Il Vaticano è uno Stato la cui esistenza è integralmente funzionale al sostegno di un'autorità spirituale.
L'intero sistema decisionale della gerarchia ecclesiastica del Vaticano è autonoma, e profondamente estranea a tutto ciò che appartiene alla moderna sfera democratica. E ciò ha punti di forza e di debolezza.
In generale, applaudire o contestare le prese di posizione vaticane a seconda che si attaglino o meno alle proprie aspettative laiche è del tutto privo di senso.
Se uno ha ragioni non confessionali per sostenere certe tesi, dovrebbe poterle portare alla luce indipendentemente da cosa pensa o non pensa il Vaticano, e farsi forti dello scudo fornito dalle posizioni delle massime istituzioni cattoliche è ridicolo per un laico, quali che siano le tesi in questione.
Nel contesto contemporaneo, tuttavia, questo ragionamento presenta un'eccezione.
E' ferma convinzione di chi scrive (non qui argomentabile) che stiamo vivendo un'epoca in cui le istanze 'progressiste' si presentano come:
1) sempre più aggressivamente dogmatiche, e
2) sempre più avviate ad un generico 'disfacimento' delle strutture sociali pregresse, senza la più pallida idea di con cosa sostituirle.
Se ciò è vero, se il processo storico corrente è un processo in cui la direzione del 'nuovo' e del 'più avanti' coincide sistematicamente con processi di destrutturazione disorientata e disorientante, allora, in questo contesto, una forza eminentemente conservatrice come il Vaticano gioca un ruolo sociologicamente positivo, e lo fa su entrambi i punti di cui sopra.
Quanto al punto (1), in modo squisitamente paradossale vista la storia del dogmatismo ecclesiastico, la Chiesa istituzionale oggi pone un argine alle minacce rivolte alla libertà d'opinione e pensiero.
Siccome queste minacce oggi provengono prevalentemente da fronti 'progressisti', virulentemente propensi a colpire ogni eccezione alle proprie ortodossie, gli 'anacronismi' - di cui è piena la tradizione ecclesiastica - fanno da schermo protettivo alle forme di pensiero 'inattuale', eterodosso.
Così, - e qui l'ironia della storia tocca il suo culmine - il conservatorismo ecclesiastico può creare oggi le condizioni in cui può muoversi una mobilità di pensiero non irreggimentato (che è da sempre la matrice della migliore innovazione).
Quanto al punto (2), una forza socialmente e spiritualmente conservatrice nel contesto contemporaneo opera come un freno ad una corsa totalmente irriflessa e confusa, una corsa del tutto ignara di qualsivoglia destinazione - e tuttavia decisa ad arrivarci il più rapidamente possibile.
Anche qui il contributo della conservazione è paradossalmente molto positivo, a prescindere dal fatto che i contenuti ritenuti 'da conservare' siano intrinsecamente validi o meno (per quel che conta, credo siano spesso validi, ma non sempre).
La positività del contributo sta qui nel fornire alla pubblica opinione e alla società tempi adeguati di riflessione, tempi che una legislazione tutta giocata su emergenze strumentalizzabili ed emozioni passeggere tende a sopprimere.
Come noto, il termine greco "phàrmakon" (φ?ρμακον) indicava il medicinale, ed anche il veleno. In ciò non c'è invero niente di strano, giacché qualcosa opera come medicinale quando deve ripristinare un equilibrio organico rotto, e per farlo deve controbilanciare uno sbilanciamento originario. La stessa sostanza - se somministrata in un contesto inopportuno o in quantità inopportune - può essere velenosa invece che terapeutica.
Questo è anche il caso per il conservatorismo sociale, che in quantità eccessiva sterilizza e accieca una società, ma che in un contesto come quello odierno può operare da compensazione terapeutica.