HANNAH ARENDT CONTRO NETANYAHU


di Marcello Faletra

Trentaduemila civili assassinati, più della metà donne e bambini (fino ad oggi), come vendetta contro il massacro di Hamas del 7 ottobre scorso. Ma è una vendetta che ha alle spalle una lunga storia che si può far iniziare già dal 1948 (ma anche prima), anno della nascita dello stato di Israele e anche della lettera che alcuni intellettuali, scienziati e scrittori ebrei pubblicarono sul New York Times – tra i firmatari figurano Albert Einstein e Hannah Arendt. La lettera esordisce senza mezzi termini: “Tra i fenomeni politici più inquietanti dei nostri tempi c’è l’emergere nello stato di Israele appena creato del “partito della Libertà” (Tnuat Haherut), un partito politico strettamente affine nella sua organizzazione, metodi, filosofia e attrattiva sociale ai partiti nazista e fascista”. Il capo di questo partito era Begin. Oggi il suo erede più fedele è Netanyahu. E, oggi, dire che il sionismo è l’ultimo avamposto del nazionalismo del XIX secolo, ben protetto dall’amministrazione statunitense, rischia di essere un crimine! La posta in gioco è il dominio coloniale nella regione mediorientale dove Israele ha il ruolo di sentinella verso i paesi arabi che la circondano.

D’altra parte, al massacro di Hamas non è seguita alcuna indagine internazionale, se non quella stabilita dal governo di Netanyahu, che ha inizialmente diffuso false notizie di bambini decapitati. Un falso che però è stato prontamente rilanciato dalla stampa occidentale.

Naturalmente, questo non toglie la dimensione del massacro. Ma il problema della “reazione di difesa” ha aperto un coro mediatico che somiglia più a una congiura del silenzio che a un’informazione obiettiva. Al punto che si discute sulle “proporzioni” di questa reazione di fronte allo sterminio di migliaia di donne e bambini.

Questa legittimazione internazionale della “giusta reazione” è arrivata fino al punto di far passare come una notizia di cronaca l’assassinio deliberato di oltre cento palestinesi che si accalcano per un pugno di farina.

Qui è in gioco il concetto di “reazione”. Se per un israeliano ucciso occorre uccidere dieci palestinesi civili, siamo nella logica che fu applicata dai nazisti in Italia, per la quale per ogni suo soldato ucciso (cioé: occupante e sterminatore di ebrei) occorreva assassinare dieci italiani. Una follia omicida!

Su questa concezione nazi-fascista della “reazione” sono ancora di grande attualità alcune osservazioni di Hannah Arendt. Ci ritorneremo più avanti.

Inoltre, cosa c’entra l’immagine di cittadini palestinesi – molti adolescenti – bendati, seminudi in ginocchio con le braccia legate dietro la schiena, con il diritto alla difesa. Questa immagine, poco commentata dalla congiura del silenzio mediatico, è la replica dell’umiliazione che i nazisti facevano contro gli ebrei con altri mezzi. Questa immagine appena accennata dai media ufficiali conferma una visione biologica della politica sionista che reputa alla stregua di bestie i palestinesi. Era la preoccupazione espressa nella lettera di cui ho accennato sopra. In un passaggio del suo capolavoro – Le origini del totalitarismo - Hannah Arendt aveva constatato che la politica estera del nazismo si fondava su “ una visione biologica della nostra politica estera”. E’ la stessa politica messa in atto dai governi di destra israeliani dopo l’assassinio di Rabin (1996) per mano di un estremista di destra.

Questa visione biologica dell’altro prende corpo già nel denudare persone indifese, cioè civili, della propria umanità, renderlo alla stregua di un essere indegno di vivere. E’ il passaggio all’atto del loro sterminio. Chi sono, dunque, i sionisti israeliani di fronte a queste esecuzioni indiscriminate di massa? Una cosa è certa: non hanno nulla a che vedere con Shoah che utilizzano strumentalizzandone la memoria. La memoria dei superstiti a questo punto è a rischio. E se lo fanno è perché sono sostenuti da un leviatano geo-politico pericoloso, non solo per i destini dell’Occidente, ma per mondo intero.

