Tempi di vita e tempi di lavoro

di Federico Giusti
L'aspettativa di vita pro capite in tutti i principali paesi sviluppati continua a salire nonostante gli anni pandemici che hanno diminuito la speranza di vita.
In nome della aspettativa di vita, negli anni passati, i paesi a capitalismo avanzato hanno innalzato l'età pensionabile costringendoci a uscire dal mondo del lavoro a quasi 70 anni di età. Al contempo numerosi interventi legislativi hanno determinato sistemi sfavorevoli di calcolo dell'importo previdenziale nell'ottica di contenere la spesa pubblica.
In Italia, con l'avvento del sistema contributivo, a parità di anni lavorati la pensione già oggi è decisamente più bassa del passato e tra una decina di anni si attesterà, nel migliore dei casi, attorno al 65% dell'ultima busta paga. Questi meccanismi spingono i salariati a ritardare l'età pensionabile per non incorrere in continue decurtazioni dell'assegno previdenziale, in sostanza lavoreremo più anni, i nostri contributi saranno maggiori percependo tuttavia una pensione decisamente inferiore al recente passato.
Era stato raccontato ai lavoratori che l'avvento del sistema contributivo sarebbe stato all'insegna dell'equità e della uguaglianza, i fatti dicono invece l'esatto contrario: lavoreremo più a lungo percependo una assegno previdenziale da fame, saremo costretti a svolgere mansioni gravose per molti anni, le condizioni di vita e retributive saranno sempre più deteriorate.
Tutti i governi a capitalismo avanzato si stanno muovendo nell'ottica di aumentare l'età pensionabile nazionale e le proposte di ritardare il pensionamento hanno suscitato grandi proteste popolari e sono passate sovente per l'arrendevolezza dei sindacati rappresentativi.
L'innalzamento dell'età pensionabile ha effetti negativi sulle nostre esistenze, eppure esiste una sorta di pensiero unico e unilaterale orientato a soddisfare solo gli interessi dell'economia liberale.
Sono lontani i tempi nei quali era egemone un punto di vista marxista della società e dei rapporti di produzione, manca da anni una seria discussione economica sui tempi di vita e su quelli del lavoro.
E' palese l'assenza di un discorso politico-economico nella nostra società, si affrontano i singoli temi in ordine sparso, eppure le condizioni materiali di vita hanno strette connessione con i tempi e le modalità del lavoro. Un ragionamento sulla previdenza non dovrebbe lasciar fuori innumerevoli altre questioni, dagli orari lavorativi alla dinamica salariale, dal welfare universale fino a sanità ed istruzione. L'assenza di una visione complessiva determina l'assenza di una prospettiva politico-economica di resistenza allo sfruttamento.
Nel sistema del lavoro salariato, il capitale pagando dei salari ottiene il l'utilizzo della forza lavoro di un lavoratore per un certo periodo di tempo, dominando poi il tempo di lavoro rimanente di un lavoratore ottiene il plusvalore.
Manca una visione complessiva dei rapporti economici e sociali, se ci fosse capiremmo ad esempio che la pensione di vecchiaia dovrebbe riflettere il costo della produzione e della riproduzione del lavoro durante l'intero corso della vita di una persona, eppure i versamenti pensionistici non tornano mai nelle mani della forza lavoro attraverso salari e pensioni dignitosi.
Se pensiamo alla nostra esistenza ci troviamo davanti a una vita precaria con salari bassi e una futura previdenza ancora più incerta. Non esiste uno Stato equo e ridistributivo, gli anni neoliberisti hanno alimentato le disuguaglianze economiche e salariali, dopo 40 anni le condizioni economiche della classe lavoratrice sono decisamente peggiori di un tempo.
Prenderne atto significa fare i conti con le nostre stesse esistenze, per questo ogni ragionamento sul lavoro e sulle pensioni non può essere scisso o riconducibile ad esigenze di bilancio e di contenimento della spesa pubblica, averlo fatto ha determinato la sconfitta della classe lavoratrice e la sua ricattabilità con l'aumento dei tempi di lavoro a discapito di quelli di vita in una società per altro dominata da crescenti disuguaglianze ed iniquità.

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