di Daniel Wedi Korbaria*
“Vogliamo mettere una nave in mare” scrive nel suo sito la ResQ Onlus, un’associazione milanese nata nel luglio 2020. Il suo Presidente onorario, l’ex magistrato Gherardo Colombo, motiva l’iniziativa dicendo: “Se fossimo noi in mezzo al mare, vorremmo che qualcuno ci salvasse”.
La umanitaria Onlus prosegue: “Siamo la società civile! Siamo persone, proprio come te, stanche di restare a guardare. Crediamo nell’importanza di colmare il vuoto che si è creato nel Mediterraneo. Per noi, soccorrere è umano!” Il Presidente di questa “società civile” è un certo Luciano Scaletteri (giornalista e inviato speciale di Famiglia Cristiana), a dimostrazione che solo in Italia i giornalisti si possono trasformare da un giorno all’altro in attivisti tuttofare e paladini dei diritti umani.
Gli esempi di questi intrepidi giornalisti sono tanti e tra i più disparati. C’è chi possiede piattaforme per fare petizioni online e chi, invece, fonda comitati. Queste situazioni ambigue pongono seri dubbi sulla loro deontologia professionale.Nel Consiglio Direttivo di ResQ oltre al magistrato ci sono ben tre avvocati, melius est abundare quam deficere, non sia mai tornassero utili alla causa.
C’è poi un dirigente aziendale ed un sindacalista della CGIL, sindacato che oggi, a quanto pare, si occupa più di immigrazione che di diritti dei lavoratori e, dulcis in fundo, ci sono professionisti che provengono dai più disparati mondi lavorativi, accumunati soltanto dalla frenesia di mettere in mare l’ennesima nave dei salvataggi. “Sogniamo che ogni Stato europeo segua il nostro esempio e metta in mare altre navi di speranza” è una frase del loro manifesto che, devo confessarlo, mi terrorizza.
Se immaginassimo il Mediterraneo zeppo di imbarcazioni dei 28 Stati membri significherebbe che in mare ci siano troppi africani bisognosi di essere soccorsi, quegli stessi africani a cui quegli stessi Governi europei negano i visti d’ingresso regolari!“Ai nostri Governi, alla nostra Europa, spetta il compito di far salpare progetti concreti di gestione e accoglienza” precisa il manifesto ResQ.
Ecco dunque l’affare di ritorno per i governi europei, ancora altro business dell’accoglienza che come abbiamo visto finora ha reso milionari pochi e ha sfamato molte famiglie con lauti stipendi. Una vera e propria filiera. E per muovere questa economia, pardon, per fare i salvataggi di africani, bisogna comperare questa benedetta nave e così l’Associazione ResQ - People Saving People, ossia gente che salva gente, attiva direttamente nel suo sito un crowdfunding, una raccolta fondi, dove spiega anche i vari costi a cui andranno incontro: 350.000 euro per l’acquisto dell’imbarcazione, 250.000 euro per adeguare la nave alle operazioni search and rescue (ricerca e salvataggio), e poi 1.000.000 di euro per 3 mesi di missione, 2.500.000 di euro per un anno di missione.
Cifre esorbitanti che, se venissero distribuite ai naufraghi africani, li trasformerebbero in imprenditori nel loro Paese. Invece tutto questi soldi servono soltanto a farli finire nel dimenticatoio una volta fatti sbarcare in Italia, infischiandosene del loro destino.
A sorpresa poi, nel 2021, la ResQ si è trasformata in “Eritrean ResQ Boat” cioè in una nave “salva eritrei”. Il 20 maggio 2021 la Onlus milanese lancia un video pubblicitario[1] in inglese usando volti di eritrei noti per rivolgersi proprio alla Diaspora eritrea nel mondo. A quest’ultima, nota per aver raccolto in poco tempo oltre 8 milioni di dollari donati al Governo eritreo per la pandemia Covid-19, la Onlus milanese chiede un aiuto per riuscire a raggiungere la cifra di 250.000 euro entro giugno poiché a luglio avrebbe varato la “nave degli eritrei”. E non è affatto un mistero sapere chi ci sia dietro a questa particolare iniziativa poiché nel video appare un altro volto dei fondatori di ResQ: la dottoressa ayurveda Alganesh Fessaha, eritrea di nascita ma milanese di adozione, già proprietaria di Gandhi Charty, una Ong molto attiva nei campi d’accoglienza in Tigray (Etiopia) da cui, nel recente passato, gli eritrei partivano per venire in Italia.