D’altra parte su quanto sta accadendo l’equivoco tra “difesa” e sterminio si tocca con mano. Ed è singolare che l’attuale governo israeliano sia sostenuto da tutte le destre e pseudo-democrazie dell’Occidente, ignorando un fatto decisivo: Israele è uno stato e in quanto tale dovrebbe rispettare norme di diritto internazionale. Altrimenti è qualcos’altro come sta dimostrando: cioè un nazionalismo razzista e colonialista.

Chi abita in Israele abita prima di tutto uno stato nato nel 1948, questo fatto non va sostituito con la complessa stratificata “cultura ebraica”. Trasformare uno stato di diritto in un nazionalismo etnico-religioso è una mistificazione che rovescia il problema del colonialismo in un conflitto di religioni.

Questa distinzione è stata tempestivamente avvertita da Hannah Arendt già nel 1945 in un saggio dal titolo “Ripensare il sionismo”. Perché il progetto di Netanyahu è storicamente fedele al programma sionista che nel 1944, come ci ricorda la Arendt, si tenne ad Atlantic City. Questo programma, in poche parole, affermava che “la confederazione ebraica libera e democratica...includerà tutta la Palestina”. Questo progetto, oggi, si sta attuando con Netanyahu.

Infatti, in un documento pubblicato dalla rivista israeliana Merkovit il 28 ottobre 2023, si raccomandava di deportare i due milioni e oltre di palestinesi nella penisola del Sinai. Ma le fantasie di deportazione non hanno limiti: alcuni hanno proposto di deportarli in un paese africano.

Come non pensare alle fantasie che circolavano alla fine degli anni Trenta del secolo scorso di deportare gli ebrei d’Europa in Madagascar! Non dobbiamo mai dimenticare che allora nessuno voleva gli ebrei. Oggi, come uno specchio, nessuno vuole i palestinesi.

La fobia di ieri contro gli ebrei si è storicamente rovesciata nella fobia contro i palestinesi. Ma gli ebrei non sono i sionisti-fascisti che stanno annientando un popolo. E l’antisemitismo è utilizzato come un ombrello del neofascismo incalzante in Occidente contro ogni pensiero dissidente o “diverso” dal dettato irrazionale e guerrafondaio attuale. Spostare il problema palestinese sul piano religioso o culturale è l’arma a disposizione delle destre che governano l’Occidente. Il problema che si vuol nascondere è d’ordine politico. Se Netanyahu è un fedele erede delle istanze fasciste e colonialiste del partito Tnuat Haherut degli anni Quaranta, questo tratto non ha nulla a che vedere con il passato del popolo ebraico. E’ questo l’avvertimento profetico di Hannah Arendt. Alle posizioni della Arendt fece da eco Uri Avnery – giornalista e politico militante dell’Haganah – quando osservava (1967) che il sionismo “è l’ultimo dei movimenti nazionalisti europei dell’800”. Se si abbandona questa chiave di lettura lo sterminio dei palestinesi in atto passerà come una “difesa” degli “ebrei” dai “terroristi”.

D’altra parte, ogni nazionalismo come ben sanno gli “ebrei” di ieri, si fonda su una visione biologica della politica territoriale. “L’Italia agli italiani,”come dicono i leghisti, la Francia ai francesi come urla Le Pen, la “Russia ai russi” diceva l’ultranazionalista Navalny, che paragonava i musulmani agli scarafaggi, ecc. Queste derive geopolitiche sono il risultato di un revanscismo nazionalista, che però s’inchina volentieri al burattinaio d’oltre oceano, ossequiandolo e recitando la sceneggiatura che viene impartita.

Come è ormai evidente, Israele è l’avamposto degli Stati Uniti nel cuore dei paesi arabi.

Da qui la loro doppia appartenenza: da un lato le ultime amministrazioni fasciste israeliane si proclamano eredi della grande cultura ebraica (Shoah compresa), dall’altro sono l’avamposto degli Stati Uniti nel cuore del medioriente. Il prezzo di questo stato di cose lo pagano i palestinesi con i ripetuti veti imposti dagli Stati Uniti contro il cessate il fuoco.

