A Cuba non esiste una questione razziale

di Andrea Puccio

Per cercare di vendere le recenti proteste avvenute a Cuba il 11 luglio scorso come un movimento progressista i media statunitensi hanno accostato le manifestazioni cubane a quanto avvenuto negli Stati Uniti dopo l’omicidio di George Floyd da parte di un poliziotto. Hanno tentato di assimilare il movimento cubano al movimento Black Lives Matter insinuando che in Cuba esista una questione razziale.
In vari articoli apparsi su autorevoli quotidiani statunitensi le proteste sono state accostate al movimento Black Lives Matter cercando di far passare l’idea che le manifestazioni fossero una forma di protesta dei cittadini cubani di colore verso lo Stato colpevole di segregazioni razziali. “Una sollevazione nera sta scuotendo il regime comunista di Cuba”, era il titolo di un articolo pubblicato da The Washington Post, mentre un altro articolo pubblicato da The Wall Street Journal si intitolava “Le comunità nere di Cuba sono le più colpite dalla repressione del regime”.
In una intervista la professoressa Amalia Dache che si era presentata come la portavoce del movimento nero cubano ha affermato che le proteste avvenute in Cuba erano strettamente legate a quelle avvenute a Ferguson, nel Missouri. “Siamo silenziati e cancellati in entrambi i luoghi, Cuba e Stati Uniti, attraverso comportamenti razziali che ci limitano le nostre attività politiche”, ha continuato.

Insomma tutto viene usato dal vicino a stelle e strisce per tentare di dividere la popolazione cubana, anche una ipotetica questione razziale dove i bianchi avrebbero sottomesso la comunità di colore. Ma questa strategia non è una nuova invenzione dell’amministrazione di Joe Biden. La Casa Bianca ha ritirato fuori una vecchia strategia che in anni passati mirava a sovvertire il governo dell’isola tentando di insinuare nella popolazione, grazie ai lauti finanziamenti elargiti da varie organizzazioni a personaggi che si sono prestati agli sporchi giochi delle amministrazioni statunitensi, che sull’isola esistesse una questione razziale.

Come appare chiaro la fantasia dei governi che si sono succeduti dal 1’ gennaio 1959 per distruggere la rivoluzione non ha limiti. Tra i mille tentativi escogitati dalle varie amministrazioni statunitensi per distruggere la rivoluzione cubana c’è anche la questione razziale. Hanno cercato di creare una divisione nel popolo cubano basata su una ipotetica supremazia dei bianchi sui neri. Paradossale che un paese come gli Stati Uniti possa pensare che il colore della pelle possa essere argomento di divisione a Cuba. Mi fa sorridere che gli Stati Uniti pongano una questione razziale in una nazione come Cuba quando a casa loro la polizia uccide impunemente persone di pelle nera o dove un bianco dispone di un patrimonio sette volte superiore a quello di un nero o latino.
La popolazione cubana è il risultato della sintesi di varie etnie. L’isola è stata dominata per 400 anni dai conquistadores spagnoli, vi sono emigrati cinesi, giapponesi ed arabi, vi sono stati deportati centinaia di migliaia di africani nel periodo della schiavitù ed infine molti europei l’hanno raggiunta in cerca di nuove opportunità dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Il 25 maggio 1959, dopo il trionfo della rivoluzione, fu decretata la fine della discriminazione razziale che aveva per secoli diviso la popolazione tra bianchi e neri, tra ricchi e poveri. Le scuole aprirono le porte a tutti i cubani senza distinzione di colore della pelle o di ceto sociale. Fu abolito il divieto per le persone di colore di frequentare cinema, clubs e locali notturni, di praticare lo sport, che fino ad allora era di esclusivo monopolio dei bianchi. Le squadre sportive cambiarono di colore: caso emblematico è quello della squadra femminile di pallavolo che passò da essere chiamata “Las Rubias del Caribe” all’attuale “Las Morenas del Caribe”. Nella cultura successe qualcosa di simile con la creazione della Scuola d’Arte dove bianchi, mulatti e neri potevano accedere senza discriminazione. Il famoso corpo di ballo del Tropicana aveva solo ballerine di pelle bianca, oggi esibisce la bellezza scultorea delle sue “morenas”, formate in scuole di ballo che ne garantiscono un elevato livello di professionalità.

