di Federico Giusti e Emiliano Gentili
Ogni Governo che voglia farsi rispettare agli occhi dell’opinione pubblica deve sviluppare una narrazione convincente e, con il sapiente uso degli organi di stampa, vendere una immagine tanto rassicurante quanto edulcorata del proprio operato, tramite cui leggere la realtà rimuovendone le cause. In teoria, al contrario, la preoccupazione per le ricadute pratiche delle decisioni prese dovrebbe animare ogni azione dei governanti. Ad esempio, se oggi leggiamo della crescita della povertà dovremmo chiederci se tra le cause possa esserci, come crediamo, la cancellazione del Reddito di cittadinanza.
Stando all’Istat[1], nell’anno 2023 le famiglie in povertà assoluta erano l’8,5%, ossia circa 5,7 milioni di uomini e donne.
Estrapoliamo alcuni passaggi dalla analisi statistica Istat:
Nel Nord, dove le persone povere sono quasi 136mila in più rispetto al 2022, l’incidenza della povertà assoluta a livello familiare è sostanzialmente stabile (8,0%), mentre si osserva una crescita dell’incidenza individuale (9,0%, dall’8,5% del 2022). Il Mezzogiorno mostra anch’esso valori stabili e più elevati delle altre ripartizioni (10,3%, dal 10,7 del 2022), anche a livello individuale (12,1%, dal 12,7% del 2022). Peggiora la condizione delle famiglie con persona di riferimento (p.r.) lavoratore dipendente. L’incidenza di povertà assoluta è stabile all’8,2% tra le famiglie con p.r. occupata (interessando oltre 1 milione 100mila famiglie in totale). Da segnalare, però, un peggioramento rispetto al 2022 della condizione delle famiglie con p.r. lavoratore dipendente: l’incidenza raggiunge il 9,1%, dall’8,3% del 2022...
L’incidenza di povertà familiare, che nel 2014 è risultata pari al 6,2%, nei due anni successivi è rimasta stabile, crescendo in maniera significativa nel 2017, quando l’indicatore familiare è arrivato al 7,2%. Quest’ultimo si stabilizza di nuovo nel 2018, per poi decrescere nel 2019 al 6,7%, in concomitanza con l’introduzione del Reddito di cittadinanza di cui, a partire dal secondo trimestre, hanno beneficiato circa un milione di famiglie in difficoltà. Nel 2020, anno della pandemia, l’incidenza riprende a crescere, arrivando al 7,8% e interessando oltre 2 milioni di famiglie, per poi stabilizzarsi nel 2021. Tale andamento risente principalmente del calo della spesa dovuto alle misure restrittive introdotte nel corso dell’emergenza sanitaria e al loro impatto sui comportamenti di spesa delle famiglie. Nel 2022, l’incidenza torna ad aumentare e arriva all’8,3%, in larga misura a causa della forte accelerazione dell’inflazione, che ha colpito in particolar modo le famiglie meno abbienti. Le spese di queste ultime non sono riuscite infatti a tenere il passo dell’aumento dei prezzi, incluso quello dei beni e servizi essenziali considerati nel paniere della povertà assoluta. Nel 2023, secondo le stime preliminari, l’incidenza di povertà assoluta è pari all’8,5% tra le famiglie (8,3% nel 2022) e al 9,8% tra gli individui (9,7% nel 2022), in un quadro di sostanziale stabilità rispetto al 2022: si tratta di oltre 2 milioni 234mila famiglie, per un totale di circa 5 milioni 752mila individui riguardando oltre 944 mila famiglie.
I dati Istat considerano “povere” le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore alla somma necessaria per acquisire un determinato paniere di beni e servizi, che per altro andrebbe annualmente aggiornato. La povertà cresce soprattutto nel Nord, nei nuclei familiari colpiti dai processi di ristrutturazione, dalle delocalizzazioni produttive e dagli appalti al ribasso. Il Governo, dunque, ha cancellato i provvedimenti che avevano concesso a numerosi nuclei familiari indebitati e indigenti una nuova chance.
Ma questa situazione certificata dall’Istat non ha aperto alcuna riflessione sulle decisioni assunte dal Governo fin dal suo insediamento, men che mai la ammissione che avere cancellato il Reddito di cittadinanza è solo servito alle imprese per avere una forza lavoro da sfruttare a basso costo. Al contempo non si opera alcuna rilettura critica sugli effetti del cuneo fiscale per conoscerne gli effetti reali sulla occupazione.
