di Andrea Zhok*
Fallito un golpe se ne tenta un altro.
Dopo il ritiro della legge marziale in Corea del Sud - il presidente Yoon Suk-yeol non è riuscito a superare lo scoglio delle dimissioni del ministro della difesa, che ha tolto il supporto dell'esercito - eccoci di fronte al colpo di stato "legale" approntato dalla Corte Costituzionale rumena, che ha annullato i risultati del primo turno delle elezioni presidenziali e ha rinviato le elezioni a data da destinarsi.
Come noto al primo turno il candidato C?lin Georgescu era emerso in testa e i sondaggi lo davano vincitore al ballottaggio (63% contro il 37% dell'altra candidata Elena Lasconi). Georgescu non risulta allineato con le posizioni Nato e questo rappresenta un problema.
Le motivazioni della Corte Costituzionale rumena sono degne del miglior cabaret: il candidato Georgescu avrebbe beneficiato di una campagna Tik-Tok che "somigliava" (sic) alle tattiche russe.
In sostanza il sospetto di una possibile, marginale, influenza estera sarebbe sufficiente ad annullare le elezioni.
(Per un paese come l'Italia, che ha votato dal 1948 ad oggi sempre sotto colossali pressioni internazionali, da Washington alla BCE, con questo criterio si potrebbero invalidare tutte le elezioni, senza eccezione alcuna.)
Cos'hanno in comune questi rigurgiti autoritari?
E' molto semplice. Si tratta di autoritarismo ufficialmente posto a servizio dei liberali.
Il cortocircuito è, naturalmente, solo apparente.
Il liberalismo da quando è divenuto la spina dorsale della politica europea nel XIX secolo ha sempre giocato la carta dell'appello alla libertà democratica quando doveva difendersi dalla prospettiva dello statalismo, e la carta della repressione paternalistica quando il demos non votava in modo gradito ai padroni del vapore.
CIò che questi sussulti autoritari indicano è la condizione di pericolosa fragilità in cui versa la narrazione liberaldemocratica, che nonostante i propri immani sforzi di manipolazione dell'opinione pubblica non riesce più a persuadere - non sempre - la maggioranza della popolazione che le legnate generosamente comminate sono per il loro bene.
Il gioco del governo dell'opinione pubblica in una democrazia formale è sempre rischioso.
Nell'800 per molto tempo si credette che il suffragio universale da solo sarebbe riuscito a instaurare regimi operanti nell'interesse del popolo. Dall'ottenimento del suffragio universale, perciò, tutto lo sforzo delle classi dirigenti liberali è stato dunque sempre diretto a convincere la maggioranza che i costanti sacrifici dei più, per mantenere il privilegio dei pochi, fossero l'unica cosa giusta da fare.
Quale strategia narrativa possa essere utilizzata per ottenere questo risultato, l'unico essenziale, questo può variare. Ma in generale il risultato si ottiene persuadendo i più che una minaccia ben peggiore del privilegio oligarchico è in agguato, e che gli unici capaci di difendere il paese da quella minaccia sono appunto i membri delle elite liberali.
Quanto meno questa narrazione fa presa, tanto più la natura delle liberaldemocrazie si palesa: il vero potere risiede nella sfera "liberal-", cioè nella grande proprietà, laddove la "-democrazia" è solo la variabile dipendente, utilizzabile come copertura ideologica finché la si riesce a manipolare, ma liberamente subordinabile non appena risulti refrattaria ai desiderata delle elite.
*Post Facebook del 7 dicembre 2024
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