di Federico Giusti
Esonero contributivo per i lavoratori con redditi fino a 40 mila euro (fino da oggi 35 mila euro) ma con diverse modalità applicative, fino a 20 mila euro esenzione dalle imposte, per gli altri invece si applicheranno le detrazioni fiscali.
La prima considerazione è relativa ai costi, più o meno 10 miliardi di euro all'anno, con queste risorse non sarebbe stato preferibile finanziare il salario minimo? Una misura alternativa che avrebbe prodotto due effetti: da una parte innalzare i salari e il costo orario, dall'altra impedire gli appalti al ribasso determinando una soglia sotto la quale non far scendere la paga oraria.
Qualcuno obietterà che il taglio al cuneo fiscale va a beneficio di tutti i redditi sotto 40 mila euro, immaginiamoci invece altri scenari, non astratti ma pratici, impiegando le risorse pubbliche o ricavandone di nuove dalla riforma in senso equalitario del fisco
In questi anni ci sono state varie decontribuzioni a carico della quota contributiva datoriale, due anni fa vennero pensate al fine di assumere categorie svantaggiate nel mercato del lavoro (donne, giovani, disoccupati da tempo specie nelle aree meridionali) ma ormai la logica del pagare meno tasse è diventata imperante a mero discapito dell'adeguamento salariale al costo della vita.
La questione salariale è dirimente e riconosciuta universalmente (Prospettive dell'OCSE sull'occupazione 2024 | OCSE) come anche riconosciuta è la necessità di rivedere tutti i meccanismi iniqui in materia di contrattazione (ma per farlo servono rapporti di forza ben diversi da quelli attuali) ad esempio stabilendo che per ogni mese di ritardo nei rinnovi dei contratti nazionali scatti una cifra di 50 euro netto al mese in busta paga senza poi detrarla dalle risorse che poi saranno destinate ai contratti nazionali con anni di ritardo.
Nel corso del 2023, in soli tre mesi, la perdita di potere di acquisto è stata pari al 9 per cento, l'Italia è negli ultimi posti tra i 35 paesi Ocse. Crisi inflazionistica ma anche esponenziale aumento dei profitti di impresa con scarsi investimenti in posti di lavoro e processi innovativi.
Queste riflessioni dell'Ocse vengono anche riprese da alcuni centri studi ma del tutto ignorati dal Governo.
L'Italia è tra i pochi paesi senza salari minimo, i paesi che ne sono in possesso hanno incrementato, del 12%, il potere di acquisto dei salari evitandone il crollo come invece avvenuto in Italia. Tra le obiezioni diffuse ritroviamo la presunta insostenibilità di un salario minimo a carico delle imprese.
Prendiamo l'esempio cinese riportando un passaggio tratto da una ricerca:
Consideriamo qui come le imprese cinesi reagiscono all'aumento dei salari minimi, sfruttando la riforma del salario minimo del 2004 in Cina. Dopo questa riforma, scopriamo che i costi salariali per le imprese sopravvissute che erano più esposte agli aumenti del salario minimo sono aumentati, ma anche che la loro produttività è migliorata in modo significativo, consentendo loro di assorbire lo shock dei costi senza alcun cambiamento nella loro redditività e con perdite di posti di lavoro limitate. I nostri risultati sono robusti grazie all'analisi delle tendenze preesistenti e a una strategia IV. Tuttavia, la probabilità di sopravvivenza delle imprese più esposte agli aumenti del salario minimo è diminuita dopo la riforma. Gli incrementi di produttività a livello aziendale sono in parte derivati da una migliore gestione delle scorte e da maggiori investimenti in capitale, al costo di una riduzione della liquidità a livello aziendale.
Migliorare o scomparire: adeguamenti a livello aziendale dei salari minimi in Cina
Il vero problema italico è rappresentato dalle piccole imprese a bassa produttività che rappresentano invece una parte rilevante del settore produttivo italiano, nonchè da un luogo comune duro a morire secondo il quale l’aggiustamento dei salari reali avrebbe impatti immediati sul debito pubblico,
La principale conclusione che possiamo trarre da quanto precede è che l’immobilismo su un tema oggetto di forte scontro politico, come quello del salario minimo e della contrattazione collettiva, comporta conseguenze dannose per il debito pubblico e per i servizi ai cittadini.
Il taglio del cuneo fiscale, reso strutturale dalla legge di bilancio 2025, da molti osservatori viene celebrato come un segnale positivo, rappresenta in realtà una cattiva notizia impegnando i futuri Governi a sostenere in modo strutturale i bassi salari utilizzando risorse pubbliche sottratte a sanità e istruzione
E così operando le imprese non muoveranno un dito per incrementare i processi innovativi e tecnologici o per assumere forza lavoro, del resto sgravi fiscali e aiuti a pioggia alimentano i profitti e i dividendi tra azionari ma impoveriscono i nostri salari.
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