Ma il fuoco non smette di cessare e l’idea di deportazione dei palestinesi, implica una concezione dell’umanità di segno razzista. Cioè, che un popolo deve essere allontanato o liquidato con ogni mezzo. E questo sta accadendo con il popolo palestinese. Ignorare ciò significa partecipare alla sua liquidazione materiale, cioè ONTOLOGICA. Ieri nessuno voleva gli ebrei. Oggi nessuno vuole i palestinesi! Rovesciamento storico paradossale. L’antisemitismo di ieri, e di oggi, è lo specchio dell’antipalestinismo di oggi. E se i media, organi di propaganda dell’egemonia americana, inculcano un’immagine dei palestinesi come popolo terrorista (Hamas), ciò significa che non solo ignorano deliberatamente la storia recente e passata della Palestina, ma partecipano a un banchetto sacrificale, che è stato – ed è - lo scenario storico delle deportazioni e dei massacri di interi popoli e culture. D’altra parte, è incredibile quanto il sionismo sia in linea ideologica con la cultura del “sangue e terra” dei nazisti. Ancora un esempio suggerito dalla Arendt: nel 1935 l’ebreo sionista Joachim Prinz pubblica un libro intitolato “Wir Juden” (Noi ebrei), dove sosteneva che bisognava solidarizzare con i nazisti, in quanto sostenevano l’idea del radicamento alla terra d’origine. Il mito dell’origine, cioè l’idea che coloro che sono stati i primi in qualche posto e che lo hanno posseduto per primo, diventi la ragion ultima della politica è aberrante. Ma è un mito. Perché solo chi più è forte farà trapassare il mito in occupazione.

Hannah Arendt, osservava pure, profeticamente, che un progetto di tal genere “é un colpo mortale per quei gruppi ebraici di Palestina che hanno instancabilmente sostenuto la necessità di un’intesa tra arabi ed ebrei”. Queste osservazioni non sono frutto di “opinioni”, ma di una sionista dissidente dopo la presa di posizione del Likud – partito di stampo parafascista - nella gestione della colonizzazione della Palestina nella prima metà del secolo scorso. Vent’anni dopo (1967) Sabri Geries – avvocato e cittadino del nuovo stato israeliano, ma arabo - affermava che “il filosionismo è l’internazionalismo degli imbecilli”, poiché questo sionismo era stato appoggiato dagli inglesi che per lungo tempo avevano colonizzato la Palestina in funzione anti-turca. E’ sul modello del colonialismo inglese che i sionisti si installeranno in Palestina intorno al 1870, acquistando terre vicini a Giaffa, e in seguito si sono estesi prima lentamente poi con aggressioni in tutto il territorio. Occorre capire questo dato fondamentale: la Palestina non è stata occupata dagli ebrei, ma dai sionisti. Questo non toglie il dato storico che molti ebrei, subito dopo la Shoah, approdarono in Palestina...e furono accolti dagli abitanti del luogo. Un dato spesso trascurato.

La Arendt conosceva bene le posizioni del fascista ebreo Jabotinski, il quale già nel 1925 fondava l’Unione sionista-revisionista”, che avrebbe portato all’estrema destra il partito Heruth. Che, benché si presentasse sotto le vestigia di una coesistenza pacifica, man mano sottraeva per via di leggi e aggressioni, terre e diritti ai palestinesi.

Uri Avneri - che ho ricordato prima - in un vecchio libro del 1968, già esprimeva le sue perplessità con queste parole. “...la destra tradizionalista ortodossa e sciovinista scatenò una campagna a favore dell’annessione ufficiale dei territori occupati. Si unirono ad essa alcuni piccoli gruppi marginali, fascisti e ultra-religiosi, e ne venne fuori il movimento per il Grande Israele...”. Oggi questi “piccoli gruppi” sono la maggioranza del paese. Qui la questione non è religiosa, culturale o altro . E’ semplicemente colonialista. Israele, forse, è l’ultima regione del pianeta che non ritiene di doversi conformare alle regole del diritto internazionale. Ma questo atteggiamento se è stato tollerato è perché lo scudo storico è la strumentalizzazione della Shoah. Un ombrello, che paradossalmente assassina due volte le vittime dell’ideologia del “sangue e del suolo”. Cioè dell’identità che affonda politicamente le sue radici nelle appartenenze religiose, ad ogni costo, di cui le vittime oggi sono i palestinesi. Hannah Arendt in un passo del suo pamphlet La menzogna in politica (1972) chiama coloro che non hanno più alcun diritto all’esistenza non-persone. La stessa espressione oggi si può dire dei palestinesi, sottoposti ad una congiura mediatica che ricorda quella dai fascismi di ieri.

