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Mentre stiamo scrivendo due, forse tre nuovi ministri libici “in pectore” sarebbero stati rapiti durante il tragitto che da Misurata li avrebbe contatti a Tobruk per la cerimonia di insediamento del nuovo governo il cui primo ministro designato è Fathi Bashagha.
Si tratterebbe del ministro degli Esteri Hafez Gaddur (ex ambasciatore libico in Italia ai tempi di Gheddafi) e quello dell'Istruzione, Salha Al Darawqui, e di un terzo al momento sconosciuto.
A questo punto tutti gli scenari sono aperti.
LO SCACCHIERE LIBICO IN QUESTO MOMENTO
Nei giorni scorsi Fathi Bashagha aveva dichiarato che, non appena formato il governo, avrebbe assunto il potere a Tripoli pacificamente, in seguito ad "accordi con gli apparati di sicurezza e militari per un passaggio di potere pacifico e senza problemi”.
Ma gli auspici del nuovo premier, sin dal primo giorno della sua designazione, si sono scontrati con le minacce del premier uscente, Abdul Hamid Dabaiba, come già raccontato nell’articolo precedente: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-sorpresa_amara_per_la_nato_i_libici_hanno_fatto_la_pace_e_bashagha_il_premier/41939_45126/.
Ultimamente le minacce si erano fatte sempre più esplicite: "Non accetterò, in nessun modo, di consegnare il paese al caos. Le elezioni sono l'unica soluzione”. Il caos di cui parla Dabaiba è infatti proprio quello che ha scatenato ora con il rapimento di 3 ministri, per mano di milizie verosimilmente a lui legate.
Dabaiba aveva aggiunto nei giorni scorsi che avrebbe consegnato il potere solo ad un governo eletto, tralasciando però di dire che il rinvio delle elezioni dello scorso 24 dicembre non è solo un suo fallimento, ma una sua stessa mossa strategica di fronte a elezioni che avrebbe sicuramente perso.
Tuttavia occorre ricordare che i governi in Libia, così come in tutti i Paesi del mondo, dovrebbero insediarsi solo in seguito alla fiducia del parlamento. E il parlamento ha sfiduciato Dabaiba e votato la fiducia a Bashagha, con voto unanime dei 92 deputati su 101 presenti a Tobruk al momento del voto.
DABAIBA: IL FU PREMIER E I SUOI COMPLICI
Lunedì scorso, il capo dell'Alto Consiglio di Stato libico Khaled Al-Mishri ha ribadito il suo rifiuto al nuovo governo. Al-Mishri ha affermato che "la nuova proposta di governo equivale a un tentativo di accogliere gli aggressori nella capitale libica, dopo che non sono riusciti a entrarvi con la forza. Vorrei che il mio amico Bashagha, che ha avuto un ruolo importante nella difesa della capitale, prestasse molta attenzione a questa questione”.
Che intende Al-Mishri? Afferma un principio che tutti conoscono in Libia: la questione è militare, non politica. Durante l’offensiva dell’Esercito Nazionale Libico su Tripoli cominciata nell’aprile 2019 e protrattasi fino all’estate 2020, Bashagha era ministro del governo Sarraj, insediato a Tripoli senza il voto del parlamento, e da lì si opponeva all’avanzata di Haftar.
Ora Bashagha, legato alla Fratellanza Musulmana e tra le figure politiche più influenti a Occidente, originario di Misurata, ha deciso di cambiare paradigma e diventare premier con il voto di fiducia del parlamento e abbandonare il modello NATO che prevede governi illegittimi a Tripoli in carica senza la fiducia.
Così facendo di quel parlamento, definito Casa dei Rappresentanti, ne accetta anche l’Esercito Nazionale Libico, che quel parlamento aveva istituito nel marzo 2015, guidato da Khalifa Haftar.
Questo significa, come riassume Al-Mishri, che così facendo Bashagha consentirà all’Esercito Nazionale Libico e a Khalifa Haftar di entrare presto a Tripoli e prenderne il controllo, cosa che non era loro riuscita dopo 2 anni di guerra.
