Come la CIA ha creato la cultura "woke"

di Eduardo Vasco - Strategic Culture

Nel 1953, John McCloy, ex sottosegretario alla Guerra degli Stati Uniti, ex presidente della Banca Mondiale ed ex Alto Commissario in Germania, assunse la presidenza della Fondazione Ford. In quest'ultimo ruolo, McCloy fornì copertura a numerosi agenti della CIA. Fu lui che, in qualità di presidente della fondazione, si assicurò che gli interessi dell'agenzia fossero soddisfatti, creando un comitato interno per trattare specificamente con la CIA, composto da lui stesso e da altri due dirigenti della fondazione. "Si consultavano con questo comitato specifico e, quando si riteneva che fosse una cosa ragionevole, che non andasse contro gli interessi a lungo termine della Fondazione, il progetto veniva consegnato al personale interno e ad altri dirigenti della casa [senza che questi] fossero a conoscenza delle origini della proposta", ha detto il biografo di McCloy, citato da Frances Stonor Saunders nel suo libro "Who Paid the Piper? The CIA and the Cultural Cold War".

“Una volta stabilito questo accordo", continua l'autrice, "la Fondazione Ford fu ufficialmente ingaggiata come una delle organizzazioni che la CIA poteva mobilitare nella guerra politica contro il comunismo". Gli archivi della fondazione rivelano una grande quantità di progetti comuni" (p. 160).

La Fondazione Ford è sempre stata infestata da agenti della CIA, dai livelli più alti a quelli più bassi dell'ente. Alcuni dei suoi presidenti, come Paul G. Hoffman (primo presidente dell'ente), John McCloy e McGeorge Bundy, erano importanti funzionari del governo statunitense e lavoravano direttamente con la CIA.

Nel settembre del 1950 è stata stabilita la carta dei principi della Fondazione Ford, tuttora in vigore. Conosciuto come Rapporto Gaither (perché responsabile della sua preparazione), presupponeva "investimenti in istituzioni, nuove teorie [sottolineatura nostra], canali di pubblicazione e formazione del personale e delle élite professionali nelle Scienze Sociali", evidenzia Wanderson Chaves, dottore in Storia dell'Università di San Paolo, citando il Rapporto (Revista Crítica Histórica, Anno VI, n° 11, luglio/2015, p. 234). Il rapporto stesso prevedeva una collaborazione intrinseca con il Dipartimento di Stato e la CIA.

Uno dei centri d'azione fondamentali di questa politica della Fondazione Ford è stato da allora l'università. Tra gli sforzi principali di questa collaborazione c'era l'istituzione di "un'istruzione e una formazione a lungo termine delle élite politiche delle aree ‘non sviluppate’ del mondo, in modo che potessero formare in futuro consigli direttivi nazionali e internazionali". Per migliorare l'immagine degli Stati Uniti nel mondo in uno scenario di "guerra fredda", ad esempio, furono messe in atto attività che miravano a manipolare il significato della lotta dei neri. "Si propose che i conflitti razziali, affrontati in letteratura come dramma delle tensioni sociali nordamericane, venissero rielaborati, soprattutto a livello accademico, per essere presentati e pubblicizzati come una sana espressione del miglioramento della sfera pubblica nazionale e, quindi, del potenziale della sua filosofia democratica" (p. 236).

Nasce così quello che possiamo considerare l'embrione dell'identitarismo moderno. E nasce direttamente dagli uffici della Central Intelligence Agency con l'obiettivo di combattere le tendenze rivoluzionarie delle masse popolari di tutto il mondo. Negli ultimi decenni, la questione razziale ha smesso di avere un carattere di classe sociale ed è diventata una questione culturale: il razzismo non esiste perché le sue vittime tradizionalmente appartenevano a classi sociali inferiori, la cui forza lavoro era sfruttata dalle classi superiori - esiste perché si è creata una cultura all'interno della società, cioè il colpevole non è una classe sociale economicamente oppressiva che domina la società, ma piuttosto la società nel suo complesso, compresi i suoi membri poveri e sfruttati. Pertanto, il nemico da combattere non sono gli sfruttatori dell'intero popolo, la borghesia e la sua espressione internazionale (l'imperialismo), ma i cittadini comuni e, in ultima analisi, gli stessi sfruttati. Questa politica, quindi, serve solo a perpetuare l'oppressione imposta a tutti i popoli dalla classe dominante, e di fatto non combatte affatto il razzismo.

(Traduzione de l'AntiDiplomatico)

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