Macron, ascesa e caduta libera del banchiere prestato alla politica

Di Paolo Arigotti

Emmanuel Jean-Michel Frederic Macron (classe 1977)[1] è un banchiere, funzionario e politico francese. E l’ordine non è casuale. Dopo la laurea in Filosofia, ha proseguito gli studi presso l'Istituto di studi politici di Parigi e l'Ecole nationale d'administration (ENA), la fucina dei futuri dirigenti francesi. Ispettore presso l’amministrazione finanziaria, nel 2008 ha assunto un incarico manageriale in una banca d’affari del gruppo Rothschild.

In tale veste, nel 2010, ebbe un ruolo di primo piano nella negoziazione di un accordo tra Nestlé e Pfizer, del valore di circa 12 miliardi di euro, che gli fruttò un utile personale di più di tre milioni[2].

Nel 2012 divenne vicesegretario generale della presidenza della Repubblica con Francois Hollande, mentre tra il 2014 e il 2016 è stato più volte ministro (anche dell’Economia) nei governi guidati dal socialista Manuel Carlos Valls. Macron, già iscritto al partito socialista, nel 2016 fondò una nuova forza politica, La Republique En Marche, di orientamento liberale, centrista ed europeista [3] [4], con la quale si è candidato e ha vinto le elezioni presidenziali del maggio 2017, divenendo a soli 39 anni il più giovane capo di stato della storia repubblicana. Qualche settimana dopo il suo stesso partito trionfava anche alle elezioni legislative[5], garantendosi una solida maggioranza all’Assemblea nazionale, con gli alleati del Movimento Democratico. La campagna per le presidenziali del 2017 (e del 2022) è stata funestata da sospetti circa presunti legami tra Macron e la società McKinsey, che secondo l’accusa avrebbe erogato finanziamenti in maniera occulta, in cambio dell’assegnazione di alcuni appalti[6]. Nel 2018 le proteste contro una serie di misure fiscali varate dal governo filo macroniano, in particolare la previsione di una nuova tassa sui carburanti, diede l’avvio a un forte ondata di proteste, per molti incarnata dal Movimento dei gilet gialli[7]; di recente lo stesso movimento, sia pur a ranghi ridotti, è tornato in piazza contro il progetto di riforma previdenziale [8].

In generale[9], l’orientamento di politica economica e fiscale dell’era Macron viene ritenuto molto vicino alle posizioni dei liberal, come tale favorevole al mercato e alla riduzione del disavanzo pubblico. Non a caso, i detrattori del presidente lo hanno definito un ultraliberista, degno erede di Hollande, sostenitore di progetti mondialisti e sovra nazionali[10]. In politica estera Macron è stato fautore di una linea atlantista, pur non risparmiando delle critiche agli alleati, come quando, nel 2019, denunziò la mancanza di coordinamento decisione in seno alla Nato, provocando gli strali degli alleati (in particolare del segretario generale Stoltenberg), ma guadagnandosi al contempo il plauso del Cremlino; Macron si è più volte espresso per una maggiore autonomia della difesa europea rispetto agli Stati Uniti [11]. Pur dichiarandosi a parole convinto europeista, nel 2019 firmò con la cancelliera tedesca Angela Merkel il cosiddetto trattato di Aquisgrana, una sorta di cooperazione rafforzata in materia di difesa, sicurezza ed economia, che riprendeva l’accordo dell’Eliseo del 1963: i critici vi hanno ravvisato un segnale di forte disomogeneità in seno alla Unione Europea[12], mentre l’allora leader di Fratelli d’Italia (all’opposizione), Giorgia Meloni, la definì un’intesa che andava contro gli altri paesi della UE, parlando del trattato come di una dichiarazione di guerra contro il nostro paese[13] [14].

