Ma la spesa previdenziale per i dipendenti pubblici risulta in aumento?

di Federico Giusti

Ragionando sulle ultime rilevazioni Inps scopriamo che la preoccupazione sulla tenuta dell’Inps è del tutto infondata

Le risposte sono molteplici perché si dimentica l’età anagrafica del personale nato ai tempi del boom economico e trattenuto in servizio dalla Legge Fornero. Se l’età media del dipendente pubblico è tra le più avanzate in assoluto nei paesi europei, possiamo anche ipotizzare che da qui a pochi anni molti avranno raggiunto i requisiti per la pensione e il costo complessivo della spesa aumenterà.

Stando ai dati Inps, a inizio 2024, la spesa pensionistica per il personale della PA era attorno ai 90 miliardi di euro, in crescita di circa l’8% rispetto al 2023. Ma per arrivare a questa cifra bisogna anche considerare la indicizzazione dei trattamenti all’inflazione che per altro non adeguano l’assegno previdenziale al reale costo della vita. Chi oggi va in pensione ha ancora alcuni anni calcolati con il sistema retributivo in virtù dei quali otterrà un assegno decisamente maggiore di quanti andranno in pensione tra una quindicina di anni con il solo calcolo contributivo. Se poi guardiamo alle statistiche relative al 2023, nel pubblico impiego, al pari del privato, i pensionati sono calati di quasi il 10 per cento.

Per queste ragioni scatenare il panico attorno ai conti previdenziali ci pare una mossa elettorale o tipicamente neoliberista nell’ottica di innalzare ulteriormente l’età pensionistica o di prevedere sistemi di calcolo ancora più iniqui e svantaggiosi di quelli attuali, l’aumento dei pensionati è quindi causato non solo dal raggiungimento dei requisiti massimi ma anche delle varie quote o dalla Opzione donna che determinano in ogni caso un assegno inferiore. Chi è uscito dal lavoro con le varie quote aveva molti anni calcolati con il retributivo e quindi era nelle condizioni di beneficiare di questo anticipo senza subire grossi contraccolpi economici, una opzione impossibile invece per le generazioni future che, con il massimo dei contributi, andranno in pensione con assegni inferiori al 70 per cento, nel migliore dei casi, dell’ultima busta paga.

Se guardiamo ai numeri, nel 2023 i dipendenti pubblici in pensione sono superiori rispetto al 2022 ma la differenza è di solo 20 mila assegni. Se guardiamo invece alla tipologia delle pensioni erogate, quelle di vecchiaia rappresentano il 15 per cento del totale e il 20 per cento da assegni ai superstiti.

È bene, infine, confutare due luoghi comuni, la maggioranza dei pensionati pubblici abitano nel centro nord e negli ultimi anni le pensioni di vecchiaia, per sopraggiunti limiti di età, risultano in aumento.

Alla luce di queste scarne considerazioni è lecito dedurre che la tenuta del sistema previdenziale è assicurata mentre l’auspicato turn over incontra crescenti difficoltà e a pagarne lo scotto sono solo i servizi pubblici.

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