L’assenza di una valutazione sui costi e benefici dei provvedimenti governativi è funzionale a una strategia di fondo: andare avanti con i processi di privatizzazione, indirizzare crescenti risorse economiche verso il privato, depotenziare il pubblico (anche delegittimandone l’operato agli occhi della cittadinanza). E in questa ottica è facile attribuire ai governi precedenti ogni responsabilità in materia di deficit quando poi, ad esempio sugli sgravi fiscali, Meloni si è mossa in continuità con gli esecutivi del passato. La differenza tra lei e il passato sta proprio nella rinnovata campagna di odio verso i poveri e in un forte rafforzamento dell’ideologia del merito e delle privatizzazioni
Il Consiglio dei Ministri, ad esempio, intende rivedere il meccanismo della cessione dei crediti d’imposta, eliminando sia ogni possibilità di sconti in fattura per il consumatore che di cessione del credito. A farne le spese, come al solito, potrebbero essere le aree terremotate, le Onlus e anche le Residenze sanitarie e assistenziali.
L’adozione del Superbonus viene giudicata errata e ormai fuori controllo da parte di molti esponenti governativi, ma il Governo evita di rispondere a una domanda dirimente: ossia se i rincari dei prodotti di fornitura siano divenuti insostenibili dopo l’insano embargo alla Russia e ai processi speculativi determinati dalla guerra. I ritardi nella realizzazione dei lavori sono del resto legati, almeno in parte, alle difficoltà di approvvigionamento dei materiali, alla spirale speculativa attorno ai prodotti energetici, ai costi dei materiali edili iniziata all’indomani dello scoppio della guerra in Ucraina.
Superbonus, Pnrr e sovvenzioni alle imprese
Il Superbonus, d’altro canto, presentava fin da suoi albori alcune luci ma anche molte ombre. Degli sconti fiscali hanno beneficiato in parte le famiglie, con opere di ristrutturazione ed efficientamento energetico delle prime abitazioni, ma i maggiori vantaggi sono andati alle imprese, che hanno visto rafforzati i loro patrimoni.
Il sovvenzionamento statale al settore edilizio, dunque, ha infine rappresentato un fattore importante per la crescita economica? E se sì, con quali costi e benefici? Dovrebbe essere questa la riflessione da fare prima di adottare eventuali correttivi. L’obiettivo del Governo è invece ben altro, ossia presentarsi nei prossimi mesi al cospetto di Bruxelles con un rapporto tra debito e Pil tornato dentro i tetti comunitari: non si possono rivedere le politiche degli sgravi fiscali, pena la perdita di consensi elettorali e del sostegno delle parti datoriali. Evitare di ampliare la spesa diventa allora la vera urgenza: eliminare i tempi supplementari per le comunicazioni sugli sconti in fattura e sulle cessioni dei crediti relative ai lavori del 2023 potrebbe essere il giusto compromesso per salvare capra e cavoli. Si salvano al fotofinish i cittadini delle aree terremotate, ma con l’imposizione di un tetto di spesa sulla cessione di crediti: una volta arrivati alla soglia di spesa di 400 milioni di €, infatti, lo Stato chiuderà i rubinetti anche per loro.
Ci pare evidente che il dietro front governativo possa essere interpetrato come un allineamento con i dettami europei per ricevere i fondi Pnrr, rivedendo in parte quei meccanismi di miglior favore. Tuttavia, così facendo verranno colpiti i contribuenti con debito erariale accertato in via definitiva. Per avere riconosciute le detrazioni, questi ultimi dovranno prima pagare le cartelle esattoriali. E anche in questo caso non mancano tensioni in seno alla maggioranza se pensiamo a interi settori della stessa che vanno in giro per la penisola, a nostre spese, promettendo la rottamazione delle cartelle esattoriali.
Possiamo quindi parlare di una reale inversione di tendenza sulla gestione dei fondi Pnrr o, piuttosto, soltanto di un provvedimento tardivo e parziale, scritto per salvarsi in calcio d’angolo vendendo all’Europa l’immagine di un Esecutivo integerrimo?
Una risposta plausibile è legata agli ultimi dati relativi al deficit accresciuto dal 4,5% del Pil previsto (ad aprile) al 5,3% con previsioni di crescita del Pil attorno all’’1%. Il Governo non fa quindi i conti con la bassa crescita della sua economia, non ne ricerca le cause e trova solo provvedimenti parziali che non avranno benefici a lungo termine.
Gli stessi sovvenzionamenti alle imprese tentano di “mettere una toppa” al problema, abbassando momentaneamente il livello di spesa degli imprenditori ma non riuscendo a innescare processi di innovazione industriale. Negli ultimi anni gli aiuti statali alle imprese sono stati innumerevoli, ma il Governo ha comunque effettuato una nuova, ulteriore sorta di superdeduzione fiscale per le imprese che fanno nuove assunzioni (siamo ancora in attesa del decreto attuativo).
Il Governo Meloni, dunque, mira essenzialmente agli sgravi fiscali alle imprese, ma i favori alle aziende non sono compensati dalla diffusione dell’occupazione a tempo indeterminato e da una seria leva assunzionale.
[1] STAT_TODAY_POVERTA-ASSOLUTA_2023_25.03.24.pdf (istat.it)
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