Ma chi è Alganesh Fessaha?
Nella Diaspora eritrea è conosciuta come una sorta di trafficante di esseri umani che in nome dei “rifugiati” non solo avrebbe costruito la sua fortuna ma che, stabilendo la sede della sua Ong direttamente a Mai Ayni, un campo d’accoglienza nel Tigray, avrebbe collaborato con il gruppo terroristico Tplf che lottava per rovesciare il Governo eritreo.
Alganesh Fessaha, come il suo amico Don Mussie Zerai, non ha mai nascosto la sua ambizione politica del regime-change (cambio regime) in Eritrea.
Molti eritrei che l’hanno conosciuta nei campi d’accoglienza del Tigray raccontano che quando arrivava dall’Italia interrompeva i bambini che giocavano e sceglieva i più sudati e sporchi per fare le sue fotografie da portare in Italia così da ottenere finanziamenti. Oppure raccontano che nei diversi viaggi dei cosiddetti Corridoi umanitari, organizzati assieme alla Caritas e alla Comunità di Sant’Egidio, lei abbia imbarcato, inserendoli nelle liste dei più vulnerabili, familiari dei suoi amici Tplf o altri passeggeri paganti.
“Compreresti per 50$ un giubbotto per una mamma e un bambino?”, “Salveresti una vita per 600$?” si chiedeva nel suddetto video “Eritrean ResQ Boat”. Per riuscire a convincere i donatori Alganesh ha inserito le evocative immagini della tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013 in cui sono morti 366 eritrei. Molti di loro li aveva conosciuti personalmente nel campo rifugiati di Mai Ayni.
In un sito web appositamente creato per raccogliere soldi dagli eritrei (finora sono stati raccolti 33.000 dollari) si legge che donando 10 dollari si offrirebbe un pasto al naufrago appena salvato.
Alganesh avrebbe potuto anche mettere il menù così da poter dare al donatore la possibilità di valutare anche la qualità del servizio a bordo della “Eritrean ResQ Boat”. Sono cinico, vero? Io?
Per Alganesh il prezzo di un paio di giubbotti di salvataggio è di 50$ ma sul più famoso sito di vendita online se ne trovano alla modica cifra di 5,95 euro ciascuno, quindi con 50 dollari se ne potrebbero comperare otto e non solo due.
Detto questo, quello che più del video ha lasciato perplessi gli eritrei della Diaspora è la certezza con la quale si afferma: “Quest’estate sono attesi molti eritrei che migreranno!”
Allora anch’io mi chiedo: perché mai quest’estate sarebbero“attesi molti eritrei” nel Mediterraneo dal momento che, stando ai dati del Viminale[2], il calo degli eritrei sbarcati negli ultimi due anni è notevolmente diminuito? Da primi in classifica di alcuni anni fa gli eritrei sono scesi all’ottavo posto con 436 presunti eritrei sbarcati solo nel 2021 e per lo più trattavasi di immigrati che da anni erano bloccati in Libia.
Il calo del flusso migratorio dal Corno d’Africa è stato il positivo responso alla pace firmata tra Etiopia ed Eritrea nel 2018. Una pace che i Tplf, amici di Alganesh, non avevano ben gradito e che li ha portati a scatenare la guerra in Etiopia arrivando, il 4 novembre 2020, a lanciare razzi anche su Asmara coinvolgendo così nel conflitto anche l’Eritrea.
Ma allora come fa Alganesh Fessaha ad essere così sicura delle partenze degli eritrei quest’estate?
In un’intervista in lingua tigrigna rilasciata alla radio VOA (Voice of America) del 15 giugno 2021 alla domanda che la sua iniziativa potrebbe provocare un effetto Pull-factor (fattore d’attrazione) la dottoressa Alganesh ha risposto: “Noi non gli diciamo di uscire dal loro Paese ma chi è costretto a scappare dalla dittatura e dalla guerra noi lo potremo salvare perché la nostra nave è pensata per salvare vite umane”.
