La manifestazione dei 100.000 chiamati a raccolta dal sindacato sabato scorso a Roma, per manifestare contro il nuovo pericolo fascista, ricorda vagamente le manifestazioni oceaniche della Germania dell’Est di fine regime. Quando lo stato di operai e contadini guidati dai valorosi pionieri, la migliore gioventù comunista, sfilava sotto al palco dei coraggiosi leader antifascisti sventolando le bandierine e intonando inni. Allora il presidente Erich Honecker, con la sua vocina dilata dalla retorica, tesseva le lodi del “vallo antifascista”, il muro di Berlino dentro il quale aveva rinchiuso milioni di persone, le stesse che sfilavano sotto al palco per ringraziarlo di cotanta premura. Mentre i prodi antifascisti (in assenza di fascismo) marciavano davanti al caro leader e ai dirigenti sindacali, a Lipsia, a Dresda, a Karl-Marx-Stadt, altre migliaia di cittadini manifestavano contro il regime, contro il muro e contro le leggi di uno stato che asfissiava i suoi cittadini dalla culla alla tomba privandoli delle libertà fondamentali. Manco a dirlo, quei manifestanti venivano definiti fascisti dal coraggioso leader antifascista e dai sindacati governativi.
Chissà se i 100.000 e più, accorsi per difendere il sindacato dall’attacco squadrista di un gruppetto di criminali mezzi imbucati dalla questura e lasciati fare da un ministro degli interni grottesco, erano veramente convinti del pericolo fascista o, molto meno idealisticamente, la loro volontà era quella di manifestare contro chi dissente dalla politica governativa del green pass. Non lo sapremo mai, come non sapremo mai se i 100.000, tra una bandierina sventolata e un inno antifascista, abbiano fatto un pensierino al comportamento del loro sindacato negli ultimi anni.
La sinistra neoliberista, ieri schierata in pompa manga a fianco di Landini, impone il Jobs Act, che introduce massima flessibilità del lavoro e salari schiacciati verso il basso, e il sindacato antifascista muto. La sinistra neoliberista abolisce l’articolo 18, ultimo baluardo che dava un minimo di sicurezza a tante famiglie in questi tempi tremendi, e il sindacato antifascista muto. Nemmeno un minuto di sciopero. Nulla. La sinistra neoliberista non intraprende nulla contro il nuovo capolarato che dilaga nelle aziende agricole del sud e il sindacato antifascista muto. E si potrebbe continuare all’infinito.
Ora accade che un presidio lavoratori portuali blocchi il porto di Trieste per una lotta sacrosanta di eguaglianza e giustizia - non è tollerabile che chi, sulla base di una scelta assolutamente legittima di non vaccinarsi (il vaccino non è obbligatorio per legge), sia costretto a pagare per lavorare o studiare- e il sindacato invece di appoggiare quella lotta dal sapore antico senza se e senza ma, prima la ignori, poi la boicotti accomunandola senza troppi giri di parole alle azioni del manipolo fascista che gli ha devastato la sede romana sotto gli occhi semichiusi della polizia. Possibile che nessuno dei 100.000 antifascisti si sia domandato dove stia il pericolo; in quei quattro gatti di Forza Nuova che la polizia lascia scorrazzare nei momenti giusti o in un sistema economico neoliberista che sta trasformando le persone in oggetti, il lavoro in servitù, i diritti in privilegi concessi dal potere, le risorse pubbliche in asset messi a disposizione delle imprese multinazionali, la scienza in un’appendice degli interessi della finanza e i sindacati in corporazioni governative?
Gli unici ad essere veramente soddisfatti di come stanno andando le cose, e le immagini lo testimoniano, sono i leader politici e quelli sindacali. Perché, disse il papa al re: “Tu tienili poveri che io li tengo stupidi”
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