Attualmente nelle scuole i professori, negli ospedali i medici e gli infermieri, nelle imprese i lavoratori ed i dirigenti, negli uffici della pubblica amministrazione, nell’ambito culturale gli scrittori, i pittori, i cantanti, i ballerini, ed in ogni altro settore, i lavoratori sono scelti per le loro capacità e non per il colore della pelle.
Nonostante tutto ciò negli Stati Uniti, dove il razzismo è istituzionalizzato, vengono costruite campagne che mirano a dividere il popolo cubano su un tema, quello razziale, che oggettivamente è difficile da sostenere. Ma la propaganda serve proprio a questo: inventare una notizia e ripeterla migliaia di volte finché non venga percepita come vera.

Per questo fin dagli anni ’80 del secolo scorso accademici statunitensi e svizzeri iniziarono a studiare il tema razziale a Cuba attraverso la Fondazione Smithsonian nell’Università de L’Avana e presso l’Istituto di Antropologia ed Etnologia dell’Accademia di Scienza di Cuba. Nel 1991, dopo il crollo del campo socialista in Europa, la sezione degli Interessi degli Stati Uniti de L’Avana iniziò l’attività sovversiva sul tema del razzismo nella società cubana. Furono contattati vari intellettuali di pelle nera cubani e sensibilizzati sul tema, furono messi in contatto ed inseriti nei principali circuiti accademici ed in istituzioni specializzate nordamericane frequentate da neri. Dal 1993 intellettuali di colore statunitensi, come Miriam de Costa Willis, funzionario di alto livello nell’amministrazione americana ed assessore del presidente Bill Clinton per le politiche verso la comunità nera, iniziarono ad influenzare riconosciuti intellettuali cubani sulla necessità di lavorare sul tema del riconoscimento e sul protagonismo dei neri nella società, smascherando i veri propositi del governo degli Stati Uniti.

Tra il 1993 ed il 1995 furono concesse varie borse di studio a cubani per frequentare il Centro di Studi Cubani presso l’Università Internazionale della Florida. Tali borse di studio furono finanziate dalla Fondazione Ford con 25mila dollari e prevedevano una durata di sei mesi. Nel febbraio 2005 la sezione degli Interessi degli Stati Uniti de L’Avana distribuì la rivista Isla stampata in Florida che conteneva argomenti razzisti. Nel settembre 2006 il Consorzio del Mississipi per lo Sviluppo Internazionale, che raggruppa le quattro più importanti università frequentate da neri degli Stati Uniti, annunciò la fondazione del Centro per la Comprensione dei Discendenti Afrocubani finanziata dall’Usaid e dal Dipartimento di Stato sotto la direzione del controrivoluzionario Ramon Umberto Colàs Castillo residente negli Stati Uniti.

Tra il 2009 ed il 2013 la sezione degli Interessi degli Stati Uniti promosse studi e dibattiti sulla situazione razziale a Cuba, realizzò teleconferenze e cineforum con l’obiettivo di potenziare la divisione nella società cubana, costituì e finanziò vari gruppi come Corrente Socialista Democratica, Progetto Mediatico Consenso, Comitato Cittadini per la Integrazione Razziale, Movimento per l’Integrazione Razziale e Progetto Alleanza Unità Razziale. Il 14 e 15 aprile 2018 l’Istituto di Ricerca Afrolatina del Centro Hutchins dell’Università di Harvard celebrò un evento per approfondire il tema della questione razziale a Cuba. Furono invitati (con le spese pagate) una trentina di attivisti, intellettuali, imprenditori e musicisti dell’isola. I partecipanti a questa conferenza affermarono che un movimento che promuova i diritti dei neri dell’isola non potrà mai andare oltre i limiti imposti dal governo cubano. Con tale conferenza, realizzata nel paese che ha da sempre appoggiato l’apartheid ed uccide i suoi giovani neri impunemente, si voleva promuovere la formazione di gruppi che si opponessero all’unico governo che invece tutela i propri cittadini senza guardare al colore della pelle.

Ecco come una notizia, la questione razziale, costruita a tavolino può essere, se ben alimentata, causa di divisione nella società cubana, ma fortunatamente non ha fatto breccia perché a Cuba non esisteva prima e non esiste ora una questione razziale.

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