Al-Mishri si fa dunque portavoce di tutte quelle figure politiche dell’ovest del Paese che sono rimaste spiazzate dalla mossa di Bashagha e si ritrovano ora ai margini del processo politico, estromessi sulla base del diritto, ma decisi a farsi rispettare sulla base del sostegno internazionale e del potere militare residuo sul campo.
Diversi incontri in queste ultime 2 settimane infatti si sono tenuti per allestire un fronte tra le milizie rimaste fedeli alla linea NATO e irriducibili rispetto all’idea che l’Esercito Nazionale Libico si imponga a Tripoli (anche perché questo comporterebbe il loro smantellamento).
Tuttavia non è solo la sopravvivenza politica a motivare questa sorta di resistenza illegale. Ci sono anche i dollari. Dabaiba ne sta elargendo a piene mani, forte del fatto che Al-Siddiq Al-Kabir, governatore della Banca centrale della Libia, sta dalla sua parte, ma soprattutto dalla parte della NATO.
Lunedì scorso, il governatore si è infatti incontrato con l'ambasciatore degli Stati Uniti in Libia, Richard Norland. I due hanno discusso i progressi in corso per riunificare la CBL, ha riferito l'ambasciata degli Stati Uniti in Libia in un comunicato.
"Norland ha elogiato il governatore Al-Kabir per aver abbracciato l'unità in un momento così cruciale, e ha detto di sostenere i piani del governatore di visitare gli Stati Uniti all'inizio di marzo per tenere importanti e tempestive consultazioni con alti funzionari statunitensi", si legge in un comunicato.
In realtà gli Stati Uniti sanno benissimo di essere stati messi all’angolo in Libia e fanno forza sull’ultimo bastione rimasto nelle loro mani: la Banca centrale libica, appunto.
RIVERBERI DELLA CRISI UCRAINA
Il sito francese "Africa Intelligence" ha rivelato in un recente rapporto l’esistenza di una disputa tra Mosca e Washington sul futuro del consigliere speciale del segretario generale delle Nazioni Unite in Libia, Stephanie Williams, poiché la Russia preme per la sua partenza e gli Stati Uniti cercano di mantenerla nella sua posizione. Anzi, l’intenzione statunitense è quella di nominarla inviato speciale dell’ONU per la Libia, ma da mesi la Russia pone il veto all’interno del Consiglio di Sicurezza.
Scrivi Stephanie Williams oggi e pensi a Victoria Nuland in Ucraina nel 2014. Le due figure femminili di diplomatici americani in fondo si assomigliano non poco e provengono dalla stessa scuola americana di diplomatici squali esperti nel sabotaggio delle democrazie altrui e nella formazione del caos. Qualsiasi sia il suo incarico in Libia, la Williams è la vera sabotatrice della pace nel Paese.
E’ stata l’ispiratrice del Forum di Dialogo che ha portato le forze politiche libiche a convergere sulla figura di Dabaiba nel marzo del 2021 con la promessa di elezioni nel dicembre dello stesso anno.
Poi, però, quando le elezioni erano a un passo, si è messa di traverso, sussurrando all’orecchio di Dabaiba e delle milizie che in caso di elezioni avrebbe vinto Saif Gheddafi e sarebbe stata la fine, ma in caso di mancate elezioni gli Stati Uniti (e l’UE) avrebbero continuato a riconoscere Dabaiba come premier, benché sfiduciato. E così le elezioni non si sono tenute.
In questi ultimi giorni, in visita senza sosta nelle città dell’ovest della Libia dove incontra esponenti locali delle milizie, è solita proporre il rinvio delle elezioni per i prossimi 2 anni (mantenendo la situazione di caos nel frattempo, sottinteso). Persino Dabaiba ha dovuto correggere il tiro, affermando che al contrario lui si impegnerà per tenere le elezioni entro giugno, per scongiurare la rabbia del popolo libico di fronte a questi ripetuti e ingiustificati rinvii delle elezioni.
