Quando ormai 4 anni fa scoprii un metodo per entrare direttamente in contatto via internet con chi si trovasse in Libia, quando ho cominciato ad avere conversazioni quotidiane con i cosiddetti migranti-schiavi in Libia, alcuni miti crollarono nel giro di pochi giorni.
Intendo per miti quelle presunte verità raccontate ossessivamente dalla stampa immigrazionista europea, i pilastri di quella “narrazione fiabesca” che è stata negli ultimi 10 anni a tutti gli effetti una propaganda di guerra combattuta dalle Ong contro la verità approfittando della credulità di centinaia di ragazzini africani e pure di quella delle anime belle europee.
I PILASTRI DELLA NARRAZIONE FIABESCA
Una di questa verità è che la maggior parte dei migranti-schiavi sia già in rete, con un cellulare in mano, segue le pagine delle Ong per tenersi informata o meglio “guidata” all’interno del percorso, soprattutto al momento di decidere di imbarcarsi su un pericolosissimo gommone sgonfio.
Un’altra è che anche nei centri di detenzione si possa tenere un cellulare e filmare quanto all’interno avvenga. Del resto, le milizie sanno benissimo di godere di totale impunità, protette dalla NATO e dall’UE, e qualche foto e qualche video non le metterà certo in pericolo.
Un’altra ancora è che i gommoni sgonfi che partono dalla Libia mai raggiungono le coste italiane, ma si afflosciano dopo poche ore, quando l’aria calda con la quale sono gonfiati si raffredda. Pertanto è necessario sapere se al momento della partenza ci sia una nave delle Ong in mare, altrimenti non è una traversata, è un suicidio assistito. Questo è il motivo per cui i migranti aspettano la luce verde delle Ong prima di imbarcarsi. Questo è anche il motivo per cui su 20 che sono salvati, uno muore annegato. Una sorta di incidente di percorso. Altrimenti, se partissero senza curarsi della presenza di navi delle Ong in mare, sarebbe un’ecatombe.
Ma infine c’era un’altra verità che in quelle prime settimane di contatti mi fece strabuzzare gli occhi: la maggioranza di loro chiede, anzi supplica, di essere riportata a casa.
Sì, perché in Libia non ci è arrivata per necessità o per disperazione, ma dietro raggiro.
Le mafie africane dei loro paesi li hanno ingannati, facendo loro credere in una “rapida e sicura” traversata verso l’Europa.
Ma l’Europa non era una destinazione per la maggior parte di loro, era un’esca. Era il pretesto per farli uscire dal loro paese e trascinarli in Libia, dove poi sono stati ridotti in schiavitù, senza possibilità di andare avanti, senza possibilità di tornare indietro.
Sono 700mila i migranti-schiavi in Libia. Solo poche migliaia raggiungono le coste italiane ogni anno. Gli altri restano in Libia a servire da manodopera a costo zero per le milizie.
SOLDI ALLA LIBIA NON PER I MIGRANTI, MA PER IL SACCHEGGIO DEL PETROLIO
Qualche settimana fa l’on. Vito Petrocelli ha presentato al ministro Di Maio un’interrogazione parlamentare in cui si mostra un documento ufficiale del governo di Tripoli che prova come gli aiuti umanitari ricevuti negli ultimi anni siano stati invece spesi per “altre esigenze del governo”. Questo significa che i migranti in questa equazione sono stati solo lo specchietto per le allodole.
Ora che sappiamo dunque che gli “aiuti umanitari” inviati al governo di Tripoli negli ultimi anni non sono stati spesi a questa voce ma utilizzati “per altre esigenze”, verosimilmente investiti in armi dal governo di Tripoli o utilizzati per coprire i costi del petrolio trafugato e inviato in Italia, ecco che forse ora diventa più facile credere a un giovane africano in Libia che, una volta capito il tranello, decide di tornare a casa.
Se cioè lo scopo non era traghettare migranti verso l’Italia ma sostenere un dispositivo militare a Tripoli per il saccheggio del petrolio libico, ecco che risulta comprensibile come mai i migranti-schiavi, capito l’inganno, stiano chiedendo di tornare a casa.
Negli ultimi anni l’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, agenzia delle Nazioni Unite) ha rimpatriato via aereo volontariamente più di 50mila africani schiavi dalla Libia al loro paese di origine.
Ma molti di più sono quelli tuttora in Libia cui non viene concessa la possibilità di far ritorno a casa perché forza lavoro di cui le milizie non vogliono privarsi.
