Lucio Baccaro, Björn Bremer, Erik Neimanns, Opposition to austerity outweighs support for the euro in Italy, The London School of Economics and Political Science, 26 aprile 2021. Traduzione a cura di Giubbe Rosse
Il Covid-19 ha aumentato il rischio di una nuova crisi finanziaria nell’Eurozona. Questa volta l’epicentro sarebbe molto probabilmente l’Italia, dove il debito pubblico, già molto alto prima della pandemia, ha sfiorato il 160% del PIL nel 2020 e la crescita è rimasta ferma negli ultimi 25 anni. Se i mercati finanziari iniziassero ad avere dubbi sulla sostenibilità del debito italiano, spingerebbero al rialzo lo spread del tasso di interesse e costringerebbero il governo italiano a chiedere un piano di salvataggio europeo o a uscire dall’Euro.
In base alle regole introdotte nella prima fase della crisi dell’Euro, un paese che richiede un prestito dal Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) deve firmare un memorandum d’intesa che lo impegni all’austerità e a riforme strutturali. Un programma MES è una condizione preliminare necessaria per le transazioni monetarie definitive (OMT) da parte della Banca centrale europea (BCE), ovvero acquisti potenzialmente illimitati di titoli di Stato da parte della banca centrale.
Uno dei problemi di questa strategia di risoluzione delle crisi è che le misure di austerità imposte ai paesi in crisi sono altamente impopolari e portano a volatilità elettorale, a proteste pubbliche e all’emergere di forze anti-sistema. Tuttavia, la ricerca esistente mostra che gli elettori nella maggior parte dei paesi in crisi non sono disposti a lasciare l’Euro nonostante gli elevati costi sociali dell’austerità. Nel luglio 2015, gli elettori greci hanno respinto il pacchetto di salvataggio dell’Unione Europea in un referendum popolare, tuttavia la ricerca mostra che volevano rimanere nella moneta comune. Questa riluttanza all’uscita, nonostante i costi dell’austerità, ha rafforzato la posizione dei paesi “creditori” e ha consentito loro di spostare il peso dell’aggiustamento sui paesi “debitori” durante la crisi dell’Euro.
Una crisi finanziaria in Italia, la terza più grande economia dell’Eurozona, avrebbe conseguenze pesanti per l’Euro. Molti commentatori ritengono che la sopravvivenza o la fine dell’Euro dipendano dall’Italia e che la possibilità di un’uscita sia tutt’altro che un’ipotesi puramente accademica. All’indomani della crisi dell’Euro, il Movimento Cinque Stelle (M5S) ha incluso nel suo programma elettorale del 2014 la promessa di un referendum sull’Euro, mentre la Lega ha proposto un’uscita negoziata dall’Eurozona nel programma elettorale del 2018 e del 2019. Inoltre, il sostegno all’Euro prima e dopo l’epidemia di Covid-19 è stato significativamente più basso in Italia rispetto a quasi tutti gli altri Paesi. Tuttavia, poco sappiamo di come gli italiani soppeserebbero i costi e i benefici di una permanenza nell’Euro in caso di crisi finanziaria e come reagirebbero se un salvataggio finanziario fosse condizionato all’austerità e a riforme strutturali.
Un'indagine sperimentale
In un recente studio, abbiamo presentato a un ampio campione di italiani (n = 4.200) un ipotetico scenario di crisi finanziaria in stile greco. Abbiamo condotto la nostra indagine sperimentale nell’ottobre 2019, sulla scia di una situazione di stallo tra il governo italiano e la Commissione Europea sul deficit pubblico del Paese. Abbiamo utilizzato quote campione per garantire un campione rappresentativo basato su età, sesso e settore economico e pesi di indagine per correggere ulteriormente le deviazioni del nostro campione dalla popolazione reale su altre dimensioni. Tuttavia, i nostri risultati sono abbastanza robusti per l’uso di diversi tipi di pesi di indagine o nessun peso.