D’altro lato il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato questo mercoledì: "Vediamo la decisione del Parlamento libico come un passo importante per superare la crisi prolungata in Libia”.
In sostanza, ai russi questa situazione piace molto. Perché Haftar è un partner collaudato. Perché Bashagha premier apre le porte di Tripoli ad Haftar. Ma soprattutto perché le cariche istituzionali del paese vengono rimesse così in contatto con la legittimità politica, l’unica possibile in questo momento, ossia il voto del parlamento.
E perché la Russia, come la NATO, è al corrente del consenso sul campo di cui godono figure come Khalifa Haftar o Saif Gheddafi e nuove elezioni potrebbero solo certificare questo consenso ed estromettere dal potere tutta una serie di figure illegittime sostenute illegalmente dall’Occidente.
Perno di tutta questa operazione a sorpresa è dunque Fathi Bashagha, il cui compito tutt’altro che scontato, sarà quello di convincere i poteri della sua città Misurata, dove risiede la Brigata più potente in Libia dopo l’Esercito Nazionale Libico, capaci di aver profonda influenza anche a Tripoli.
Proprio per questo lo scorso lunedì il primo ministro libico designato Fathi Bashagha ha incontrato diversi leader nella città di Misurata tra cui il membro della Camera dei Rappresentanti Sulaiman Al-Faqih, il candidato presidenziale Mohammed Al-Muntasser e il capo del Consiglio degli anziani, Mohammed Al-Rajubi, oltre ai capi delle brigate militari e altre figure civili di spicco.
Al-Rajubi ha in seguito raccontato ai giornalisti che l'incontro con Bashagha mirava a raggiungere un accordo che metta fine al conflitto e alla controversia in corso. Lo stesso ha però affermato che l'attuale disaccordo è normale e che comunque esso non può portare alla guerra. Insomma, non è facile digerire un cambio di paradigma di 180° in poche settimane dopo 10 anni di guerra civile. Ma gli spiragli ci sono, anzi, diverse fonti confermano che Misurata sarà, anche militarmente, dalla parte di Bashagha.
SCENARI DI UN APOCALISSE LIBICA
Torniamo a oggi. Tre ministri “in pectore” del nuovo governo sono stati rapiti durante il tragitto che da Misurata li avrebbe contatti a Tobruk per la cerimonia di insediamento del nuovo governo con a capo Fathi Bashagha.
A rapirli sono state sicuramente le milizie legate a Dabaiba. La mossa non può essere stata decisa senza il consenso degli Stati Uniti. Il potere politico legittimo in questo momento riconosce Bashagha premier. Dabaiba non ha più nessuna autorità. Però controlla la Banca centrale e dispone delle risorse economiche, grazie alla copertura degli Stati Uniti, con le quali provare a corrompere chiunque sia disposto in Libia ad andare contro la volontà del parlamento.
Tuttavia l’Esercito Nazionale Libico e le forze di Misurata si stanno unendo. Militarmente in Libia l’ago della bilancia ora è nettamente a favore di questi ultimi, Turchia permettendo.
Ma la Turchia, schierata militarmente in Tripolitania, oggi sta con la NATO o con la Russia? E’ ciò che tutti si stanno chiedendo, non solo in Libia.
Dunque: cosa potrà succedere se gli Stati Uniti e l’UE insisteranno a mettere il bastone tra le ruote al processo politico in Libia?
Un’idea è venuta al giornalista egiziano Amr Adib, il quale all’interno del programma televisivo "Al-Hekaya", che va in onda sul canale egiziano MBC, ha affermato che "la Libia per l'Egitto è come l'Ucraina per la Russia. Questi giorni sono un’opportunità per chi vuole fare qualcosa, il mondo non presta attenzione e nessuno sta guardando. Se qualcuno vuole fare qualcosa, questo è il momento".
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