Infine una locandina apparsa sul sito Erisat che pubblicizzava un concerto di beneficenza a favore di Eritrean ResQ Boat, con le fotografie della stessa Alganesh e di diversi cantanti anti governativi residenti all’estero e con tanto di messaggi video in tigrigna dove questi personaggi invitavano a fare una donazione, ha fatto scatenare un tamtam sulla “nave degli eritrei, comperata dagli eritrei per salvare altri eritrei”.
Difatti in poco tempo questa notizia della nave pronta ad imbarcare eritrei è arrivata in Etiopia, in Eritrea e in Sudan e si è sparsa in tutti i campi d’accoglienza.
I trafficanti di esseri umani, poi, si sono attivati per spargere altre menzogne circa la riapertura della Libia, ossia che la strada verso l’Europa è nuovamente aperta e che possono partire tranquilli. Potranno pagare tutto direttamente dalle spiagge libiche prima di imbarcarsi e se portano con loro altre quattro persone uno viaggia gratis.
Così decine di migliaia di giovani, stufi della situazione bellica nel Tigray degli ultimi sette mesi, stanno già avviandosi ed ammassandosi in Libia ignari invece della trappola che li aspetta.
Qui subiranno angherie, violenze, ricatti e soprattutto prezzi alle stelle per fare la traversata. E già si vocifera che da poche migliaia di dollari degli anni scorsi il loro viaggio costerà oltre diecimila dollari, senza calcolare il rischio che la Guardia Costiera libica li riporti indietro costringendoli a ricominciare tutto daccapo.
Di fatto Alganesh Fessaha incoraggiando altri immigrati a partire dal Corno d’Africa, oltre a mettere a rischio la loro vita tra deserto e mare, starebbe violando le leggi del Paese che l’ha adottata e premiata con le più alte onorificenze[4] remando contro gli accordi bilaterali tra l’Italia e la Libia.
La Diaspora eritrea nel mondo è molto preoccupata di questa sua iniziativa che tutti descrivono come “un’operazione diabolica” e temono che ResQ potrebbe provocare un’altra tragedia come quella del 3 ottobre 2013 e che, di conseguenza, lei possa utilizzare quei morti in mare per fare attivismo politico così come fece allora. Perciò la Diaspora ha iniziato a fare una contro-campagna per consigliare i giovani eritrei che si trovano già in Etiopia o in Sudan a restare dove sono.
E poiché in passato troppi eritrei residenti all’estero sono stati ricattati e costretti a pagare i riscatti dei loro cari torturati in diretta telefonica, stavolta, per combattere l’idea malsana di Alganesh Fessaha, tutti gli eritrei dovrebbero rifiutare di pagare la traversata. Anzi non dovrebbero rispondere nemmeno più alle telefonate dei propri congiunti che hanno intrapreso il viaggio.
Solo non pagando si potrà fermare questo nuovo flusso verso la Libia.
Per la Diaspora questa sarà la prima risposta da dare ad Alganesh e alla sua ResQ. A seguire, qualora ci dovessero essere altri morti in mare, qualcuno sta già proponendo una class-action contro Alganesh Fessaha e la sua associazione milanese, Gherardo Colombo in testa, per portarli alla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità.
Stavolta la Diaspora eritrea non assisterà passivamente all’ennesimo massacro di eritrei e, prima che succeda l’inevitabile, lancia il suo messaggio agli italiani: “Fermate la ResQ!”
*Scrittore eritreo, ha pubblicato numerosi articoli in italiano poi tradotti in diverse lingue. Ad aprile 2018 ha pubblicato il suo primo romanzo “Mother Eritrea”.
[1] Eritrean ResQ Boat
https://fundly.com/eritrean-resq-boat
[2] Cruscotto statistico al 30 aprile 2021 http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/cruscotto_statistico_giornaliero_30-04-2021.pdf
https://www.youtube.com/watch?v=AW1f8FV92bg
https://www.lucadonadel.it/alganesh-fessaha/
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