Il Web è diventato un fenomeno commerciale e una rete quasi infinita di entità umane e digitali. I fenomeni più accattivanti sono stati descritti molto bene nel libro “Fake people. Storie di social bot e bugiardi digitali” (Viola Bachini, Maurizio Tesconi, www.codiceedizioni.it/libri/fake-people).
Il saggio prende in esame i troll della campagna elettorale americana, gli algoritmi che fanno impennare le azioni di alcune aziende, i finti supporter dei nostri politici (più o meno populisti). Viene citata la bacheca digitale 4chan, fondata da Chris Poole (poi venduta nel 2016 per andare a lavorare per Google), si citano le tariffe italiane per i vari livelli di follower degli influencer. Il 97 per cento degli youtuber ottiene guadagni al di sotto della soglia della povertà (in molti riescono a scroccare beni e servizi gratuiti di valore). In Russia esistono addirittura distributori automatici di like e follower fasulli su Instagram (raccontato dal giornalista russo Alexey Kovalev).
Microsoft aveva ideato una chatbot di nome Tay, un profilo artificiale caricato su Twitter, con lo scopo di incentivare le comunicazioni tra i giovani adolescenti. Però il profilo era stato concepito troppo semplificato e senza filtri, ed è stato chiuso poiché ripeteva frasi razziste. Come affermato dal divulgatore Kalev Leetaru, anche le intelligenze artificiali, come i bambini, “devono crescere e avere età naturali di intelligenza” (p. 54) , e dovrebbero rimanere nei laboratori più tempo, per essere sviluppati meglio e per essere riveduti in modo costante (per seguire le riflessioni di Leetaru: https://blog.gdeltproject.org, https://www.kalevleetaru.com).
Pure una chatbot più evoluta chiamata Zo, è risultata troppo indigesta, per eccesso di correttezza politica e di astensionismo discorsivo (https://qz.com/author/chloe-rose-stuart-ulin). D’altra parte il processo di dipendenza tecnologica segue la legge tribale delle reti neurali antiche, incentrate sull’approvazione sociale e mediato da neurotrasmettitori come la dopamina. Uno dei più grandi esperti del settore è lo psicologo accademico Adam Alter (http://adamalterauthor.com/speaking; per approfondimenti: https://www.agoravox.it/La-psicologia-che-ti-difende-dalla.html).
Chi opera nel settore sa che l’intelligenza artificiale si basa due processi basilari: quello intuitivo generalista multifattoriale più rapido, e quello razionale e analitico, più lento per gli umani e più veloce per i computer (Fabrizio Falchi, ricercatore informatico, http://www.nmis.isti.cnr.it/falchi, https://mobile.agoravox.it/La-psicologia-del-pensiero.html). Tuttavia “Per diventare intelligenti i sistemi hanno bisogno di tanti esempi, molti di più di quelli che servono agli umani. Ma non è solo una questione di quantità: servono anche buoni esempi” molto rappresentativi (Dino Pedreschi, docente universitario e fondatore di http://project.sobigdata.eu; i sei segreti dell’apprendimento di Nikola Tesla: https://www.youtube.com/watch?v=nUQmDc_2dBI).
Nel mondo finanziario si usano da molto tempo dei potenti algoritmi che gestiscono gli scambi azionari, e non è da escludere che operino dei meccanismi più o meno truffaldini, utilizzati per pilotare i mercati a favore di pochi fortunati. Più una società è grande, più può manipolare i vari mercati a livello digitale. In realtà al di fuori dei listini ufficiali della Borsa, nel mercato non regolamentato Over The Counter (sopra il bancone), la contrattazione è informale e viene influenzata da tutti i tipi di account social, anche dai social bot (www.sns.it/it/lillo-fabrizioFabrizio, https://fabriziolillo.wordpress.com/vitae).
Invece nel mondo manageriale si aprono scenari davvero interessanti. Fra un paio di anni molti manager potrebbero avere degli assistenti digitali specializzati in una determinata disciplina. Infatti l’evoluzione tecnologia sempre più rapida non permette agli essere umani un livello di aggiornamento pari a quello di un buon sistema di intelligenza artificiale (anche in campo medico). Per approfondire alcune riflessioni nel campo manageriale consiglio di seguire lo psicologo Gary Klein: https://twitter.com/kleinsight; https://www.ibs.it/libri/autori/gary-klein.
Comunque per quanto riguarda il diritto di espressione e di parola, “In Italia non c’è questo entusiasmo per l’anonimato in rete. Le proposte avanzate finora dai politici sono sempre andate nella direzione di un anonimato protetto” (Nicola Lugaresi, professore di Diritto di Internet all’Università di Trento, p. 28). In effetti gli utenti hanno molta difficoltà a individuare l’identità di un interlocutore, ma la polizia in caso di bisogno ci mette qualche minuto o qualche giorno.
Riflessioni finali: comprare follower non è ancora un reato e l’attuale degenerazione commerciale e demenziale del Web mi ha amareggiato fino al punto che non riesco nemmeno a trovare le parole per concludere degnamente questa recensione. Però bisogna continuare a difendere l’anonimato, che in molti casi e in alcuni momenti esistenziali fondamentali, rappresenta “uno scudo dalla tirannia della maggioranza” (Corte Suprema degli Stati Uniti, p. 29).
Viola Bachini è una divulgatrice che collabora con varie università e alcune istituzioni scientifiche; si occupa soprattutto di tecnologia (https://oggiscienza.it/author/violabachini; il video del Festival delle Scienze del National Geographic: https://www.youtube.com/watch?v=UPimUmUJlHg).
Maurizio Tesconi è un ricercatore del CNR che insegna Cyber Intelligence all’interno del Master in Cyber Security dell’Università di Pisa; si è specializzato nell’analisi dei profili falsi sui social network (https://www.iit.cnr.it/maurizio.tesconi, https://twitter.com/m_tesconi).
Nota – Dal primo luglio 2019 negli Stati Uniti è stata ratificata una legge che impone a un account social di dichiarare la sua natura di bot se promuove un messaggio politico, “ma la gran parte delle botnet proviene dall’estero” (Emilio Ferrara, professore di informatica, p. 123). I social bot più evoluti sono difficili da identificare e gli algoritmi di detection sono meno abili delle persone. Nel 2017 Twitter riusciva a trovare “il 60 per cento dei fake followers e il 4 per cento dei bot più sofisticati” (https://www.iit.cnr.it/stefano.cresci, p. 127; https://www.iit.cnr.it/michele.mazza).
Quindi i meme di propaganda politica hanno un grande futuro, lanciati da un social bot e poi diffusi dalle persone più superficiali del mondo. In genere “con i meme si diffondono più livelli di significati, e non sempre gli utenti sono consapevoli di tutte le possibili interpretazioni” consce e inconsce (https://people.unipi.it/roberta_bracciale, esperta di campagne elettorali digitali). Del resto, in una società sempre più narcisistica, di solito le persone non sono interessate alle informazioni vere e utili, ma alle informazioni piacevoli o non spiacevoli (Walter Quattrociocchi, docente all’Università di Venezia).
Attirare l’attenzione è una cosa, mentre conquistare un voto è una cosa molto più difficile. Il voto è il momento finale di un processo successivo e ben distinto dall’attenzione concentrata sull’agenda mediatica politicizzata (Cristopher Cepernich, docente all’Università di Torino). La propaganda computazionale sembra poco influente: per ora è molto utile per far vendere più giornali e per far aumentare le letture digitali e gli introiti pubblicitari.
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