Quello a cui stiamo assistendo oggi è la messa in atto del piano del dott. Aldad, uno dei dirigenti del Movimento per il Grande Israele. Un fanatico il quale nel capodanno ebraico del 1967 aveva stilato una carta dell’”impero israeliano” che comprendeva oltre alla Palestina, la Transgiordania, il Libano, la Siria e l’Egitto. Un progetto riuscito solo col popolo palestinese...e in un suo proclama dichiarò: “la sola guerra possibile è la guerra totale. Punto e basta”. Eccoci davanti al suo esecutore d’oggi: Netanyahu. “La guerra di sterminio – osservava Arendt in Che cos’é la politica – è l’unica guerra che sia consona al sistema totalitario”.

I persecutori degli ebrei di ieri sono oggi i persecutori del popolo palestinese per mano di Netanyahu. Nella scena della storia sono cambiati gli attori. E all’antisemitismo, parola utilizzata come un manganello per zittire ogni forma di dissenso, va contrapposto l’antipalestinismo, parola in cui popoli oppressi del pianeta oggi si riconoscono.

Dopo molti decenni le osservazione di Hannah Arendt, sono estremamente importanti per capire la genealogia di ciò che oggi sembra un gioco di posizioni irrazionali, soprattutto sul genocidio che il nazi-fascista Netanyahu sta effetuando. E la sua posizione è illuminante nella misura in cui è una ebrea, che ha dovuto far le valigie per sottrarsi alla pulizia etnica nazista, tollerata dai governi europei. Che oggi scaricano le loro colpe storiche – lo sterminio di sei milioni di ebrei, più rom, comunisti e altre minoranze – sul popolo palestinese, il quale paga le colpe irredimibili delle politiche “democratiche” occidentali. Diciamolo con altre parole: non sono stati i palestinesi i nemici millenari degli ebrei, ma proprio gli stati di cui oggi ereditiamo la cultura razzista, colonialista e imperialista, cioè: la nostra cosiddetta “civiltà”.

Per tornare alla Arendt, la quale benché fosse di origine ebraica, tuttavia già subito dopo la seconda guerra mondiale, prese le distanze dal sionismo revisionista che stigmatizzò “fascista”. La Arendt si lamentava del fatto che il nazionalismo avesse preso in mano la questione ebreo-palestinese.

In questo scenario storico non è importante il valore delle differenze culturali, ma l’affermazione di un predominio geopolitico che si reputa “giusto”, e “democratico”, come la celebre “Tavola Rotonda di Re Artù”, che secondo la Arendt, non è altro che la metafora di un tavolo da gioco al poker dove i più scaltri e potenti vinceranno, come per esempio accade con la Tavola Rotonda della Nato, dove basta sostituire re Artu con gli Jenkee e abbiamo l’impero da “difendere”.

Ancora un’osservazione di HannaH Arendt,: “...se i sionisti continueranno ad ignorare i popoli del Mediterraneo e a curarsi soltanto delle grandi potenze lontane, essi finiranno col sembrare loro strumenti, agenti di interessi estranei e ostili.”

Queste parole scritte nel 1945 dovrebbero farci riflettere sulla differenza radicale e politica del progetto sionista, che oggi è diventato il comune denominatore di tutta l’informazione sul caso Israele-Palestina. Il nazionalismo sionista, seguendo Hannanh Arendt, ha tradito non solo la cultura ebraica, ma ha destabilizzato i rapporti sociali in un territorio storicamente sottoposto a domini e oppressione d’ogni genere, di cui quella dei coloni sionisti è oggi la metastasi razzista socio-politica.

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