A tutti gli intervistati viene sottoposto uno scenario in cui l’Italia si trova nel mezzo di una crisi finanziaria, che ha comportato il congelamento delle iniezioni di liquidità da parte della BCE, corsa alle banche e fuga di capitali, rapido aumento del premio di rischio sui titoli di Stato e incapacità del governo di adempiere ai propri obblighi finanziari. Agli intervistati è stato poi detto che il governo, prima di accettare un pacchetto di salvataggio europeo, voleva consultare i suoi cittadini attraverso un referendum, chiedendo loro se volevano rimanere nell’Euro, e quindi, accettare il pacchetto di salvataggio, oppure rifiutare il pacchetto di salvataggio e, quindi, uscire dall’Euro. Infine, è stato chiesto ai partecipanti al sondaggio come avrebbero votato in questo ipotetico referendum.
Abbiamo combinato lo scenario di base con informazioni aggiuntive sul costo della permanenza nell’Euro e sulla responsabilità della crisi. Ad alcuni cittadini selezionati a caso è stato detto che il piano di salvataggio europeo implicava austerità e riforme strutturali (regole più semplici per i licenziamenti, tagli alla spesa, privatizzazioni ecc.); altri cittadini non hanno ricevuto queste informazioni. Inoltre, alcuni intervistati selezionati in modo casuale hanno ricevuto informazioni che attribuivano la responsabilità della crisi a una procedura per disavanzo eccessivo avviata dall’UE nei confronti dell’Italia; altri intervistati hanno ricevuto informazioni che attribuivano la responsabilità alla decisione del governo italiano di ignorare le regole fiscali europee; altri intervistati non hanno ricevuto informazioni su chi fosse il responsabile della crisi.
Risultati
I nostri risultati suggeriscono che l’opinione pubblica italiana è fortemente sensibile al costo della permanenza nell’Euro. Se gli elettori vengono informati che la permanenza nell’Eurozona ha come prezzo da pagare l’austerità, il sostegno all’uscita aumenta del 15% e il sostegno alla permanenza diminuisce di quasi il 20%. Al contrario, non si registrano effetti significativo nell’attribuzione della responsabilità della crisi al governo italiano o a soggetti stranieri (Figura 1). A quanto pare, agli elettori italiani non interessa molto di chi sia la colpa della crisi, ma si oppongono fermamente a un’ulteriore austerità.
Figura 1: effetti medi del trattamento dell’austerità e dell’attribuzione di responsabilità sulla scelta di voto in un ipotetico referendum sull'”Italexit”
È importante sottolineare che, quando agli intervistati non viene detto nulla in merito alle condizionalità associate a un salvataggio europeo, la maggioranza vuole rimanere nell’Euro. Tuttavia, quando si informano i partecipanti sulle condizionalità, si produce una maggioranza relativa favorevole all'”Italexit” (Figura 2). Nel complesso, i nostri risultati suggeriscono che in Italia l’opposizione all’austerità prevale sul sostegno all’Euro. Ciò implica che l’approccio alla risoluzione delle crisi finora seguito dalle autorità europee, basato sul risanamento fiscale e sulle riforme strutturali in cambio del sostegno finanziario, potrebbe portare a una maggiore resistenza in Italia rispetto alla Grecia e ad altri paesi e, addirittura, a una rottura dell’Eurozona.
Figura 2: probabilità di voto previste in ipotetici referendum sull'”Italexit” in base al trattamento
Nel nostro studio non abbiamo presentato agli intervistati informazioni che evidenziassero i costi di uscita dall’Euro e questo restringe i nostri risultati. È possibile che le preferenze per la permanenza aumentino in modo significativo ove si enfatizzino i costi dell’uscita e potrebbero controbilanciare il calo dovuto all’enfasi sui costi del soggiorno (austerità). Allo stesso tempo, il caso della Brexit suggerisce che i cittadini tendono a scontare il costo dell’uscita. In una ricerca futura abbiamo in programma di analizzare in che modo i cittadini valuterebbero il costo della permanenza rispetto all’uscita dall’Euro.
Per ulteriori informazioni, si veda l’articolo di accompagnamento degli autori su European Union Politics
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