Sui migranti il presidente francese si è detto favorevole all’accoglienza dei rifugiati, ma non di quelli economici, dichiarando che il suo paese era pronto a fare la sua parte: ora dopo le parole, attendiamo i fatti![15] In materia di lotta al terrorismo si è impegnato per un rafforzamento della sicurezza e della vigilanza, mentre sulle tematiche ambientali ha sposato la transizione energetica e l’abbandono dei combustibili fossili [16]. Nel 2022, dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina, Macron si è collocato senza esitazioni all’interno del fronte occidentale[17]. Facendo un salto indietro nel tempo, nel 2019 Macron aveva evocato scelte politiche, in particolare nei rapporti con la Russia, ispirate a un maggior realismo e alla presa d’atto della fine dell’egemonia dell’Occidente[18]: chissà se la pensa ancora così. Nel corso del 2022 ha promosso il progetto di una nuova comunità politica europea[19], con l’obiettivo di creare una sorta di forum continentale su energia e sicurezza, che però finora non ha prodotto risultati di rilievo. Al proposito di Europa, proprio in questi giorni è in programma una visita ufficiale in Cina, in compagnia della presidente della Commissione UE Ursula la von der Leyen, nel corso della quale si parlerà di Ucraina, ma anche e soprattutto di affari[20].

Ricordiamo che Macron è stato eletto per un secondo mandato ad aprile del 2022, sconfiggendo nuovamente al ballottaggio (ma con uno scarto molto più ridotto rispetto alla volta scorsa) la candidata del Rassemblement National, Marine Le Pen.

La vittoria di misura, però, stavolta non è stata accompagnata da quella alle legislative di giugno: La Republique En Marche ha perduto la maggioranza assoluta dei seggi, conservando quella relativa, con un evidente segnale di disaffezione da parte dell’elettorato, ad appena cinque anni dai brillanti risultati del 2017. Venendo ai fatti dei giorni nostri, sappiamo dalla cronaca che la dichiarata intenzione del governo, guidato dalla premier Elisabeth Borne – espressione della coalizione vicina al presidente - di tagliare alcuni regimi previdenziali speciali e di innalzare da 62 a 64 anni l’età pensionabile (una soglia che probabilmente per molti italiani andrebbe più che bene) ha scatenato nel paese un’ondata di scioperi e proteste, che ha pochi precedenti nella storia della repubblica.

A guidare il malcontento nelle piazze sono state le otto maggiori sigle sindacali (evidentemente non in tutti i paesi i sindacati sono così “concertativi”), mentre in parlamento l’attacco è stato su due fronti: l’alleanza di sinistra radicale della NUPES, la Nuova unione popolare ecologica e sociale guidata da Mélenchon, e la destra capitanata dalla Le Pen hanno ingaggiato una dura battaglia, sostenuti da una larga fetta dell’opinione pubblica che, stando agli ultimi sondaggi, vedrebbe di buon occhio la caduta dell’Esecutivo[21].

La risposta del governo di fronte alle manifestazioni non è stata tenera, al punto che il commissariato per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha espresso serie riserve sulla reazione delle forze dell’ordine, invocando il rispetto del dissenso [22]. Di sicuro non ha contribuito a rasserenare il clima la decisione di far passare una riforma tanto osteggiata ricorrendo all’art. 49 (comma 3) della Costituzione francese, che in pratica consente al governo di far approvare un disegno di legge senza il voto parlamentare, tutt’altro che scontato visti i numeri, salvo che l’assemblea non voti a stretto giro una mozione di sfiducia contro l’Esecutivo[23]. Apparentemente si è trattato di un atto di forza, peraltro non inconsueto nella prassi costituzionale d’oltralpe, anche se molti i detrattori la interpretano come un segnale di debolezza [24]. Commentando i fatti, l’attivista Matteo Bortolon scrive che: “Questa è solo l’ennesima puntata di un copione che inizia ad andare in scena quasi immediatamente dopo la prima elezione di Macron, che ha messo in cantiere una serie di riforme favorevoli ai ceti abbienti e totalmente funzionali al disegno neoliberale[25]”.

