Retribuzioni pubbliche. L'intervento dell'Aran porta ad errate conclusioni

di Federico Giusti

Nel pubblico impiego esistono differenze retributive tra i 4 comparti anche per mansioni e profili professionali identici.

Per qualche anno hanno fatto a gara nel perorare la causa perequativa per evitare diseguaglianze economiche ma questa sperequazione è risultato, nefasto, di decenni di contrattazione sindacale. E abbiamo corso il rischio di un livellamento verso il basso visto che le idee di giustizia salariale sono sempre subordinate ai pareggi di bilancio e al contenimento della spesa.

Nel settore pubblico sono prevalse logiche ben poco unitarie, istituti contrattuali differenti, una contrattazione di secondo livello divisiva strutturata come è sulla performance. Ed è indubbia la responsabilità dei sindacati rappresentativi che nel corso degli anni hanno reiterato logiche divisive, corporative, meritocratiche, un impianto contrattuale che nel corso degli anni ha visto erodere non solo il potere di acquisto ma anche gli spazi di contrattazione.

Ma per evitare di ripetersi cerchiamo di fare un passo in avanti nella disamina della realtà.

I salari pubblici hanno subito a inizio secolo un autentico tracollo con i 9 anni di blocco della contrattazione

L'idea diffusa è quella che i salari siano comunque cresciuti nel corso degli anni, le retribuzioni reali aumenterebbero più di quanto previsto dai contratti per dinamiche contrattuali, a livello di Ente e di comparto, fuori da ogni controllo

L' Aran interviene, a gamba tesa, analizza le tornate contrattuali tra il 2016/18 e il 2019/21 concludendo che nonostante un aumento nazionale inferiore al 3,50% (ora si comprende la causa della perdita di potere di acquisto visto il costo della vita pari a oltre il doppio di questa percentuale) in alcuni comparti come ministeriali e agenzie fiscali le buste paga in media sono cresciute di 3 punti in più.

In estrema sintesi questo intervento dell'Aran, per conto del Governo, si prefigge alcuni obiettivi quali un sostanziale riordino delle dinamiche contrattuali nella PA giudicando alcuni comparti particolarmente ricchi al cospetto di altri (ad esempio sanità e funzioni locali).

Ma nella disamina delle dinamiche contrattuali si prende in esame le retribuzioni dirigenziali che ci portano a frettolose ed errate conclusioni.

Da almeno 3 anni viene ripetuto che bisogna rendere attrattivo il lavoro nella Pubblica Amministrazione e in particolar modo negli enti locali che perdono mediamente 10 mila dipendenti all'anno essendo per altro il fanalino di coda nelle retribuzioni pubbliche.

Se la confusione regna sovrana e molte dichiarazioni pubbliche tra loro contrastanti sarà il caso di sintetizzare in poche battute una contro narrazione

  • i salari pubblici italiani sono tra i più bassi d'Europa ma al contempo marcate restano le differenze stipendiale tra dipendenti e dirigenti
  • la perdita di potere di acquisto è innegabile come anche la erosione del potere contrattuale
  • le differenze retributive tra i vari comparti della PA sono risultato di dinamiche contrattuali vecchie di anni costruite con continui rinvii alle specificità di comparto o al secondo livello di contrattazione. Si è persa per strada un'idea complessiva del servizio pubblico e con essa anche i principi di equità e giustizia.
  • qualunque intervento futuro sarà demagogico e tardivo e magari indotto da un giustizialismo al ribasso tendente a ridurre alcuni istituti contrattuali presenti in determinati settori. Il vero problema da affrontare è ben altro ossia perchè un dipendente degli enti locali, un ricercatore o un amministrativo debba percepire anche 400 euro in meno di un collega di altro paese UE.
  • per mettere tutti d'accordo potenzieranno previdenza e sanità integrativa come se le misure alternative al welfare universale rappresentassero la soluzione di ogni male e noi sappiamo bene le contropartite (meno salario in busta paga e depotenziamento dello stato sociale)

In attesa di fare pace con il cervello , proviamo a ragionarci sopra

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