di Vincenzo Brandi
Il solito stuolo di giornalisti poco informati o in malafede, e il fronte compatto dei nostri governanti, ha presentato come un fatto rivoluzionario la decisione di fissare un limite minimo del 15% per la tassazione delle grandi multinazionali. Inoltre sarà fatto obbligo alle multinazionali di pagare le tasse nel paese dove si svolgono le loro effettive attività, e non nei “paradisi fiscali”, cioè in quei paesi in cui fittiziamente pongono la loro residenza ufficiale, perché possono usufruire di livelli di tassazione inferiore.
Tuttavia, se si va a vedere più da vicino questo provvedimento, sbandierato con grande enfasi, ci si accorge che non si tratta certamente di un provvedimento che cambi drasticamente la posizione di privilegio occupata dalle grandi imprese. Ad esempio, è noto che alcuni colossi del mondo dell’informatica hanno la loro sede in Irlanda dove possono pagare il 12,5% di tasse. Non a caso l’Irlanda si oppone al provvedimento, così come altri paesi (Ungheria, Estonia, ecc.) che hanno attirato le grandi imprese con condizioni fiscali più favorevoli. Ma passare dal 12,5% al 15% , cioè con aumento del 2,5%, è veramente questa grande rivoluzione?
Il noto economista di sinistra, il francese Thomas Piketty, professore di economia alla Scuola di Alti Studi in Scienze Sociali e presso la Scuola di Economia di Parigi, è stato autore di vari libri divulgativi noti in tutto il mondo: “Il Capitale nel XXI secolo”, “Capitale e diseguaglianza”, “Democratizzare l’Europa!”, “Rapporto sulle diseguaglianze nel mondo”, “Capitale e ideologia”. In questi libri affronta il problema della diseguaglianza e dello stato attuale del capitalismo.
In una recente intervista Piketty faceva notare che la proposta fiscale del G20 si traduce mediamente in un modesto aumento della tassazione per le multinazionali valutabile in circa il 2,5% come nel caso dell’Irlanda Intanto un lavoratore della classe media e medio-bassa dei paesi occidentali è sottoposto a livelli di tassazione diretta ed indiretta ben più elevati del 15%, che possono arrivare al 40% ed oltre.
La posizione privilegiata di grandi multinazionali e grandi banche è uno dei motivi per cui la diseguaglianza economica nei paesi occidentali (e non solo) è cresciuta enormemente negli ultimi 50 anni. Meno dell’1% della popolazione (dirigenti e azionisti delle grandi imprese, grandi banchieri, ecc.) possiede almeno la metà del patrimonio mondiale. Anche il divario tra paesi ricchi e poveri è cresciuta. Tutto questo costituisce una grave distorsione della democrazia reale, che certamente non sarà il G20 a sanare.
Roma, 11 luglio 2021
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