Guardo queste foto e penso: mi colpisce l'assenza di sensibilità in coloro i quali scendono in piazza contro i fascismi. Ancor di più sono disorientato nell'osservare indifferenza e astio da parte di coloro i quali provano disperatamente a restare a galla nel dibattito politico del paese, continuando a rievocare il mito della Resistenza.
Penso che i lavoratori del porto di Trieste abbiano scritto e stiano ancora scrivendo una bella pagina nella storia del lavoro in Italia e credo che stiano lottando per la Costituzione e per tutti noi.
C'è chi difende il green pass appellandosi al principio della salute pubblica e ridicolizza questi lavoratori in protesta, magari con la spocchia di chi sa coniugare meglio un congiuntivo: nulla di più ridicolo. Semplicemente ricordo che ad oggi quella della vaccinazione è una scelta libera: è la legge a stabilire la libertà di scelta e un paese costituzionalmente orientato deve rifarsi al principio di legalità.
A fronte di questa scelta ora è in atto una discriminazione: quella nei confronti di coloro i quali hanno scelto di non ricorrere al vaccino. Se vogliamo rispettare la Costituzione esistono solo due strade: quella dell'obbligo vaccinale (ex art. 32, con tutte le responsabilità che ne derivano) o quella del tampone gratuito (ai sensi del secondo comma dell'articolo 3).
Il resto è fuffa, roba da salotti bene, roba da Parioli, "cirinnate".
Le regole in materia di lavoro hanno una funzione fondamentale (tra le tante): educano la comunità del lavoro, la indirizzano verso una certa e specifica etica collettiva. Un mondo del lavoro precario costituisce un corrosivo deterrente alla partecipazione: è ovvio, oggi siamo tutti ricattabili.
Ecco perché i lavoratori di Trieste meritano ancora più considerazione e rispetto: lottano in un contesto avverso, denigrati da parte dell'opinione pubblica, irrisi dalla stampa serva, sgombrati dal potere costituito (che a mio avviso non rappresenta più esercizio legittimo di coercizione fisica).
Non voltatevi dall'altra parte solo perché la vostra scelta è stata differente: ci stanno abituando alla divisione e all'odio, al disprezzo, all'emarginazione.
È questa l'Italia che vogliamo?
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