Si tratta degli stessi critici che rimproverano a Macron molte altre scelte, come i bombardamenti in Siria o altre riforme fiscali e del mercato del lavoro, funzionali più agli interessi di pochi privilegiati, che a quelli della gran parte dei cittadini. In questo senso, la riforma delle pensioni – che era stata già messa in cantiere qualche anno fa, salvo essere accantonata di fronte all’emergenza pandemica – agli occhi dei detrattori rappresenterebbe l’ultimo tassello, nell’ambito di un più generale disegno volto a indebolire i diritti dei lavoratori. Le giustificazioni, già sentite alle nostre latitudini, sono fin troppo ovvie, a partire dallo slogan del “si vive di più e si deve lavorare di più” o invocando il rispetto dei vincoli di bilancio europei. In Francia la spesa previdenziale incide non poco sui conti dello stato, visto che è su questi ultimi che gravano gran parte degli oneri previdenziali per la parte datoriale, per effetto della scelta, fatta a suo tempo, di “scaricarli” sul fisco per diminuire gli oneri delle imprese, per favorirne – questo secondo le intenzioni dichiarate – la competitività [26]. La valutazione circa la fondatezza di tali affermazioni la lasciamo agli economisti più attenti e imparziali, ma di sicuro una riduzione dei diritti sociali in nome di presunti (e/o astratti) equilibri di bilancio non sarà digerita tanto facilmente dai diretti interessati.

A questo punto dovrebbe risultare fin troppo chiaro, se non ovvio, che la riforma previdenziale, motore delle proteste [27], più che il fattore scatenante, sia stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, nell’ambito di una condizione di malessere sociale diffuso e radicato, esasperato dall’inflazione galoppante e dagli aumenti energetici[28]; e tra i contestatori non mancano coloro che, senza mezzi termini, parlano di una lotta per la tenuta democratica del paese[29]. Nelle tensioni delle settimane scorse c’è stato persino lo spazio per un po’ di gossip: in occasione di una recente intervista, Macron avrebbe indossato un costoso orologio, salvo poi toglierselo di soppiatto nel corso del colloquio per non apparire come il “presidente dei ricchi”; del resto, tutti sanno che Macron non è precisamente una persona indigente… Uno dei collaboratori del presidente, tuttavia, ha smentito questa versione, sostenendo che l’orologio sarebbe stato di valore molto più modesto (circa tremila euro, rispetto agli 80mila che si era detto) e che lo stesso Macron se lo sarebbe tolto perché «faceva rumore sul tavolo»[30].

A parte la considerazione che verrebbe da fare se tremila euro vi sembrano pochi, eviteremo per pudore di esprimerci sul resto. E se l’immagine di Macron risulta in caduta libera in patria, le cose non vanno meglio all’estero: in un recente tour dell’Africa, in diversi paesi visitati (tra i quali Congo e Gabon), già “cortile di casa” di Parigi, non gli è stata riservata propriamente una bella accoglienza, con tanto di invito a farla finita coi toni paternalistici [31]. Insomma, il cosiddetto macronismo è in crisi, come dimostrato dal responso elettorale e dall’ondata di critiche e proteste, ragion per cui non ci sentiremmo di condividere l’opinione di chi, a suo tempo, ne parlò come dell’erede di Charles De Gaulle[32]: con tutto il rispetto per gli interessati, siamo su due piani differenti, e non solo dal punto di vista storico.

FONTI

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[27] it.insideover.com/reportage/politica/tra-i-manifestanti-anti-macron-cosi-esplode-la-rabbia-della-francia.html

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[31] www.lindipendente.online/2023/03/08/il-fallimento-di-macron-in-africa-proteste-anti-francesi-in-tutti-i-paesi-visitati/

[32] it.insideover.com/reportage/politica/ora-e-lui-lerede-di-de-gaulle-la-svolta-post-ideologica-di-macron.html

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