complessivamente restrittiva, mentre altrove ci si preoccupa di rispondere alle sfide tecnologiche e ambientali utilizzando ampiamente le risorse pubbliche. E, a conferma di questo “rischio” è la stessa Commissione Europea in questi giorni a dire che le stime di crescita dei Governi (a partire dall’Italia) sono troppo ottimistiche
E allora perché il Governo parla di manovra per la crescita? Da un lato, perché si ripropone un vecchio mantra, in base al quale basta la riduzione delle tasse – anche tagliando la spesa pubblica – per generare maggiore crescita.
L’altra ragione è che nei documenti di finanza pubblica lo scenario programmatico, che comprende gli effetti della manovra, viene posto a raffronto con uno scenario ipotetico, ovvero la previsione del Governo sull’evoluzione dell’economia e della finanza pubblica qualora non si fosse intervenuti in alcun modo (quadro tendenziale a legislazione vigente, che non comprende nemmeno il finanziamento dei rinnovi contrattuali del personale).
Lo scenario tendenziale per il 2025 e anni successivi appare, peraltro, del tutto particolare, perché alcune misure consistenti di riduzione del gettito adottate per il 2024, volte a diminuire il cuneo fiscale sui redditi da lavoro dipendente (attraverso la riduzione dei contributi previdenziali a carico del dipendente fino a 35 mila euro e l’accorpamento delle aliquote IRPEF su tre scaglioni), erano provvisorie, e in assenza di interventi avrebbero esaurito i loro effetti. In questo quadro ipotetico si sarebbero verificati un incremento rilevante delle entrate fiscali e contributive e una riduzione del deficit rispetto al 2024 pari a quasi un punto di PIL. Questa riduzione, con la manovra, si riduce a mezzo punto, perché la diminuzione del cuneo viene sostanzialmente confermata, sia pure attraverso una diversa modulazione del prelievo. Ma si tratta, comunque, a tutti gli effetti di una diminuzione del deficit – quindi di una diminuzione delle risorse messe a disposizione dell’economia – la quale, per un mero effetto ottico, risulta meno feroce di qualcosa che non è mai esistito.
Ciò non basta a rendere la politica di bilancio espansiva. Il Governo annuncia effetti slegati dalla realtà per nascondere la sua marcia indietro rispetto ai bellicosi proclami anti-UE di Lega e FdI durante la campagna elettorale. Affinché si abbiano davvero politiche fiscali espansive, infatti, è necessario un aumento della differenza tra spesa e prelievo fiscale tra un periodo e il periodo successivo. In questo caso, invece, la differenza tra spesa e prelievo fiscale relativa agli anni compresi nel periodo programmatico della manovra sarà maggiore rispetto a quanto previsto nei precedenti documenti di finanza pubblica, senza alcun riferimento al suo livello in relazione a quello dell’anno in corso.
2) Seconda bugia: dice il Governo che la manovra va principalmente a vantaggio delle famiglie, soprattutto quelle formate da lavoratori dipendenti. Questo avverrebbe grazie soprattutto alla riduzione del cuneo fiscale, ottenuta attraverso una detrazione sui redditi compresi tra 20.000 e 40.000 euro e un bonus per quelli inferiori a 20.000 euro, in modo da raggiungere anche i lavoratori più poveri, che potrebbero essere incapienti e dunque non avvantaggiarsi della detrazione. La bugia qui è clamorosa, in quanto – come detto in precedenza – il decantato “taglio del cuneo fiscale” è in realtà solamente la conferma dell’agevolazione già in vigore e sinora finanziata solamente per il 2024. Ora invece diventa strutturale, ma di fatto nelle tasche dei lavoratori da gennaio 2025 non entrerà neanche 1 euro in più rispetto all’anno precedente, semplicemente si eviterà che la tassazione per loro aumenti!
