Riceviamo e pubblichiamo
“Il 7 ottobre è la data di una rivoluzione”.
Lo diciamo dall’8 ottobre 2023, anche se il Governo e i giornali se ne sono accorti solo ora.
“Rivoluzione”, “movimento di liberazione”, “colonialismo”, “lotta armata”, non sono elucubrazioni mentali di giovani estremisti, sono i termini del discorso con cui da più di 76 anni, e con rinnovata passione dal 7 ottobre scorso, nel mondo arabo e nel sud del mondo storicamente oppressi, viene descritto ciò che accade in Palestina.
Come Giovani Palestinesi constatiamo soltanto una realtà di fatto, tanto per i palestinesi quanto per gli israeliani, che prescinde dal giudizio di valore che si può attribuire al concetto e al fenomeno “rivoluzione”, giudizio di valore dal quale comunque non ci si deve sottrarre, perché qui sta il nocciolo della questione. Vogliamo semplicemente descrivere i fatti di casa nostra con le parole che si usano a casa nostra: siamo convinti che questo desiderio sia perfettamente comprensibile agli italiani e soprattutto allo schieramento di Governo.
I progressisti, nell’ultimo anno, hanno potuto sfoggiare tanti termini alla moda: “decolonizzazione”, “messa in discussione della visione eurocentrica”, “assumere la prospettiva dei colonizzati” e altre simili amenità. Peccato che abbiano una paura quasi isterica di inserire il 7 ottobre come momento rivoluzionario all’interno di una lotta di liberazione anticoloniale.
In Occidente, anche chi sostiene i palestinesi, ha paura di usare, all’interno dell’Impero, i concetti precisi che usano i colonizzati, alla faccia del politicamente corretto. Il fatto è che questi termini, tra tutti quello di “rivoluzione”, risultano scandalosi e conducono dritti a valicare una linea rossa oltre la quale non c’è libertà di espressione, di parola o democrazia che tenga. La questione palestinese è eminentemente politica. Il disastro umanitario, a cui spesso e volentieri la si vorrebbe ridurre, non è che un effetto del dato politico, perciò la tragedia, e le passioni da questa suscitate, non devono distoglierci dall’agire sulle cause.
La questione palestinese è molto semplice; la illustriamo perciò come un dato di fatto, senza illuderci, a questo punto, di persuadere nessuno, visto che non abbiamo la presunzione di voler dimostrare niente. Che la nostra sia una causa giusta è ampiamente dimostrato dall’evidenza, dai fatti e da una storia eloquenti, oltre che da tante trattazioni scientifiche. Chi non è convinto da questo non sarà certo convinto da noi.
Israele è uno Stato coloniale, in quanto tale è illegittimo, a prescindere da qualsiasi riconoscimento internazionale. Nessun popolo può accettare l’invasione e il furto della propria terra, l’annientamento e l’espulsione della propria gente, il popolo palestinese non fa eccezione. Ogni popolo ha il diritto naturale di resistere a un’occupazione coloniale con ogni mezzo, compreso quello della lotta armata, che la storia ha dimostrato essere il mezzo decisivo in più di un’occasione.
Ogni israeliano è un colono. I coloni non hanno alcuna proprietà sulla terra, a prescindere da qualsiasi previsione di diritto, ne detengono solo il possesso illegittimo, le cui uniche garanzie sono la forza e la violenza repressiva.
I colonizzati hanno il diritto naturale di reclamare la legittima proprietà della terra con ogni mezzo, compresa l’aggressione volta a riguadagnarne il possesso. Le organizzazioni della resistenza palestinese non possono essere definite “terroristiche”, a prescindere da qualsiasi previsione di diritto; ad ogni modo nemmeno ai sensi del diritto internazionale vigente possono essere considerate “terroristiche”. Le organizzazioni della resistenza palestinese, con piena dignità politica, agiscono all’interno di una lotta e di un movimento di liberazione anticoloniale.
Questa nostra posizione, come anche la nostra lettura sul 7 ottobre, non è nuova, ma solo ora ha attirato l’attenzione del Ministero dell’Interno, che si sta adoperando per vietare la manifestazione nazionale organizzata per il 5 ottobre a Roma, e del Parlamento, grazie anche a Giovanni Donzelli, deputato della Repubblica e responsabile nazionale dell’organizzazione di Fratelli d’Italia, che ha immediatamente presentato un’interrogazione parlamentare, invocando la repressione dell’iniziativa.
Il deputato di Governo ha affermato in un’intervista: «non è solo il fatto che festeggiano l’anniversario del 7 ottobre, ma lo definiscono una giornata rivoluzionaria, dandogli un’accezione POSITIVA».
Che un esponente di Fratelli d’Italia ritenga positiva la parola “rivoluzione” non solo ha dell’incredibile, ma ci ricorda che la parola rivoluzione può avere tanto un significato positivo quanto negativo. In generale un evento è rivoluzionario quando sconvolge lo stato di cose vigenti al punto che non è più possibile ripristinare lo status quo precedente. Il 7 ottobre è per lo Stato coloniale d’Israele l’inizio della peggiore crisi della sua storia, che sancisce il fallimento del diritto internazionale e delle trattative di pacificazione. Israele non potrà mai più ristabilire l’immagine della sua forza a livello interno ed esterno e la sua credibilità internazionale va verso un declino inarrestabile.
Per il popolo palestinese, invece, il 7 ottobre significa una nuova fase della lotta di liberazione. Significa infatti il recupero della lotta armata come strumento politico e l’esercizio concreto del diritto al ritorno. Il popolo palestinese non potrà mai tornare a sedersi come prima al tavolo delle trattative con Israele e le potenze imperialiste, né a fidarsi del diritto internazionale.
Per il mondo il 7 ottobre è il segno che l’impero euro-atlantico non solo è in crisi, ma minaccia di crollare. Gli Stati Uniti e gli alleati, l’Italia in prima fila, non sono stati in grado di gestire la situazione in Palestina, dimostrandosi dunque incapaci di mantenere l’ordine mondiale e di limitare la guerra.
Consentire a Israele di violare impunemente qualsiasi legge scritta o non scritta, di commettere ogni sorta di crimine ed efferatezza, non solo sta producendo uno dei genocidi più atroci della storia, ma rischia di mettere in pericolo tutto il mondo e di portarlo verso una nuova guerra mondiale. Israele e le potenze imperialiste hanno preso la decisione pericolosa di rendere le controversie internazionali una questione di puri rapporti di forza, forti del loro dominio e dello strapotere bellico.
Calpestando la vita e ogni singolo diritto del popolo palestinese hanno dimostrato che chi non si piega alle angherie dell’Impero, smette di far parte dell’umanità e per tanto non gode più di alcun diritto. Questa per noi palestinesi non è una novità, ma la sintesi di tutta la nostra storia.
Il 7 ottobre rende questa storia visibile, gettando un’ombra pesantissima sulla civiltà occidentale, sulla sua pace, sui pretesi diritti e sulle pretese libertà, ricordando che la civiltà capitalistica, liberale e democratica, si fonda e si mantiene col sangue e le menzogne. Andremo avanti. Manifestare è un diritto: se il Governo vuole vietare la piazza e dire che in Italia non esiste il diritto a manifestare lo faccia e se ne assuma la piena responsabilità politica, noi non ci faremo intimidire. Il 5 ottobre 2024 saremo a Roma per la Palestina libera, per un anno di resistenza e dopo un anno di genocidio.
Giovani Palestinesi d’Italia
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