LE VOCI ORiGINALI SONO UNA PROVA STORICA
Ed ecco così che i pochi fortunati che sono riusciti a sottrarsi dalla schiavitù ed essere evacuati verso casa, una volta arrivati, hanno dato vita ad associazioni e movimenti per informare i propri connazionali coetanei a non partire per la Libia e a non credere alle false promesse delle mafie africane che adescano questi giovani ragazzini mostrando loro foto e video dei salvataggi in mare delle Ong per convincerli che il “salvatore bianco europeo” li aiuterà a raggiungere i loro sogni.
Per la stragrande maggioranza di loro non sarà così: rimarranno in Libia a fare schiavi per anni, finché ce la faranno a sopravvivere.
Ma queste verità in Italia non si possono raccontare per non offendere il lavoro delle Ong, le quali, se raccontati questi fatti, si troverebbero nell’imbarazzo di dover spiegare ai propri seguaci che razza di ruolo alla fine davvero svolgano là in mezzo al mare.
Negli ultimi 4 anni ho raccolto ore e ore di testimonianze inequivocabili dalla Libia, ma qui in Italia chi si dice esperto ed interessato ai migranti solitamente fugge l’ascolto, fugge il confronto, si risente, accusa, diffama.
Eppure nessun altro lavoro al mondo concede la possibilità di ascoltare con le proprie orecchie i pensieri e le storie degli africani in Libia. Tutti parlano a nome dei migranti, riportano virgolettati inventati di sana pianta, nessuno li lascia parlare seriamente.
Per esempio, questo è uno di quei messaggi che i profeti della migrazione vorrebbero che nessuno ascoltasse in Italia:
"D: Ti vorrei chiedere un'opinione sull'affondamento avvenuto la scorsa settimana quando più di 100 migranti sono morti in mare.
R: Purtroppo abbiamo perso molte persone nel Mediterraneo. Non c'è alcun ragionevole motivo perché la gente debba perdere la vita in quel modo in mare. Perché le imbarcazioni usate non sono vere imbarcazioni, sono solo canotti. Caricano queste persone sopra questo tubo gonfiato di plastica molto sottile che non è in grado di trasportare tutte quelle persone. Ma da quello che posso vedere c'è una connessione tra le ONG e i trafficanti libici. Hai capito?
D: Sì, ma che intendi? Puoi essere più chiaro?
R: Quel che voglio dire è che non c'è modo che uno di questi gommoni parta senza che le ONG non ne siano a conoscenza. Ma anziché arrivare in Italia, la maggior parte di loro vengono intercettati dopo neanche un'ora. E dopo che sono intercettati vengono ricondotti in Libia, le persone messe in prigione, torturate, picchiate e in seguito a tutto questo molti muoiono. In aggiunta a tutti coloro che annegano in mare, molte altre persone muoiono a terra. Quindi se le ONG sono in contatto con i trafficanti, bisogna dire loro che questo sistema deve finire. Mi appello alla mia gente e a tutti coloro che stanno ascoltando questo programma: bisogna fermare queste traversate del mare. Non c'è ragione per rischiare la propria vita una volta in più in mare.
D: Hai detto che hai in programma di tornare a casa in Nigeria. Come hai intenzione di farlo?
R: Esistono i voli gratuiti per coloro che vogliono tornare a casa, ma ci vuole un sacco di tempo, magari 3 mesi, 4, a volte 6. Ma se vuoi tornare a casa prima, vai all'aeroporto e ti compri un biglietto per il tuo Paese"
Ascolta l’audio della telefonata: https://soundcloud.com/exodus-
FINE SETTIMANA DI VOCI SENZA CENSURA: PARLANO I “RETURNEES”
Questo fine settimana faremo, credo, qualcosa di straordinario. Daremo la parola ad alcuni di questi giovani “returnees”, i ragazzi tornati a casa dopo la drammatica esperienza in Libia, quelli che hanno dato vita ad associazioni sul territorio per scoraggiare i giovani a partire.
Saranno in collegamento dalla Nigeria, dal Gambia e dalla Costa d’Avorio all’interno dell’iniziativa “Dar voce agli Africani”, organizzata da Franco Dinelli per Pax Christi e che si terrà alla Casa per la pace di Impruneta (Firenze) il 23 e 24 luglio prossimi.
Sabato 23 per altro verrà proiettato il film “L’Urlo” di cui sono regista, occasione rara per poter guardare questo lavoro messo all’indice dalla società inclusiva in cui viviamo.
Vi aspettiamo numerosi!
Per informazioni ed iscrizioni: casaperlapacepaxchristi@gmail.
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