Ma la conferma di questo taglio è comunque una cosa positiva? Non proprio. Come detto tante volte, provvedimenti di questo tipo sono sostanzialmente una truffa, poiché mascherano la misura effettiva in cui tali interventi favoriscono effettivamente le imprese – che potranno garantire un salario netto più alto a spese dello Stato – e non i lavoratori. Un’imposta può essere traslata su altri soggetti (ad esempio dalle imprese ai consumatori attraverso prezzi più alti), ma anche una riduzione di imposta può essere trasferita (ad esempio dai lavoratori alle imprese attraverso salari più bassi). Nel frattempo, la spesa primaria netta (definita nell’ambito delle regole europee come spesa pubblica, esclusi gli oneri per interessi, al netto delle componenti legate al ciclo economico, come i sussidi per la disoccupazione, delle misure non strutturali o finanziate dall’UE e delle misure discrezionali sulle entrate) per il prossimo quinquennio dovrà crescere in media dell’1,5% (1,3% nel 2025 secondo il PSB), meno del tasso di inflazione, e questo implicherà oltre ogni possibile dubbio un ridimensionamento dei servizi pubblici erogabili.
Tagli di questa entità, è la stessa legge di bilancio a dircelo, si riflettono su minori disponibilità (e quindi minori servizi) per Regioni ed Enti Locali, cioè le realtà che erogano la maggior parte dei servizi concreti di cui usufruiscono i cittadini. L’entità dei sacrifici richiesti è da brividi, con tagli che arrivano a superare i 7 miliardi nei prossimi anni.
Tagli a Regioni ed Enti Locali (milioni di euro) | |||
Anno | Regioni | Regioni a statuto speciale | Comuni e Province |
2025 | 280 | 150 | 140 |
2026 | 840 | 440 | 290 |
2027 | 840 | 440 | 290 |
2028 | 840 | 440 | 290 |
2029 | 1.310 | 440 | 490 |
Totale | 4.110 | 1.910 | 1.500 |
Tagliare vuol dire anche bloccare il turnover del pubblico impiego (cioè, non si garantisce neanche che ogni lavoratore che va in pensione sia sostituito), e ancora una volta basta lasciare la parola alle tabelle predisposte dallo stesso Governo e inserite nella legge di bilancio per mostrare che uno dei settori più colpiti sarà quello della scuola, con effetti che non si limiteranno al 2025:
Insomma, quei due spiccioli, neanche aggiuntivi, che resteranno nelle tasche dei lavoratori, saranno pagati dai lavoratori stessi attraverso meno servizi pubblici. Chi ci guadagnerà alla fine? Sicuramente, ad esempio, ci guadagneranno le banche (e anche qui smontiamo una bugia del Governo). Per loro infatti, nonostante i profitti da record accumulati negli ultimi anni, non si prevede alcun “sacrificio” ma solo un’anticipazione di versamenti, attraverso la sospensione di alcune deduzioni di imposta, con recupero dal 2027.
3) Terza bugia: il Governo millanta che la spesa sanitaria aumenterà come mai prima d’ora, c’è un piano di assunzioni, il tetto alla spesa di personale nel settore sanitario non ci sarà più dal 2025, etc. etc. La spesa sanitaria aumenterà in valore assoluto (come sempre nell’ultimo decennio) e più della spesa primaria netta, ma se calcolata in rapporto al PIL, dopo aver toccato il minimo storico nel 2023 (6,2%), tornerà solo nel 2026 all’incidenza del 2019, un livello comunque assai misero e che ci fece trovare in brache di tela di fronte alla pandemia (6,4%), dove era planata dopo anni di riduzione della quota di risorse dedicate al settore. Inoltre, ed è ben più grave, la spesa sanitaria espressa in termini reali (quindi al netto dell’inflazione) è in discesa già dallo scorso anno, essendo tornata addirittura a livelli inferiori a quelli del 2019.
La manovra, inoltre, non contempla alcun piano di assunzioni. Quelle che comunque si potranno fare dovranno rispettare una nuova metodologia di valutazione dei fabbisogni di personale, che dovrà essere coerente con il tetto indicato dal decreto-legge sulle liste di attesa del giugno scorso.
In conclusione, altro che manovra per la crescita: il Governo con questa manovra cala completamente la maschera e ci riporta indietro di oltre 10 anni a una stagione di pure austerità fatta di tagli operati a tutti i livelli, le cui conseguenze colpiscono in particolare i lavoratori e le fasce più povere della popolazione. Ed è da qui che occorre quindi ripartire, prendendo esempio dalle contestazioni degli studenti di questi giorni e costruendo la massima partecipazione in vista della manifestazione femminista del 23 novembre e infine degli scioperi generali con cui rispedire al mittente le bugie del Governo.
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